Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-10-2010) 21-01-2011, n. 2209

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Napoli con ordinanza del 19.4.2010 disponeva la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di S.P. indagato per i reati di cui all’art. 416 bis c.p., e L. 6 febbraio 1980, n. 15, art. 1, del delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, D.L. n. 152 del 2001, art. 7, nonchè di cui all’art. 513 bis c.p., ed D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Si contesta allo S. con il primo delitto di aver fatto parte dell’associazione di stampo mafioso detta "clan dei casalesi" diretta al controllo, attraverso un’opera sistematica di intimidazione, delle attività economiche dell’intesa provincia di Caserta (ma non solo) ed in particolare di aver fatto parte della componente del sodalizio che faceva capo alla famiglia Schiavone occupandosi segnatamente di mantenere attraverso la società "La Paganese trasporti & C s.n.c." la gestione monopolistica ed il controllo del trasporto su gomma da e per i mercati ortofrutticoli di Fondi, Aversa, Parete, Trentola, Ducenta e Giugliano e da questi mercati verso sud, in particolare verso i mercati siciliani di Palermo, Catania, Gela e Marsala; con il secondo delitto si contesta al ricorrente di avere occultato la reale proprietà di alcune società connesse alla La Paganese intestando le quote delle dette società a prestanomi e di aver attribuito fittiziamente i profitti e gli utili ad altri prestanomi onde aggirare la normativa penale sul riciclaggio e quella sulle misure di prevenzione patrimoniale ed ancora di aver imposto, grazie al clan degli Schiavone, un monopolio di fatto in capo alla società La Paganese escludendo le altre ditte nel trasporto su gomma da e per i mercati ortofrutticoli della Sicilia, della Calabria, della Campania, da e per il mercato di Fondi.

Con ordinanza del 25.5.2010 il Tribunale del riesame rigettava l’istanza di riesame. Il Tribunale, in punto della sussistenza dei sufficienti indizi di colpevolezza, ricordava la scalata della Paganese Trasporti nel controllo del trasporto nel settore ortofrutticolo attraverso l’opera di sistematica intimidazione di potenziali concorrenti, come emergeva da numerosi atti giudiziari ivi compreso sentenze di condanna. Dalle indagini emergeva una violenta contrapposizione tra P.C. e P.D., quest’ultimo gestore della società Panico trasporti di Giugliano.

Sulla base della denuncia del padre di questi si disponeva intercettazioni ambientali presso la Paganese Trasporti che portavano al sequestro di armi e munizioni. A ciò si aggiungevano le dichiarazioni di G.F. e B.C., il primo confermava i contatti tra il clan dei casalesi e il P., il secondo riferiva del controllo del mercato ortofrutticolo di Catania attraverso la famiglia Ercolano e per essa della famiglia Di Bella e di quella di Sc.Nu.. Come detto era inoltre emerso un forte contrasto tra il P.C. e il Pa.An. e Do. in quanto nel 2000 il P. aveva cercato di sottrarre al Pa. anche il monopolio dei mercati dell’agro casertano, il Pa. aveva così cercato ed ottenuto l’appoggio del clan Maliardo. Ma l’accordo non era poi durato in quanto D.V. C.; alter ego di S.F. aveva cercato di imporre ai Pa. di abbandonare anche il mercato ortofrutticolo di Giugliano (MOG), obiettivo effettivamente realizzato. Il Pa.

A., dopo aver subito un’aggressione,aveva così riferito al Commissariato PS di Marcianise del monopolio goduto nei trasporti di cui si è detto e dei contrasti insorti con la Paganese. Il Tribunale rilevava che lo S.P. all’interno del "clan dei casalesi" aveva assunto un ruolo di primo piano in relazione allo stato di detenzione del padre F. che si era avvalso del ricorrente per curare gli interessi della azienda La Paganese, come da intercettazioni dalle quali emerge che il padre aveva emanato direttive all’organizzazione attraverso il figlio P.. La Paganese era risultata nelle indagini come un investimento dello S.F. e del D.V.C. e P. che si erano avvalsi per la gestione del loro sodale P.C. che, con altri affiliati, aveva realizzato gli obiettivi di controllo monopolistico nei territori posti sotto controllo. La riferibilità della ditta La Paganese alla famiglia S. emergeva anche dalle dichiarazioni di G.F. e dalle dichiarazioni rese dal Pa.An.. Il Tribunale riportava alcune intercettazioni tra P.C. e T.L. relativa alla consegna di alcuni assegni allo S. per l’attività di controllo effettuata. Dalle conversazioni si evinceva l’esistenza di una contabilità comune circa le bollette che i trasportatori dovevano pagare. Venivano riportate altre conversazioni tra il P. A. ed il figlio dalle quali emergeva l’immedesimazione tra la famiglia Schiavone e la ditta casalese. Quindi per il Tribunale, circa il reato associativo, le dichiarazioni del G. trovavano precisi ed oggettivi riscontri nel comportamento dello S. P. colto sotto la percezione della PG nel ricevere assegni collegati all’attività della La Paganese (la tesi difensiva dell’imputato non aveva conferma e contrastava con il tenore delle conversazioni intercettate).

Circa l’ipotesi di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, il Tribunale ha rilevato che il controllo della società era in mano agli S. e vi era stato un vorticoso trasferimento a catena di quote a carattere meramente formale come si evinceva anche da alcune conversazioni captate con intestazione anche degli utili a prestanome, utili che venivano invece appropriati dagli S., mutamenti societari destinati ad eludere le norme sulla confisca dei beni e antiriciclaggio. Circa l’ultimo reato, rilevava il Tribunale, dalle conversazioni captate tra il P.C. e il C. G. e tra il P. ed il G.F. emergeva chiaramente che La Paganese aveva assunto il monopolio nel settore dei trasporti su gomma di prodotti ortofrutticoli del sud-italia grazie ad una strategia di intimidazione dei possibili concorrenti attraverso il legame con clan camorristici. Soprattutto questi legami emergevano dalle parole stesse del P. captate nella conversazione con F.S.. Attraverso l’opera di intimidazione e di controllo militare del territorio del clan dei casalesi (ove il ricorrente aveva sostituito il padre dopo l’arresto di quest’ultimo) la libertà di impresa dei potenziali concorrenti della Paganese era stata compromessa. Nonostante si tratti di un reato proprio lo S. concorreva con gli altri imputati imprenditori.

Ricorre lo S.P. che allega la carenza e manifesta infondatezza della motivazione dell’ordinanza impugnata. Era puramente congetturale e privo di riscontri che il S.P. avesse sostituito il padre dopo l’arresto di questi, tesi che si incentra sul solo fatto che il P. si recava ai colloqui in carcere con il genitore. Era dubbio che il (OMISSIS) o (OMISSIS) di cui si parla in alcune conversazioni fosse lo S. F. che era stato detenuto dal 96 al 2002 e quindi certamente non aveva nel detto periodo potuto determinare la scalata della ditta Paganese, La conversazione captata il 9.12.2006 si riferisce ad un incontro avvenuto nel 1998 quando lo S.F. era detenuto. Anche in altra conversazione ci si riferisce ad un episodio del 2006 quando lo S.F. era detenuto. Il G. dopo aver riferito di legami tra il clan Schiavone e la ditta Paganese afferma di non conoscere nè (OMISSIS) nè il (OMISSIS). I collaboratori di giustizia del clan Schiavone non avevano mai riferito di un interessamento dell’organizzazione al settore del trasporti delle merci nei mercati ortofrutticoli e su questa censura l’ordinanza impugnata aveva taciuto.

Circa il secondo reato contestato nessun approfondimento era stato compiuto sulle singole cessioni di quote, la disponibilità della società in capo allo S. ed alla sua famiglia non era affatto dimostrata. Il chiarimento offerto dall’indagato circa l’assegno consegnatogli era del tutto credibile, come emergeva anche da alcune intercettazioni non prese in considerazione dal Tribunale.

Sul titolo l’indagato aveva chiesto di apporre il timbro della Paganese.

Infine non sussistevano gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 513 bis c.p.. Dalla conversazione intercettata e riportata dall’ordinanza non potevano emergere riscontri alla tesi accusatoria perchè dal 2004 lo S.F. era detenuto ed i fatti riferiti erano recenti. Vi erano contrasti tra l’interpretazione offerta dai giudici della conversazione e quanto dichiarato dal G.F.. Non emergeva da nessuna conversazione un ruolo attivo del ricorrente nel favorire gli interessi monopolistici della ditta Paganese, anzi in una conversazione era il P. che si attribuiva l’invenzione del sistema di intimidazione insieme a D.V.C., ma certamente non all’indagato.

Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa la pretesa manifesta illogicità e comunque la carenza della motivazione della sentenza impugnata va ricordato l’orientamento di questa Corte (Cass. Sez. un. n. 11/2000) secondo cui:

"in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

(In motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 c.p.p., e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza)".

Ora l’ordinanza impugnata ricostruisce in modo persuasivo e circostanziato l’attività criminosa commessa dall’associazione per perseguire gli obiettivi prima ricordati di controllo monopolistico del trasporto su strada dei prodotti ortofrutticoli, sviluppatasi, nel tempo attraverso la gestione di fatto e sostanziale da parte del cosiddetto clan dei casalesi e della famiglia Schiavone della società La Paganese, nonchè il ruolo specifico avuto dal ricorrente nell’ambito della detta associazione dopo l’arresto del padre F., che continuò ad emanare direttive agli associati attraverso i colloqui avuti con il figlio. L’ordinanza impugnata ha ricordato le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia in ordine alla sostanziale appartenenza della citata società alla famiglia Schiavone che se ne avvaleva per i fini richiamati prima;

peraltro sotto la diretta percezione degli agenti della P.G. veniva sorpreso lo S.P. che riceveva degli assegni della Paganese, così come l’intreccio tra il clan (nella persona del ricorrente) e la società veniva ricostruito da numerose conversazioni riportate nell’ordinanza, una delle quali attestante l’esistenza di una contabilità comune e che tutti gli autotrasportatori dovevano pagare.

Anche per l’imputazione sub b) (art. 12 quinquies) L. n. 356 del 1992, l’ordinanza ha ricostruito il vorticoso passaggio di quote cui non è stata offerta alcuna plausibile spiegazione anche a favore di dipendenti e collaboratori del P.C. per evitare provvedimenti di confisca o di sequestro e in modo da far emergere una realtà formale della società, in realtà controllata e gestita dal clan Schiavone, diversa da quella reale e quindi sottraendo i beni della La Paganese anche all’attività investigativa.

Ancora sono stati elencati dettagliatamente tutti gli elementi che portano a ritenere che il clan dei casalesi abbia controllato il trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli da e per i mercati della Sicilia, della Calabria, e da e per il mercato di Fondi, alterando il libero e normale svolgimento dell’industria e del commercio per questo specifico settore. Sul punto sono state indicate e riportate le conversazioni captate che confermano quanto riferito dai collaboratori di giustizia e dal P.C..

Le censure mosse nel ricorso sono di mero fatto e non offrono peraltro nessun elemento utile per dare una qualche spiegazione al vorticoso passaggio di quote dentro La Paganese che non appare poter avere una ragione diversa da quella di voler evitare che le indagini identificassero i veri proprietari e controllori della campagine sociale e gli apporti patrimoniali che in essa venivano riversati.

Nel ricorso peraltro si prospetta un ruolo del ricorrente marginale nel clan familiare che risulta contraddetto da specifici episodi caduti sotto la captazione diretta degli atti di p.g. con scambio di assegni, la cui finalità è stata razionalmente ricostruita alle conversazioni captate e riportate nell’ordinanza impugnata.

In ordine alle tre imputazioni pertanto il compendio indiziario appare di notevole gravità, l’ordinanza non appare viziata da alcuna contraddizione e fornisce un resoconto plausibile e logicamente coerente degli elementi a carico del ricorrente, che allo stato appaiono sufficienti a legittimare le disposte misure cautelari (non viene sollevata alcuna questione concernenti le esigenze cautelari in sè considerate), mentre come detto le censure sono di merito, spesso del tutto generiche ed incentrate su una lettura "alternativa" delle conversazioni captate, prive del necessario supporto documentale.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti; inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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