Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-01-2011) 22-01-2011, n. 2238

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con sentenza del 23.10.2007 il Tribunale di Paola sezione di Scalea, a conclusione di giudizio svoltosi con rito ordinario, ha riconosciuto I.S. colpevole del delitto di maltrattamenti in danno dei tre figli minorenni (due maschi e una bambina), ripetutamente picchiati con una cinta e lasciati a casa da soli chiusi a chiave nella loro stanza da letto. Condotta illecita per la quale il Tribunale, concessele generiche circostanze attenuanti, ha condannato l’imputata alla pena condizionalmente sospesa di un anno di reclusione.

2. La Corte di Appello di Catanzaro, adita dall’impugnazione del difensore della I., con l’indicata sentenza del 13.3.2009 ha confermato la decisione di condanna del Tribunale, interamente condividendone la ricostruzione della vicenda processuale e l’analisi valutativa del complessivo comportamento dell’imputata.

In particolare la Corte territoriale, respinta l’eccezione difensiva di nullità – per generica collocazione temporale dei fatti ascritti alla I. ("commessi fino all’aprile 2004") – del decreto di citazione diretta a giudizio (asseritamente non potuta sollevare in primo grado), ha evidenziato, per un verso, che i motivi di doglianza dell’imputata sono stati già in sostanza esaminati e confutati dalla sentenza di primo grado, alla cui ampia motivazione si è riportata per relationem, e – per altro verso – ha ribadito la sussistenza dell’elemento materiale del contestato reato di maltrattamenti, fatto palese dalle convergenti fonti testimoniali assunte nel dibattimento davanti al Tribunale. Fonti dalle quali è emerso come l’imputata non si sia fatto scrupolo: a) di sottoporre i figli a continui gesti di vessazione e violenza fisica del tutto gratuiti e avulsi da qualsiasi recondito e malinteso intento correttivo; b) di chiuderli a chiave la sera (intorno alle ore 18.00/18,30) nella loro stanza, lasciandoli da soli in casa per avere la possibilità di uscire e di coltivare un rapporto extraconiugale con tale C.A. (testimonianze, anche tralasciando le univoche dichiarazioni accusatorie della suocera della I.: di G.R., sul contegno dell’imputata in merito al trattamento inflitto ai tre bambini e sulla relazione della donna con il C.; dello stesso C. sulle percosse inflitte con una cinghia ai bambini e alla pretesa della donna di indurre i piccoli a chiamarlo "papa"; di L.R. sullo stato di perenne sonnolenza del marito della donna, occupato in lavoro notturno come panificatore e non in grado, quando a casa, di prendersi cura dei tre figli).

3. Contro la sentenza di appello I.S. ha proposto, mediante il difensore, ricorso per cassazione, proponendo i seguenti due motivi di censura.

1. Violazione degli artt. 491 e 492 c.p.p. e art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c) e nullità del decreto di citazione diretta a giudizio.

Nullità che il giudice di primo grado ha impedito di eccepire, dichiarando aperto il dibattimento prima di dare spazio ad eventuali questioni preliminari delle parti e che si connette alla genericità dell’accusa con peculiare riguardo alla collocazione temporale degli episodi di maltrattamento attribuiti all’imputata, di cui è stato in tal modo compromesso il diritto di difesa.

2. Erronea applicazione dell’art. 572 c.p. e art. 192 c.p.p. e manifesta illogicità della motivazione per omessa assunzione di prova decisiva. Incorrendo negli stessi errori di giudizio del Tribunale, i giudici di appello non hanno tenuto conto delle deposizioni testimoniali utili alla difesa, attestanti la preminente finalità correttiva del contegno di severità della I. verso i tre figli, e soprattutto del mancato apprezzamento dell’assenza di tracce di sofferenza dei bambini, non rilevati dall’assistente sociale (tale dr.ssa Ca.Iv.), che ha redatto una relazione sulla situazione familiare per il pubblico ministero minorile e avrebbe dovuto essere chiamata a deporre dalla Corte di Appello, nè registrati dagli insegnanti degli stessi bambini. La vicenda processuale al cui centro è posta la I. è frutto di generalizzata mistificazione di fatti e circostanze, tutte non veritiere, ivi inclusa l’asserita relazione extraconiugale della donna.

4. L’impugnazione di I.S. è inammissibile per manifesta infondatezza e indeducibilità delle due serie di censure.

A. Quanto alla dedotta nullità della citazione a giudizio, è agevole osservare che dall’esame degli atti del dibattimento di primo grado (conoscibili da questa S.C. per la natura di error in procedendo dell’addotto vizio di legittimità) non si coglie, in primo luogo, traccia alcuna della irritualità della fase di apertura del dibattimento, alla stregua della lettura della trascrizione del verbale di udienza del 19.6.2006 e della coeva ordinanza del Tribunale ("…il giudice rileva che aveva dato lettura dell’imputazione senza nessuna eccezione delle parti, che il difensore dell’imputata era intervenuto nel corso della esposizione introduttiva del p.m., interrompendolo senza autorizzazione…"). In secondo e assorbente luogo la genericità del capo di imputazione è insussistente per le ragioni già espresse dalla impugnata sentenza, che ha osservato come – ad onta della addotta sommarietà dell’accusa (che enuncia, tuttavia, gli elementi fondanti della contestazione:

bambini puniti con cinghiate e chiusi a chiave in una stanza) – l’imputata nel corso della dialettica dibattimentale (si è proceduto con giudizio ordinario) abbia avuto ampio modo di conoscere nel dettaglio le condotte ascrittele e, in conseguenza, di articolare una difesa piena e completa sotto ogni profilo.

B. I rilievi della ricorrente concernenti la sussistenza del reato attribuitole, sia quanto all’elemento materiale che quanto all’elemento soggettivo (dolo generico) sono innanzitutto generici, laddove riproducono gli invariati motivi di appello contro la decisione del Tribunale (su temi presi in esame anche dal giudice di primo grado) e a prospettano – poi – imperniati su dati di mero fatto volti ad una reinterpretazione delle fonti di prova testimoniali non consentita nel giudizio di legittimità, avuto riguardo alla completezza di analisi e alla logicità della motivazione con cui le due conformi sentenze di merito, in aderenza alle emergenze istruttorie, hanno valutato incontestabile la sussumibilità della condotta dell’imputata nella fattispecie del reato abituale di cui all’art. 572 c.p.. Condotta uniformemente descritta dai testimoni assunti in dibattimento e rispetto alla quale la Corte di Appello (tenuta a motivare l’ammessa riapertura dell’istruttoria ex art. 603 c.p.p., ma non anche il diniego della stessa) ha constatato l’inconferenza delle ulteriori fonti indicate dalla difesa (esame dell’assistente sociale e degli insegnanti dei bambini), da momento che l’assistente sociale, come evidenzia la sentenza di primo grado, ha visto i bambini in una sola rapida occasione e che il buon rendimento scolastico dei tre bambini non è certo incompatibile con le continuative vessazioni loro inflitte dalla madre. Giova aggiungere per completezza, che – al contrario di quanto confusamente si ipotizza nel ricorso – la pluralità e ripetizione degli atti di violenza fisica attuati dalla I. in danno dei figli, con piena consapevolezza della gratuità delle sue azioni vessatorie, integra il reato di maltrattamenti e non quello di abuso di mezzi di correzione, ancorchè erroneamente supposto, sol che si abbia riguardo alla reiterazione temporale dell’iniqua condotta di sopraffazione e al generalizzato sistema di vita familiare, basato su un clima di afflizione e paura, da essa instaurato nei confronti dei tre figli dell’imputata (cfr.: Cass. Sez. 6, 7.10.2009 n. 48272, rv 245329; Cass. Sez. 6,21.12.2009 n. 8592/10, rv. 246028).

A seguito dell’inammissibilità dell’impugnazione la ricorrente deve per legge essere condannata al pagamento delle spese processuali ed al versamento in favore della cassa delle ammende dell’equa somma di Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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