Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-10-2010) 21-01-2011, n. 2168 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la sentenza, con rito abbreviato, del Tribunale di Catania del 02.07.2008, di condanna di S.C. alla pena di anni tre mesi sei di reclusione ed Euro 400,00 di multa, riconosciute le attenuanti generiche, la continuazione e la diminuente del rito ed escluso l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, per estorsione tentata e consumata in danno di D.C.C., propone ricorso la difesa dello S. chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo: a) nullità del decreto di intercettazione ambientale, emesso dal P.M. in data 19.10.2007 e registrato con l’apposizione del timbro della cancelleria solo il giorno dopo, perchè il momento da cui decorerebbero gli effetti dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria sarebbe quello del deposito del provvedimento stesso, a nulla rilevando, a tal fine l’intervenuta convalida, nelle forme e tempi di rito. b) mancanza di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di cui all’art. 629 c.p..

Afferma il ricorrente che sarebbe illogico qualificare estorsiva la richiesta di pagare intervenuta fra appartenenti alla medesima organizzazione mafiosa anche se nella sentenza impugnata si afferma che lo S. agì per proprio conto e non per conto del clan di appartenenza. Dall’analisi delle dichiarazioni rese dalla persona offesa D.C.C., emerge che non furono proferite minacce da parte di S., che la richiesta di denaro fu urbana e non pressante che al rifiuto da parte della persona offesa di eseguire il lavoro, lo S. non reagì ed inoltre che il D.C. percepì bene che la richiesta di 700,00 Euro doveva intendersi come un prestito e tale evidenza emerge proprio dalla intercettazione ambientale.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente infondato 2.1 Il primo motivo di ricorso consiste nella pedissequa riproposizione dello stesso motivo di appello, anche se la Corte d’appello ha compiutamente valutato là censura e la ha respinta con una motivazione compiuta e condivisibile. La Corte territoriale, infatti, ha ravvisato l’assoluta urgenza investigativa di procedere all’intercettazione ambientale in occasione di un incontro fra lo S. e la parte lesa, in un orario in cui gli uffici di segreteria della Procura stessa sono sguarniti di personale amministrativo che notoriamente ha limiti di orario assolutamente diversi da quelli dell’Autorità Giudiziaria, sicchè la natura stessa dell’atto esclude che si possano le invocare attestazioni esterne all’operato dell’A.G. procedente.

Alla puntuale confutazione della pretesa difensiva in punto di fatto va solo aggiunto che nel regolamento processuale penale le nullità degli atti sono tipiche e fra le stesse non è prevista quella lamentata dalla difesa.

2.2 Anche il secondo motivo è inammissibile.

Il ricorrente,infatti, tende alla ricostruzione del fatto sulla base di un diverso apprezzamento degli elementi di prova emersi dalle dichiarazioni della persona offesa, senza riuscire a evidenziare i profili di contraddittorietà o di incongruità logica del provvedimento impugnato: egli, infatti si limita a dedurre che i giudici del merito avrebbero errato ad affermare la responsabilità penale per il reato di estorsione ed assume che tale errore sarebbe stato determinato da una non corretta valutazione del contesto ambientale in cui si sono svolti i fatti, proponendo una diversa – e a suo avviso più corretta – interpretazione dello stesso e del materiale probatorio acquisito, sicchè attraverso la pretestuosa deduzione di un’asserita illogicità della motivazione della sentenza impugnata, tenta,in realtà, di ottenere una rivalutazione delle prove, che si risolverebbe in un sostanziale nuovo giudizio sul fatto. Tale giudizio, per costante giurisprudenza di questa Corte, è sottratto, come tutte le valutazioni di merito, al sindacato di legittimità della Cassazione.

3. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma si Euro 1000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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