Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-12-2010) 22-01-2011, n. 2237 Frode nell’esercizio del commercioFrode nell’esercizio del commercio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di D.B. propone ricorso avverso la sentenza emessa il 07/04/2010 dal Tribunale di Genova, quale giudice di rinvio, cui il procedimento era stato rimesso per la determinazione della pena in ordine alla residua imputazione di cui all’art. 474 cod. pen. e L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, come successivamente modificato.

Il ricorrente richiama l’orientamento giurisprudenziale in argomento, sopraggiunto al giudizio di rinvio, maturato a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia europea, che ritiene non più configurabile il reato di cui all’art. 171 ter riguardante la detenzione di materiale privo del bollino Siae, per l’assenza della comunicazione della norma tecnica prevista dalla legislazione italiana all’autorità europea competente, omissione dalla quale discenderebbe la disapplicazione della relativa disciplina penale. In conseguenza si chiede l’annullamento della pronuncia sul punto.

2. Con secondo motivo si lamenta violazione del divieto di reformatio in pejus per avere il giudice determinato la pena in misura più gravosa per l’imputato, riducendola, per effetto del riconoscimento del attenuanti generiche, in misura inferiore al terzo, diversamente da quanto già riconosciuto dal primo giudice.

Motivi della decisione

1. Il ricorso risulta fondato solo parzialmente.

Quanto al primo motivo deve osservarsi che l’impossibilità di qualificare reato la detenzione dei supporti magnetici riproduttivi di opere tutelate dalla norme sul diritto d’autore privi del timbro Siae, per omessa comunicazione della regola tecnica ai competenti uffici europei, conseguente all’intervento della Corte di Giustizia europea reso con sentenza resa ai sensi dell’art. 234 del Trattato CEE, emessa l’8 novembre 2007 nel procedimento C-20/05, Schwibbert, incide solo parzialmente sulla fattispecie penale contestata, che prevede varie modalità di configurazione del reato. Infatti, a seguito della pronuncia dell’autorità giudiziaria europea, secondo la giurisprudenza di questa Corte "l’inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria dell’illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere da solo, in carenza di altre emergenze, la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta" (sez. 3, n. 13810 del 12/02/2008, dep. 02/04/2008, imp. Diop, Rv.

239949.

Nella specie risulta contestata l’illecita duplicazione delle opere, la cui consumazione non è dato desumere solo dalla mancanza del contrassegno richiamato, ma da una condizione di fatto, costituita dall’apposizione della dicitura fac-simile sui singoli supporti magnetici. Significativamente nell’atto di gravame proposto avverso la sentenza di primo grado mai è stata contestata la responsabilità in relazione all’azione illecita descritta nel capo di imputazione, sollecitandosi in tale atto esclusivamente una diversa qualificazione dei fatti sul reato di ricettazione, per il quale originariamente l’imputato aveva riportato condanna.

Sulla base di tali presupposti di fatto, indipendentemente dal passaggio in giudicato della pronuncia sotto il profilo della responsabilità, si osserva che nel presente procedimento è stato contestato il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) come modificato dalla L. n. 248 del 2000, art. 14, che punisce la detenzione per la vendita di duplicazioni abusive di opere di ingegno, tra cui quelle musicali, quali certamente erano quelle possedute dall’imputato, ed in relazione a tale condotta il richiamo alla mancanza del contrassegno Siae non è elemento costituivo del reato, come avviene per la lettera d) della disposizione richiamata, ma costituisce uno degli elementi da cui trarre la prova della non genuinità del supporto, indizio che nella fattispecie non è isolato, ma arricchisce un quadro già indirizzato nel senso dell’abusiva riproduzione, derivante dagli elementi di fatto già richiamati.

Deve pertanto escludersi la possibilità, nel concreto, di giungere all’annullamento della pronuncia in punto di responsabilità, relativamente al capo riguardante il reato richiamato.

2. Fondato, nel senso successivamente precisato, è invece il motivo di ricorso che riguarda l’entità della sanzione.

Questa Corte condivide l’applicazione che del principio del divieto di reformatio in pejus sulla pena è stato riconosciuta in altre pronunce (Sez. 3, n. 25606 del 24/03/2010, dep. 06/07/2010, imp. Capolino, Rv. 247739), le quali hanno ammesso la possibilità di un diverso computo intermedio della sanzione da parte del giudice; tale possibilità è stata riconosciuta, in parziale dissenso da quanto statuito sul punto dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, dep. 10/11/2005, imp William Morales, Rv.

232066), al fine di non limitare la discrezionalità del giudice che deve esprimersi con la determinazione della sanzione applicabile al caso concreto. Infatti, si è condivisibilmente valutata insopprimibile la discrezionalità di questo giudizio, il cui esercizio garantisce l’adeguamento della pena al caso concreto anche qualora nei successivi gradi del processo, mutino i termini di riferimento, giuridici e di fatto. Tuttavia deve convenirsi che nella specie, ove immutata è rimasta la pena base individuata nel concreto, risulta che il giudice di rinvio abbia operato una riduzione minore della pena detentiva, per effetto delle già concesse attenuanti generiche, senza in alcun modo giustificare tale decisione. In assenza di qualsiasi motivazione in proposito, risulta violato il divieto di riforma peggiorativa, in ragione del quale va quindi annullata la pronuncia solo in relazione al calcolo della pena detentiva, ove la sanzione è stata ridotta in misura inferiore al terzo, sanzione che può essere rideterminata in questa sede, dovendosi seguire esclusivamente il calcolo matematico già individuato dal primo giudice con riferimento alla riduzione per l’applicazione delle attenuanti generiche, contestato nel ricorso.

3. Sulla base di tali presupposti la pena base di mesi sette e giorni quindici di reclusione ed Euro 2.700 di multa riferibile al reato di cui all’art. 171 ter cit. va ridotta a mesi cinque di reclusione ed Euro 1.800 di multa per effetto delle attenuanti generiche, aumentata a mesi sei di reclusione ed Euro 1.900 di multa per il reato di cui all’art. 474 cod. pen. in continuazione, e ridotta per il rito come in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla pena che determina in quella di mesi quattro di reclusione e di Euro 1.300 di multa. Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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