Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-02-2011, n. 3909 Danni Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.F., premesso che il comune di Monterotondo, con delibera del 18 marzo 1983, aveva autorizzato l’occupazione di alcuni terreni di proprietà dell’attore, l’occupazione era avvenuta il 15/6/1983, l’opera pubblica era stata realizzata entro il quinquennio di occupazione legittima, ma la procedura espropriativa non era stata completata con l’emissione del decreto di esproprio, chiedeva in giudizio la condanna del Comune al risarcimento dei danni.

Il Comune eccepiva che, a seguito di proroga legale, era ancora possibile l’emissione del decreto di esproprio e che quindi la domanda era improponibile e, nel merito, infondata.

Veniva disposta ed espletata CTU. Il Tribunale, con sentenza depositata il 26/3/2001, ritenuta verificata l’accessione invertita, condannava il comune a pagare al P. a titolo risarcitorio la somma di L. 190.638.395, oltre interessi e rivalutazione dal 1 gennaio 1998.

Interponeva appello il Comune, deducendo che lo stesso Tribunale, in altro giudizio definito con sentenza depositata il 10/7/1991 e passata in giudicato, nel decidere la domanda del P. intesa ad ottenere l’indennità di occupazione legittima per le stesse aree oggetto di occupazione appropriativa, per il periodo di occupazione legittima, dal 15/6/1983 al 15/6/1988, aveva valutato i terreni in L. 14.000.000; che quindi il Tribunale non poteva in base ad una diversa CTU, stimare il terreno come edificabile in L. 90.000 (90.435) al mq.; che comunque detta diversa valutazione era immotivata e che, anche a ritenere la edificabilità del terreno in oggetto,la valutazione non poteva superare lire 60.000 al mq.,come stimato da altri CTU in cause riguardanti terreni con le medesime caratteristiche di quello di causa, posti in zone limitrofe; che non poteva infine riconoscersi la rivalutazione, trattandosi di credito di valuta, e non avendo il P. provato il maggior danno ex art. 1224 c.c..

Il P. si costituiva, contestava che la precedente sentenza del Tribunale costituisse giudicato esterno, e ribadiva l’elevata potenzialità edificatoria del terreno, secondo l’indice di fabbricabilità previsto dal piano di zona per il comprensorio ove lo stesso si collocava. La corte d’appello, con sentenza depositata il 18/10/2004, n. 4467/2004, ha accolto per quanto di ragione l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale, ha condannato il Comune a pagare al P. la minore somma di L. 14.569.200, pari ad Euro 7524,36, con la rivalutazione Istat dal 15/6/1988 sino alla data della decisione e con gli interessi legali sulle somme anno per anno rivalutate, oltre gli interessi legali sulle somme portate in sentenza sino al saldo.

La corte territoriale ha ritenuto fondata la prima censura, e quindi preclusa dal giudicato esterno, costituito dalla precedente sentenza del 1991, la valutazione del terreno, dato che la prima stima si configurava come presupposto logico-giuridico indefettibile non solo della statuizione sulla indennità, ma anche di quella del danno, siccome fatto essenziale comune ad ambedue le domande, nè erano intervenute successivamente al periodo oggetto della prima stima, 1983/1988, variazioni nei fattori di stima alla data dell’ottobre 1993, quando si era verificata l’accessione invertita.

Da ciò, secondo la corte, conseguiva che avendo il Tribunale, nel precedente giudizio, qualificato il terreno in oggetto come integralmente agricolo, procedendo alla conseguente stima, ancorchè ai fini dell’occupazione legittima, la relativa statuizione era divenuta cosa giudicata, per cui l’accertamento di valore restava fermo anche ai fini della determinazione del danno da accessione invertita, con liquidazione in misura pari al valore stesso, ossia al valore intero in luogo di quello ridotto L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis vertendosi in caso di terreno agricolo e non edificabile.

Propone ricorso per cassazione il P., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il Comune.

Il P. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1.1.- Con il 1^ motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 324 c.p.c., art. 1362 c.c. e art. 2909 c.c. sostenendo l’illegittimità della sentenza per avere ritenuto il giudicato esterno, atteso che il precedente giudizio tra le parti, definito con la sentenza del 10/7/1991, aveva ad oggetto l’indennità per occupazione legittima, quindi riguardava un rapporto giuridico autonomo rispetto a quello oggetto del presente giudizio, nè vi è coincidenza tra i diritti controversi nei due giudizi,e diversi sono i rapporti, il primo, di tipo autoritativo, il secondo, paritetico, derivante da atto illecito della P.A., così come sono diversi il petitum e la causa petendi; la corte d’appello infine, nella interpretazione della sentenza del 1991, ha violato anche i criteri di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. e segg., di portata generale.

1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ex art. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che erroneamente la corte d’appello ha ritenuto che il riferimento al valore venale dell’area, nel primo e nel secondo giudizio, postulino automaticamente l’identità degli elementi costitutivi dell’azione, mentre il valore venale nei due giudizi ha cause giuridiche distinte, autonome, il primo autoritativo, il secondo, paritetico, con valutazioni distinte; nel primo giudizio, indennitario, la valutazione è stata effettuata con riferimento all’immissione in possesso ed all’astratta classificazione urbanistica dell’area al momento di immissione in possesso, nel secondo, risarcitorio, con riferimento al momento di verificarsi della vicenda ablativa ed alla natura e concreta vocazione edificatoria a quel momento.

2.1.- In relazione al primo motivo, il Comune ha eccepito l’inammissibilità, deducendo che può contestarsi il giudicato esterno solo per motivi attinenti al difetto di motivazione: detta eccezione è infondata, alla stregua dell’orientamento del S.C. come espresso nella sentenza, resa a sezioni unite, n. 24664/2007, nei seguenti termini: "… proprio una tale innegabile vis normativa del giudicato comporta, come ulteriore duplice obbligato corollario, che, nel giudizio di legittimità, per un verso, l’esistenza del giudicato possa essere direttamente rilevata dalla Corte (sulla base del materiale acquisito al processo) e, per altro, che l’interpretazione del giudicato debba essere coerentemente operata – come già espressamente chiarito nella più volte citata sentenza n. 226 del 2001 – alla stregua della interpretazione delle norme e non di quella degli atti e dei negozi giuridici.

Dal che, a sua volta, discende, sempre su un piano di logica e giuridica consequenzialità che – costituendo, a sua volta, l’interpretazione del giudicato operata dal Giudice del merito non un apprezzamento di fatto (come presupposto dalle sentenze dissenzienti) ma, una quaestio iuris – la stessa sia sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge.

4.3. Per cui appunto – come pure già affermato dalla sentenza 226 del 2001, con enunciazione di principio, che qui si ribadisce, con valenza risolutiva della questione di contrasto – "il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito".

Vedi anche le successive pronunce 2732/08 e 21200/09.

Nel merito, il motivo è infondato,atteso che è jus receptum che il giudicato si forma non solo su ciò che costituisce direttamente oggetto della statuizione adottata dal giudice, bensì anche su tutto ciò che il giudice ha ritenuto certo, fosse o non controverso tra le parti, purchè tale accertamento sia così necessariamente ed inscindibilmente legato con la statuizione finale, da doversi ritenere che costituisca oggetto della statuizione o, quanto meno, un presupposto logico della stessa (Cass. 14477/99, 5968/1995) , così estendendosi agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione, formandone il presupposto, in modo da coprire tutto quanto rappresenta il fondamento logico giuridico della pronuncia; pertanto, l’accertamento su un punto di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria della decisione divenuta definitiva, quando sia comune ad una causa introdotta posteriormente, preclude il riesame della questione,anche se il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo, ed a condizione che i due giudizi abbiano identici elementi costitutivi dell’azione (soggetti, causa petendi, petitum), secondo l’interpretazione del giudice del merito, ed insindacabile dal giudice di legittimità, ove immune da vizi logici e giuridici (così Cass. S.U. 6689/95 e le successive pronunce 14414/02, 9685/03, 2469/03 e 5964/04). E’ opportuno a riguardo precisare che per "giudizi identici" si intendono quelli nei quali l’identità delle due controversie (in termini di "identità in senso lato" si esprime efficacemente la sentenza 9685/2003) riguarda i soggetti, la causa petendi ed il petitum, per come questi fattori sono inquadrati nell’effettiva portata della domanda giudiziale e della decisione (in tal senso, Cass. 1514/2007 e Cass. 17 febbraio 2000, n. 1773, ma già ss.uu. 17 marzo 1998, n. 2874).

Nel caso, il giudicato formatosi sulla qualificazione del terreno come integralmente agricolo, con la conseguente stima, quale antecedente logico giuridico della statuizione sulla indennità di occupazione legittima, calcolata secondo il criterio degli interessi legali sul valore del suolo, preclude ogni diversa qualificazione e valutazione del terreno medesimo nel giudizio risarcitorio per occupazione appropriativa, costituendo l’accertamento in fatto del valore del bene il comune punto di partenza sia per il calcolo dell’indennità di occupazione, che per la stima del danno risarcibile.

Nè, come è di palese evidenza, è il valore del bene a mutare a seconda che si agisca per l’indennità da occupazione legittima o per il danno da accessione invertita, bensì il solo criterio legale di determinazione.

2.1.- Il secondo motivo è infondato: a riguardo, è sufficiente rilevare che, al di là della protestata diversità ontologica dei rapporti, rimane il rilievo dirimente che in entrambi i casi il presupposto logico giuridico di quantificazione è la stima del valore del bene, così come è irrilevante la diversità dei due crediti, indennitario e risarcitorio, atteso che le uniche differenze si concretizzano nel ricorso a diversi parametri legali per la quantificazione dell’indennità e del danno.

Vale solo la pena di rilevare che nel caso non si pone in alcun modo la questione dell’incidenza della sentenza della corte costituzionale, n. 349 del 2007, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, in quanto relativa alla disciplina dell’occupazione appropriativa dei terreni edificabili e non agricoli, come quello di cui è causa, per quanto sopra rilevato.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al Comune di Monterotondo le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3000,00, oltre Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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