Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-10-2010) 21-01-2011, n. 2208 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 19.4.2010 il GIP Distrettuale di Napoli disponeva la misura di custodia in carcere di D.B.N. e S. N.L. per il reato di cui all’art. 513 c.p., D.L. n. 152 del 1991, art. 7 perchè in concorso con affiliati all’organizzazione "cosa nostra" ed avvalendosi della forza di intimidazione della stessa e di quella del clan dei casalesi avrebbero imposto sia nei mercati catanesi che in quelli di Giugliano, Aversa e Fondi che ad effettuare il trasporto dei prodotti ortofrutticoli dai e per i mercati fosse la ditta La Paganese o altra ditta da questa scelta in accordo con gli stessi D.B. e S.N..

Avverso tale provvedimento gli indagati hanno proposto istanza di riesame, ma il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza del 25.5.2010, le ha respinte. Il Tribunale riferiva dell’ascesa della ditta La Pagenese nel controllo del trasporto su gomma dei prodotti ortofrutticoli, in particolare nel mercato di Fondi, grazie ai rapporti con il clan dei casalesi e la famiglia Schiavone, mentre la concorrente famiglia Panico con la ditta Panico trasporti controllava il mercato di Giugliano grazie ai rapporti con il clan Mallardo. La tregua tra le due ditte, sostenute dai rispettivi clan di riferimento, si interrompeva drammaticamente alla fine del secondo millennio; l’ordinanza richiamava i numerosissimi provvedimenti giudiziari che avevano colpito gli appartenenti al clan Schiavone ed in particolare lo Sc.Fr. che attestava il disegno della detta organizzazione criminale di volere controllare l’intero territorio di Caserta con riferimento anche alle attività imprenditoriali ivi svolte, dagli appalti, all’edilizia, al commercio. Veniva ricostruita la contrapposizione tra la famiglia Pagano e quella Panico che aveva portato al sequestro di armi e munizioni presso la sede della Paganese. Interveniva ad ulteriore conferma di quanto emerso nelle dette indagini, le dichiarazioni rese da G.F. e B.C.. Il primo, esponente di rilievo del clan di Quindici, confermava l’opera di spartizione e controllo dei mercati ortofrutticoli ad opera della ditta La Paganese attraverso gli stretti rapporti con i casalesi. Il B., esponente invece della famiglia Madonia di Gela, faceva il nome di alcune imprese che attraverso i contatti con la famiglia Ercolano imparentata con Sa.Ni., controllavano il mercato ortofrutticolo di Catania, imprese tra le quali indicava l’impresa gestita dalla famiglia Di Bella, definita il braccio imprenditoriale della organizzazione mafiosa della famiglia Ercolano – e l’impresa di S.N., imprenditore ortofrutticolo. Era emerso che la ditta La Paganese, dopo il consolidamento del monopolio nei più importanti mercati ortofrutticoli della Campania ed in quello di Fondi, era riuscita ad imporsi anche nei mercati del catanese grazie all’appoggio di imprenditori come il D.B. e lo S., legati alla famiglia Santapaola ed alla famiglia Ercolano che controllano la provincia di Catania anche attraverso la raccolta sistematica del cosiddetto pizzo. Dalle numerose conversazioni captate del P. emergeva che il trasporto ortofrutticolo era controllato dalle organizzazioni di stampo mafioso non solo in Campania ma anche nel catanese ed emergevano i contatti tra i ricorrenti e la famiglia Ercolano. A ciò si aggiungevano le dichiarazioni del Pa.An. e di B.C.. Il Pa. riferiva di aver potuto controllare i mercati sulle tratte Sicilia – Campania e Sicilia Fondi per un lungo periodo, ma che dopo l’ascesa della La Paganese tale controllo si era rivelato impossibile in quanto i Pagano avevano scalzato la Trasporti Panico. Il Pa. riferiva allora del controllo del settore del mercato ortofrutticolo catanese passato in altre mani; l’ordinanza ingloba ampi stralci delle intercettazioni effettuate nelle quali si riferisce del ruolo del D.B.N. e dello S. e degli stretti rapporti con la famiglia Ercolano e Santapaola. Emergevano peraltro riscontri obiettivi e cioè cointeressenze tra i ricorrenti e gli Ercolano; il D.B. è amministratore unico della società DBT srl, inserita in un consorzio cui partecipano gli Ercolano. Da conversazioni captate emergeva l’intraneità dello S. alla logiche malavitose relative alla posizione monopolistica raggiunta dal P., così come alcuni imprenditori interessati riferivano di essere stati costretti ad utilizzare per i trasporti della merce mezzi della Paganese, mentre in precedenza utilizzavano mezzi della Panico. Il responsabile della Funghidea srl si era lamentato del servizio offerto dalla Paganese, e dalle conversazioni tra il P. e lo S. emerge la logica di stretto controllo sui trasporti ortofrutticoli con l’imposizione di usare solo mezzi della Paganese. Tra il P. e lo S. e tra il primo ed D. B. emergono tentativi di assicurare agli imprenditori possibilità di espandersi anche in altri mercati.

Il B. aveva spiegato le ragioni per cui era a conoscenza di queste operazioni essendo stato codetenuto di E.P. che gli aveva riferito che il braccio imprenditoriale della sua famiglia collegata a Sa.Ni. era la famiglia Di Bella che aveva una flotta di autoarticolati che trasportavano frutta; la circostanza per cui il collaboratore non conosceva i ricorrenti appariva irrilevante alla luce di tali spiegazioni. In sostanza le parole del P. trovavano conferma in quelle del B. e riscontri in specifici episodi di intimidazione per mantenere il controllo dei mercati ortofrutticoli attraverso gli Ercolano ed i Santapaola come nel caso della Funghidea srl. La documentazione prodotta dalla Di Bella circa le società con cui aveva avuto rapporti era inidonea a smontare la tesi del controllo monopolistico già evidenziato.

Circa le esigenze cautelari il Tribunale sottolineava l’estremo allarme sociale dei fatti contestati e la piena condivisione da parte dei ricorrenti delle strategie e delle logiche malavitose dei gruppi con i quali erano strettamente collegati.

Ricorre il D.B. che ripropone la censure già sottoposte al vaglio del Tribunale del riesame ed ad avviso del ricorrente frettolosamente esaminate attraverso la tecnica del sostanziale rinvio al provvedimento genetico.

Circa il reato sub ter) non erano emersi fatti di violenza ascrivibili in alcun modo al D.B.; non si erano potuti indicare neppure le eventuali parti lese e i contatti tra il ricorrente e la famiglia Ercolano e Santapaola non potevano surrogare tale carenza strutturale nell’individuazioni degli elementi essenziali del reati contestato. Il Tribunale del riesame di Napoli aveva già in relazione alla posizione del F.O. evidenziato come l’accusa non avesse dimostrato concreti fatti di minaccia o di intimidazione ai danni di persone specificamente individuate.

Analogamente erano rimasti del tutto nebulosi gli elementi che giustificavano la contestazione dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 contatti tra il P. e il D.B. erano emersi come del tutto sporadici ed occasionali, nè vi erano riscontri alla tesi per cui si sarebbe esercitata una forza d’intimidazione per favorire il P. e le ditte da questi indicate.

Se si fosse correttamente esclusa la contestata aggravatane la competenza territoriale non sarebbe stata presso il Tribunale di Napoli, ma presso il Tribunale di Catania nel cui circondario il ricorrente esercitava l’attività di imprenditore.

Non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza, in quanto a carico del D.B. vi erano solo le propalazioni del P.C..

La conversazione del 20.6.2006 non aveva trovato riscontri di sorta ed era frutto di mere elucubrazioni dei partecipanti. Il D.B. non aveva mai avuto stand della Melinda avendo sempre fornito marche concorrenti della prima e quindi non vi erano riscontri alle affermazioni del P.. Il D.B.N. non era cointeressato in alcun modo alla società Frutta & co., i trasporti effettuati per tali ditta erano stati minimi.

Era stata captata una sola conversazione tra il P. e il D. B.N. nel 2008 per un lavoro a Roma che non aveva portato a nulla e che era dal punto di vista investigativo del tutto irrilevante. Non vi era alcun rapporto tra il ricorrente ed il ferimento del M.R., nè alcun ruolo aveva esercitato il D.B. nella vicenda della Funghidea. Il D.B. e lo S. sono cugini, ma non erano soci in nessuna attività, tantomeno nella Frutta & co.

Le dichiarazioni del collaboratore B. erano de relato, concernenti informazioni molto datate e egli non aveva riconosciuto gli indagati. Le società del D.B. successive al 2001 non potevano essere note all’ E. che era stato detenuto con il collaboratore sino al 2001. Inoltre il collaboratore parla di fratelli D.B. che tali non erano in quanto non erano nemmeno parenti.

Il ricorrente aveva documentato l’attività svolta per numerosissime ditte sicchè non può ritenersi turbata la libera concorrenza nel settore.

Ancora non sussistevano le esigenze cautelari perchè il Di Bella di 47 anni era totalmente incensurato e pienamente inserito nel mondo lavorativo. Inoltre erano state sequestrate (Ndr: testo originale non comprensibile) del ricorrente e quindi in concreto non poteva sussistere alcun pericolo di reiterazione del reato.

Per lo S. si deduce la carenza e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato che non aveva esaminato le numerose doglianze proposte nell’atto di riesame e si era genericamente ed acriticamente riportato all’ordinanza genetica. La stessa sezione del Tribunale partenopeo aveva accolto tali doglianze nel procedimento contro F.O..

Circa il reato sub ter) non erano emersi fatti di violenza ascrivibili in alcun modo allo S.; a non si erano potuti indicare neppure le eventuali parti lese e i contatti tra il ricorrente e a famiglia Ercolano e Santapaola non potevano surrogare tale carenza strutturale nell’individuazioni degli elementi essenziali del reati contestato. Il Tribunale del riesame di Napoli aveva già in relazione alla posizione del F.O. evidenziato come l’accusa non avesse dimostrato concreti fatti di minaccia o di intimidazione ai danni di persone specificamente individuate.

Analogamente erano rimasti del tutto nebulosi gli elementi che giustificavano la contestazione dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 contatti emersi tra il P. e lo S. erano emersi come del tutto sporadici ed occasionali, nè vi erano riscontri alla tesi per cui si sarebbe esercitata una forza d’intimidazione per favorire il P. e le ditte da questi indicate.

Se si fosse correttamente esclusa la contestata aggravatane la competenza territoriale non sarebbe stata presso il Tribunale di Napoli, ma presso il Tribunale di Catania nel cui circondario il ricorrente esercitava l’attività di imprenditore.

Non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza: non poteva affermarsi che sussistessero rapporto stabili ed operativi con il clan Ercolano e Santapaola; richieste di provvedimenti cautelari per tali pretesi contatti erano già state rigettate dalle autorità giudiziarie siciliane e dall’accusa di art. 648 ter aggravato D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 l’indagato era già stato assolto in primo grado, ma tali ripetuti accertamenti giudiziari favorevoli allo S. non era stati tenuti in alcun conto dal Tribunale.

Dalle stesse conversazioni ambientali del 2.6.2006 non emergevano affatto i dedotti collegamenti con la ditta Paganese posto che la "Frutta & co" aveva effettuato per la Paganese nel 2006 solo due viaggi e nel 2007 altri 4. Irrilevanti e di scarso rilievo indiziario le intercettazioni telefoniche tra il P. e lo S. del 2005, cosi come i problemi sorti con V.F. per la cui risoluzione il ricorrente non risulta essere mai intervenuto, così come non era intervenuto in relazione alla situazione del sig.ri S., Gi.. Dalle dichiarazioni rese da tre operatori del settore, A., T. e De.Ve. emergeva una situazione di assoluta normalità nei rapporti tra il ricorrente e gli operatori del ramo. Il Pa. nella denuncia del 2005 non aveva mai parlato dello S.; il ricorrente aveva portato il M.R. dopo l’attentato subito alla stazione dei C.C. per ragioni di umanità, nessun nesso collegava il ricorrente e l’episodio del ferimento dell’autista C.N.;

nell’episodio dell’ A.E. (rivelata dalle telefonate scambiate con il P.) non vi era stata alcuna minaccia nè diretta nè larvata; anche dal viaggio intrapreso dal P. con lo S. non emergono attività illecite di sorta. Anche l’episodio della Funghidea non dimostra una partecipazione al fatto del ricorrente che non ha mai effettuato trasporti per lo S..

Le dichiarazioni del collaboratore B. sono inattendibili; il collaboratore non riconosceva l’indagato poi diceva che era un volto conosciuto.

Da ultimo si deduce che non sussistevano le esigenze cautelari poichè il ricorrente di 48 anni è incensurato dedito ad un lecito ed onesto lavoro, già prosciolto da ogni accusa con provvedimenti giudiziari del Tribunale di Catania. Non può comunque sussistere un pericolo di reiterazione del reato visto che i provvedimenti cautelari sono stati riportati in vastissimi ambienti dai media. Si chiede comunque l’applicazione di una misura meno affittiva.

La difesa del D.B. ha poi provveduto a depositare l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli riguardante il coimputato F. con la quale sono state accolte molte delle censure proposte oggi anche dall’odierno indagato.

Motivi della decisione

I ricorsi, stante la loro maniera infondatezza, vanno dichiarati inammissibili.

Circa la pretesa manifesta illogicità e comunque la carenza della motivazione della sentenza impugnata va ricordato l’orientamento di questa Corte (cass. Sez. un. n. 11/2000) secondo cui:

"in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

(In motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato art., ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza)".

L’ordinanza impugnata ricostruisce analiticamente l’opera di controllo da parte di ditte di trasporti collegate ai vari clan dell’attività di trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli da e verso i mercati del casertano e in alcuni territori della Sicilia, con l’emersione di un contrasto molto aspro tra la ditta La Paganese collegata al clan dei casalesi la ditta Panico inizialmente collegata con i Mallardo. Nel quadro delle indagini su tali episodi emergevano le dinamiche del controllo sui mercati catanesi (sempre relativamente al trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli) e attraverso alcuneditte legate alla famiglia Ercolano, quelle della famiglia Di Bella e quella di S.N., collegate poi alla ditta La Paganese, che aveva finito con l’espandersi dopo la Campania anche in Sicilia grazie ai collegamenti con la famiglia Ercolano ed agli imprenditori a questa collegati. L’ordinanza ha ricordato le dichiarazioni su tale attività di controllo del P.C., cui fanno eco le dichiarazioni del Pa.An. e del B. C., riscontrate in modo obiettivo ed univoco dalle intercettazioni riportate a pag. 11-12 dell’ordinanza impugnata sulla penetrazione della La Paganese anche nei mercati catanesi in cui si fa il nome del D.B.N. e S.N. captate in ambienti degli uffici della La Paganese dopo che il P. si era recato ad incontrare i siciliani e nelle quali viene piuttosto analiticamente ricostruito il meccanismo di controllo dei mercati ed i collegamenti con la famiglia Santapaola e gli Ercolano. I nomi degli attuali ricorrenti figurano con nettezza e sono connessi al "giro" complessivo delle dette "famiglie". Ulteriori riscontri alle dichiarazioni del P. provengono dalle cointeressenze tra i ricorrenti e gli Ercolano che neppure nei ricorsi si contestano puntualmente (v. pagg. 14 e 15 dell’ordinanza impugnata). L’ordinanza ricostruisce anche singoli episodi che confermano l’esistenza del contestata monopolio imposto con la forza agli altri imprenditori nell’utilizzazione della La Paganese, o di altri soggetti da questa indicati, per i trasporti delle merci; dalle dichiarazioni del Te. costretto, dopo aver utilizzato la ditta Panico, a passare ai servizi della La Paganese, alla vicenda Fughidea srl che aveva cercato di non sottostare al sistema, vicenda riscontrata dalle captazioni riferite a pag. 18 assolutamente inequivoche tra lo S. e il P.C.. Inoltre il collaboratore di giustizia B.C. ha rivelaci aver saputo dall’ E. P. in carcere che tra le ditte di cui si serviva il clan Santapaola-Ercolano vi era quella del Di Bella definito loro braccio imprenditoriale.

Pertanto la motivazione offerta dal Tribunale appare congrua e logicamente coerente per quanto riguarda le posizioni di entrambi i ricorrenti; gli elementi acquisiti e prima ricordati hanno consentito di inquadrare la loro attività imprenditoriale alla luce di un piano complessivo di controllo monopolistico del trasporto su gomma dei prodotti ortofrutticoli nei luoghi indicati in rubrica da parte dei clan di riferimento che si incentrava sulla ditta La Paganese e sulle ditte da questa prescelte o alla stessa gradite impedendo con intimidazione e minaccia che si potessero operare scelte alternative.

Ciò emerge non solo dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ma anche dalla intercettazioni molto chiare e dal significato non ambiguo riportate nell’ordinanza impugnata e dagli intrecci di interesse oggettivamente attestati tra i ricorrenti e la famiglia Santapaola e con il Pa., ed infine da specifici episodi che attestano le pressioni e minacce realizzare per mantenere il controllo nei trasporti su gomma a danno di possibili concorrenti.

Nei due ricorsi che si esaminano congiuntamente,essendo molto simili tra loro ed avendo la medesima impostazione, si offrono solo censure di mero fatto inammissibili in questa sede che sollevano questioni di merito già esaminate dal Tribunale del riesame. Peraltro negli stessi ricorsi non si negano i legami con la famiglia Santapaola ed emergono episodi di intimidazione e pressione su autotrasportatori nemmeno presi in considerazione nell’ordinanza impugnata. Si è peraltro proceduto alla contestazione dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 non solo sulla base delle dichiarazioni di ordine generale dei collaboratori di giustizia, ma con riferimento anche a specifici episodi che attestano come il commercio nel settore fosse sottoposto a rigido controllo e a reazioni dei clan controllanti in caso di tentativi di sottrazione all’imposto monopolio.

L’ordinanza richiamata del Tribunale di Napoli vertendo su altra e diversa posizione non può giovare agli imputati che sono attinti dai gravissimi indizi prima ricordati.

Circa le esigenze cautelari in sostanza nei due ricorsi si allega solo l’incensuratezza dei ricorrenti che tuttavia non può di per sè annullare quanto evidenziato nell’ordinanza che appare logicamente persuasivo: l’eccezionale allarme sociale del fenomeno emerso in questa indagine che dimostra uno stretto collegamento con clan mafiosi capaci di arrivare al controllo capillare di qualsiasi iniziativa economica anche connessa ad altre regioni italiane e con alleanze con altri clan. Il pericolo di recidivanza visti i collegamenti emersi con reti potentissime di natura criminale, la gravità dei fatti contestati ed anche la disponibilità di ordine economico appare correttamente e congruamente motivata; le censure sono di mero fatto o non rilevanti come l’allegazione per cui la vicenda è ormai di dominio pubblico e le aziende sono state sequestrate, vista la ramificazione degli interessi emersa e le connessioni con fenomeni associativi capaci di dipanarsi in ogni settore economico, non solo sul piano regionale.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile i ricorsi, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti;

inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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