Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-02-2011, n. 3915 Dichiarazione di adottabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 13 ottobre/3 novembre 2009, il Tribunale per i minorenni di Trento dichiarava lo stato di adottabilità di D. e S.R. nati a (OMISSIS) da B.S. e S.P..

Il Tribunale riteneva sussistente lo stato di abbandono dei suddetti minori ai quali mancava "quel minimo di cure ed affetti, complessivamente inteso, indispensabile per una crescita normale ed equilibrata", come era dimostrato dalla complessa attività istruttoria e dalla C.t.u. espletata. Le condizioni della madre, "incapace di cogliere i bisogni emotivi dei figli" e "di sviluppare una valida relazione affettiva" con gli stessi, e del padre, "persona limitata e passiva rispetto alle scelte della moglie, mai messe in discussione anche quando (erano) palesemente contrarie agli interessi dei figli", impedivano una prognosi favorevole ed imponevano la decisione assunta.

Con ricorso depositato in data 3 dicembre 2009, S.P. e B.S. presentavano reclamo avverso la sentenza e, ricordando il diritto dei minore a crescere nella propria famiglia, lamentavano l’erroneità della decisione rilevando, in particolare, che la consulenza tecnica espletata e recepita nella motivazione della sentenza, era frutto di un indagine svolta in modo contraddittorio e maldestro. La consulente, infatti, aveva preannunciato di voler concludere per la permanenza dei bambini presso i genitori e per il proseguimento del percorso di aiuto, ma, inopinatamente, aveva concluso in senso opposto, sulla base di circostanze riferite dagli operatori del centro estivo presso cui i minori erano stati accolti riguardo alla la presenza di ecchimosi e ferite sugli stessi. Gli episodi non erano stato oggetto di alcun approfondimento e, per contro, non era stato per nulla considerato il "positivo percorso intrapreso dalla famiglia nè ritenuto di approfondire acquisendo il parere" del neuropsichiatra infantile che aveva seguito i bambini, il quale riteneva che i disagi dei bambini, più che a carenze dei genitori, fossero conseguenza delle patologie da cui erano affetti a causa della loro nascita prematura.

Era, inoltre, discutibile il ruolo marginale attribuito al padre e smentita dalle relazioni inviate la asserita discontinuità nel seguire i percorsi di sostegno.

Chiedevano pertanto, in via preliminare, la sospensione dell’esecutività della sentenza; nel merito, la revoca o l’annullamento della dichiarazione dello stato di adottabilità con conseguente immediato rientro dei minori nel nucleo familiare di origine ed incarico al servizio sociale di ogni opportuna attività per il proseguimento del percorso di sostegno; in via subordinata, l’affidamento etero familiare dei minori demandando al servizio il potere di regolamentare termini e modalità dell’affidamento e dei rapporti dei minori con i genitori; in via istruttoria, il rinnovo della consulenza.

La Corte d’appello di Trento, con sentenza 64/10, rigettava l’appello.

Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione il S. e la B. sulla base di un unico motivo cui resiste con controricorso il tutore provvisorio dei minori.

Motivi della decisione

Con un unico articolato motivo di ricorso i ricorrenti contestano la sentenza impugnata laddove ha ritenuto sussistere le condizioni per la dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori. Il Collegio osserva che la Corte d’appello, con un’ ampia ed argomentata sentenza, ha esaminato con attenzione ed in profondità tutti gli elementi emersi dalla istruttoria processuale (la relazione del CTU, le relazioni dei servizi sociali, le dichiarazioni del medico chiamato a domicilio per visitare i bambini malati, le informazioni del centro frequentato dai minori, la relazione della neuropsichiatra infantile,la segnalazione dell’operatrice addetta al reparto di neonatologia subito dopo il parto) dai quali univocamente ha ritenuto emergesse l’inadeguatezza dei genitori a fornire ai minori quel minimo di cure ed affetti indispensabile per una loro crescita normale ed equilibrata in relazione alla quale ha confermato la pronuncia di stato di abbandono dei minori.

L’articolato percorso argomentativo del giudice di seconde cure non risulta adeguatamente censurato dal ricorso.

Questo infatti, risulta basato sostanzialmente sulla citazione di una serie di massime giurisprudenziali e di orientamenti dottrinari che sono del tutto avulsi dal contesto motivazionale della sentenza nei confronti della quale l’unica contestazione che viene mossa si limita alla generica affermazione che "non è affatto rigorosa nè improntata ai principi sovra richiamati visto che si è sostanzialmente richiamata ad una CTU della dott.ssa F. alquanto superficiale che, con quattro brevissime visite a domicilio e qualche telefonata, ha suggerito ai giudici la dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori senza nemmeno prendere in considerazione altre soluzioni meno dolorose come, ad esempio, un più′ incisivo intervento dei servizi sociali in aiuto della famiglia o l’affidamento temporaneo dei minori".

Per il resto il ricorso non contiene alcun specifico riferimento alle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata nei confronti delle quali non viene avanzata alcuna critica circostanziata.

Il motivo non risulta pertanto in alcun modo conforme ai principi ripetutamente affermati da questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 cod. proc. civ. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza. (da ultimo Cass 18421/09). In particolare, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di "errori di diritto" individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata. (Cass. 11501/06).

Il ricorso va, in conclusione dichiarato inammissibile. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio, liquidate come da dispositivo in favore della controricorrente A.M..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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