T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 18-01-2011, n. 129 Sanzioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il Comune di Milano ricorreva avverso l’annullamento della sanzione disciplinare del licenziamento adottata nei confronti del vigile urbano P.L. che era stato condannato, con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per concussione.

All’esito della sentenza il Comune di Milano aveva adottato l’obbligatorio provvedimento di sospensione ai sensi della L. 16\92 nei confronti del controinteressato ed il Tar aveva respinto la richiesta di sospensione del provvedimento.

Dopo il passaggio in giudicato della sentenza il Comune avviava il procedimento disciplinare che si concludeva con il licenziamento senza preavviso che veniva impugnato dal controinteressato innanzi al Collegio arbitrale di disciplina.

Il Collegio annullava il provvedimento disciplinare per la tardività di avvio del procedimento disciplinare.

Il Comune articolava due motivi di ricorso.

Il primo denuncia la violazione degli artt. 9 L. 19\90, 24,comma 2, e 25,commi 8 e 6 lett. C.N.EE.LL. e art. 10 e 9 lett. C), nr. 1 Regolamento di disciplina del Comune di Milano.

Le citate norme del contratto collettivo all’epoca vigente prevedevano che la contestazione dell’addebito dovesse avvenire entro i venti giorni da quando il soggetto competente ad irrogare la sanzione era venuto a conoscenza del fatto.

Non basta che l’Amministrazione sia venuta a conoscenza del fatto poiché è necessario che la notizia pervenga all’Ufficio appositamente costituito per la contestazione delle violazioni disciplinari, che ogni amministrazione nella sua autonomia organizzativa deve individuare.

La copia della sentenza con l’attestazione del suo passaggio in giudicato è pervenuta all’ufficio in data 15.4.96 e la nota di addebito disciplinare datata 16.4.96 e stata notificata in data 2.5.96 e cioè entro il termine fissato.

Va poi sottolineato come l’art. 9 L. 19\90 dia un termine maggiore per l’inizio del procedimento e pari a 180 giorni, che costituisce norma speciale che on si può ritenere abrogata per effetto dell’approvazione del contratto collettivo nazionale.

Inoltre contesta l’interpretazione dei termini previsti dal contratto collettivo come perentori in mancanza di un’indicazione espressa.

Il secondo motiva contesta l’eccesso di potere per ingiustizia manifesta e disparità di trattamento poiché in virtù della pluralità dei Collegi Arbitrali solo in un caso era stata accolta l’eccezione di tardività con disparità di trattamento tra dipendenti che dovevano rispondere tutti dello stesso fatto accertato nel medesimo processo penale.

Il P. si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso poiché ai sensi dell’art. 59,comma 7, D.lgs 29\93 l’amministrazione si deve conformare al giudizio del Collegio con esclusione di qualunque facoltà di impugnare la decisione.

In ogni caso il ricorso sarebbe inammissibile perché le decisioni del Collegio di disciplina possono essere assimilate all’arbitrato irrituale impugnabile solo per i vizi che riguardano la formazione della volontà negoziale e quindi l’errore rilevante è quello che può vertere sull’esistenza o meno di norme giuridiche non sulla loro interpretazione.

Infine la stessa censura di inammissibilità varrebbe laddove lo si ritenesse un arbitrato rituale poiché l’impugnazione del lodo andrebbe promossa innanzi al giudice ordinario ai sensi dell’art. 828 c.p.c. con conseguente difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Concludeva comunque anche per il rigetto nel merito.

L’eccezione preliminare relativa alla non impugnabilità della decisione del Collegio arbitrale di disciplina non è fondata.

Sussiste una giurisprudenza non uniforme relativamente al giudice cui appartenga la giurisdizione in situazioni analoghe a quella giudicata in questa sede, ma nessuna pronuncia a mai messo in dubbio la possibilità per l’amministrazione di ricorrere innanzi al giudice laddove non concordi con le valutazioni del Collegio arbitrale.

Infondata è, altresì, l’eccezione circa il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo poiché trattandosi di lodo arbitrale irrituale la giurisdizione competerebbe al giudice ordinario ed in particolare alla Corte di Appello ex art. 828 c.p.c.

Per i provvedimenti in tema di lavoro nel pubblico impiego, assunti entro il 30.6.1998, ai sensi dell’art. 69 D.lgs. 165\01, vigeva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ciò consentiva di impugnare le pronunce dei Collegi arbitrali di disciplina anche laddove fosse riconosciuta per esse la natura di arbitrato irrituale (vedasi in merito Cassazione civile, sez. un., 01 dicembre 2009, n. 25253, Consiglio Stato, sez. IV, 08 giugno 2007, n. 3001, Cassazione civile, sez. un., 17 marzo 2004, n. 5459, Consiglio di stato, sez. IV, 18 giugno 2008, n. 3034).

L’ultima eccezione prospettata dal controinteressato riguarda il limiti delle censure proponibili avverso le decisioni dei Collegi arbitrali di disciplina ed in questo senso può concordarsi con quanto posto a fondamento dell’eccezione e cioè che la decisione emessa in materia disciplinare dal Collegio di disciplina, quale lodo arbitrale irrituale, è impugnabile soltanto per vizi che possono vulnerare la manifestazione della volontà negoziale (e cioè errore, violenza, dolo), tenendo peraltro presente che l’errore rilevante come vizio del consenso è l’errore, di fatto o di diritto, che verte sull’esistenza o inesistenza di fatti o norme giuridiche (e non già sulla valutazione o interpretazione di fatti e norme giuridiche), con il corollario che il lodo non è impugnabile per errori di giudizio (errore di valutazione dei fatti, ferma restando l’esatta rappresentazione degli stessi) o per errori di diritto attinenti all’interpretazione e valutazione della portata delle norme. Conseguentemente, il giudice amministrativo non può, in sede di esame del lodo arbitrale, esaminare né il merito dei fatti sui quali è intervenuta la decisione degli arbitri, né la giustezza e la congruità della sanzione disciplinare irrogata.

Ma per conoscere se i limiti di valutazione del giudice siano applicabili al caso in esame è necessario passare a valutare il merito del provvedimento impugnato.

Non può essere accolto il primo motivo di ricorso nella parte in cui afferma che la decisione del Collegio impugnata non ha tenuto conto dell’esistenza dell’art. 9 L. 19\1990, norma speciale che si applicherebbe in deroga alle previsioni dei contratti collettivi.

In merito il Tribunale concorda con quanto affermato dalla Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza 5115\2010; "In tema di licenziamento disciplinare dei pubblici dipendenti a seguito di sentenza penale di patteggiamento, non si applica la disciplina del procedimento disciplinare prevista, in particolare, quanto ai termini per l’instaurazione e la conclusione del procedimento, dall’art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990, sia per la particolare connotazione del procedimento penale che si conclude con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (cfr. Corte cost., sent. n. 197 del 1999), sia per l’inapplicabilità, a far data dalla stipulazione del primo contratto collettivo, della disciplina generale e speciale del procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (art. da 100 a 123 del d.P.R. n. 3 del 1957 e disposizioni ad esso collegate) in seguito all’entrata in vigore degli art. 72 e 74 del d.lg. n. 29 del 1993 (di attuazione della legge n. 421 del 1992, di privatizzazione del pubblico impiego), e all’abrogazione di tutte le disposizioni in materia di sanzioni disciplinari incompatibili con il nuovo regime giuridico del lavoro pubblico.".

Stabilito che il Collegio arbitrale ha correttamente individuato la norma da applicare quanto al termine entro cui iniziare il procedimento disciplinare, la sua decisione ha, però, omesso di considerare che il fatto rilevante per poter stabilire se era stato rispettato o meno il termine di cui all’art. 25,comma 8, del Contratto collettivo degli enti locali è non già la mera conoscenza della sentenza di condanna, ma la conoscenza del suo passaggio in giudicato.

Solo dopo che è venuta meno ogni possibilità di impugnazione, può ritenersi esaurita la fase del processo penale e il procedimento disciplinare può riprendere il suo corso mediante la contestazione del fatto rilevante.

Rispetto al momento in cui l’Ufficio competente ad instaurare il procedimento disciplinare e non genericamente l’amministrazione è venuto a conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza, la contestazione è avvenuta nel termine dei venti giorni previsti dalla norma, se si esamina la tempistica esposta nel primo motivo di ricorso e comprovata dalla documentazione allegata.

L’ulteriore motivo può ritenersi assorbito ed il ricorso può essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

In considerazione della particolarità della vicenda e dell’esistenza di una giurisprudenza che, soprattutto all’epoca di presentazione del ricorso, era più favorevole al controinteressato appare equo compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la decisione del Collegio Arbitrale di Disciplina del 30.1. -11.3.97 di accoglimento del ricorso di L.P..

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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