Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-01-2011) 22-01-2011, n. 2241

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. A V.R. era contestato il reato di cui all’art. 570 c.p., commesso in (OMISSIS) fino "alla data odierna" nei confronti della moglie P.G. – costituitasi parte civile – e fino al 3.9.2000 (data della maggiore età) nei confronti della figlia A..

Con sentenza del 28.9.2006 il Tribunale palermitano lo condannava alla pena di giustizia, nonchè al risarcimento dei danni in favore della P., per la cui liquidazione rinviava alla sede civile, assegnando una provvisionale.

Con sentenza del 20.9.2007 – 22.9.2008, la Corte territoriale:

riqualificava i fatti in danno della P. successivi al 7.5.2004 (data della sentenza di divorzio) ai sensi dell’art. 12 sexies della L. n. 898 del 1970; riteneva la continuazione tra i reati così qualificati e quello già giudicato con la sentenza della Corte d’appello di Palermo del 19.12.2000, divenuta irrevocabile il 16.10.2002, rideterminando la pena per il nostro procedimento in tre mesi e 300,00 Euro di multa quale aumento rispetto alla pena applicata nel processo definito, che rideterminava nel suo complesso e con la sospensione condizionale. Confermava le statuizioni civili.

2. Ricorre con atto personalmente sottoscritto il V., con unico articolato motivo deducendo erronea applicazione della legge penale in riferimento agli artt. 124, 570 e 81 c.p., carenza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine al punto della tardività o carenza della condizione di procedibilità del reato (afferente la sola posizione della P.).

Precisata in fatto la successione degli eventi e, in particolare, che già il 5.6.2003 la P. si era costituita nel giudizio per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio concordatario prospettando con specifiche argomentazioni l’asserita volontaria e consapevole sottrazione del V. all’obbligo di contribuzione al mantenimento di sè e della figlia, mentre solo il 26.1.2004 aveva presentato la querela, il ricorrente contestava che la ritenuta permanenza del reato – in atto dal 22.12.1999 secondo la contestazione, quindi dal periodo temporale immediatamente successivo a quello considerato dalla precedente sentenza (deliberata il 21.12.1999) – o anche la ritenuta continuazione rendessero tempestiva la querela. Concludeva pertanto per l’annullamento della sentenza nella parte relativa alla contestazione in danno della P., anche con annullamento delle corrispondenti statuizioni civili.

3. Il ricorrente pone solo il tema della procedibilità del reato, sicchè risulta ‘attaccatò esclusivamente il punto della decisione afferente l’affermazione di colpevolezza relativamente al reato ex art. 570 c.p. in danno della P., posto che il delitto L. n. 898 del 1970, ex art. 12 sexies (ritenuto dalla Corte distrettuale per le condotte omissive successive al 7.5.2004 e protrattesi fino alla data della sentenza di primo grado) è procedibile d’ufficio (Sez. 6, sent. 39938 del 25.9 – 13.10.2009 e Sez. 6, sent. 39392 del 3 – 24.10.2007, il cui insegnamento è da condividere rispetto a quello, diverso ma remoto, di Sez. 6, sent. 21673 del 2.3-7.5.2004, posto che il rinvio operato dall’art. 12 sexies è, come la lettera inequivoca della norma in realtà indica, alle ‘penè e non anche alla disciplina complessiva del reato richiamato, anche afferente la procedibilità, aspetto del tutto autonomo rispetto al punto del contenuto del trattamento sanzionatorio).

L’intervenuta condanna per il reato ex art. 570 c.p., dopo la sentenza d’appello, riguarda il periodo dal 21.12.1999 e il 6.5.2004:

la querela risulta proposta il 26.1.2004. 3.1 La questione di diritto posta dal ricorso è come il termine ordinario di tre mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato, per l’utile esercizio del diritto di querela, operi nel caso di reato permanente e, in particolare, "se il mancato tempestivo esercizio rispetto al momento dell’effettiva conoscenza, nonostante la natura permanente del reato, renda improcedibili le condotte antecedenti i tre mesi dalla proposizione della querela o, addirittura, tutte le condotte, passate ma anche future se rientranti nella medesima permanenza", in ragione della sopravvenuta "impossibilità" (normativa: l’art. 124.1 c.p. utilizza infatti la locuzione "non può essere esercitato", indice del venir meno del diritto/potere non esercitato) di esercitare il diritto.

Questa Corte ha, con le sentenze Sez. 6, n. 11556 del 19.11.2008 – 17,03.2009 e n. 22219 del 11.05 – 10.06.2010, evidenziato il dato normativo offerto dal capoverso dell’art. 382 c.p.p., che afferma il protrarsi dello stato di flagranza nei reati permanenti fino al momento in cui sia cessata la permanenza, affermando conseguentemente che la querela proposta in costanza di flagranza deve considerarsi comunque tempestiva almeno con riferimento al corrispondente periodo pregresso e, tenuto conto dell’intrinseca struttura unitaria del reato permanente, anche con riferimento al periodo successivo, finchè si protrae la permanenza.

Tale conclusione va confermata, con la precisazione ed il chiarimento che seguono.

Come osservato fin da risalente dottrina, il termine di legge per l’esercizio del diritto di querela – una volta che il legislatore abbia scelto di subordinare all’istanza di parte la procedibilità di un determinato reato – muove da un duplice ragionevole presupposto:

evitare che per tutto il tempo nel quale matura la prescrizione del reato rimanga aperta la possibilità di perseguirlo; consentire un congruo lasso di tempo per le relative valutazioni del soggetto passivo del reato.

La previsione del decorso del termine per l’esercizio del diritto di querela è quindi strutturalmente connessa all’inizio del decorso della prescrizione. Termine per la querela e decorso della prescrizione presuppongono pertanto la certa e definitiva consumazione del reato cui si riferiscono. Nel caso del reato permanente, la prescrizione decorre dalla cessazione della permanenza (art. 158 c.p., comma 1).

Ancora, dal punto di vista sistematico la rinuncia all’esercizio di un diritto processuale non può che valere per i fatti che precedono il momento della rinuncia, quindi per la situazione allo stato degli atti del momento in cui essa interviene, unica in grado di attribuire effettiva consapevolezza alla scelta della rinuncia.

Ed allora, sia la natura del reato – la permanenza in atto impedisce il decorso della prescrizione, elemento sistematico connesso e congruo al decorso del termine per la proposizione della querela, quando prevista -, sia l’indicazione normativa – il reato permanente è flagrante fino alla cessazione della permanenza, art. 382 c.p.p., comma 2 -, sia l’aspetto sistematico la rinuncia all’esercizio di un diritto processuale tendenzialmente non può che valere per i soli fatti, sostanziali o di procedimento, pregressi – concorrono all’affermazione del principio di diritto per il quale nel caso di reato permanente, il diritto di querela può essere esercitato dall’inizio della permanenza fino alla decorrenza del termine di tre mesi dal giorno della sua cessazione, rendendo sempre procedibili tutti i fatti consumati dall’inizio fino alla cessazione della permanenza medesima.

Nel caso di specie è pacifico che la querela sia stata presentata prima della cessazione della permanenza del reato di cui all’art. 570 c.p., sicchè il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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