Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-12-2010) 22-01-2011, n. 2232

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 18-1-2008 il Tribunale di Caltanissetta ha dichiarato C.G. colpevole del reato di cui all’art. 336 c.p. e, con le attenuanti generiche, l’ha condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro di reclusione.

Con sentenza in data 6-10-2009 la Corte di Appello di Caltanissetta ha sostituito la pena detentiva irrogata all’imputata con Euro 4.560,00 di multa, ha eliminato il beneficio della sospensione condizionale e ha dichiarato interamente condonata la pena inflitta, confermando nel resto la decisione di primo grado.

La C., per mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, denunciando con un primo motivo la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine a varie questioni prospettate con i motivi di appello.

Con un secondo motivo la ricorrente deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Sostiene che la condotta dell’imputata non è idonea ad integrare il reato di cui all’art. 336 c.p., e che, nella specie, sussistono i presupposti di operatività dell’esimente di cui al D.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4, essendosi trattato di una reazione legittima all’attività illegittima posta in essere dagli agenti.

Con motivi nuovi depositati in prossimità dell’odierna udienza il difensore della ricorrente ha eccepito la nullità della costituzione del Pubblico Ministero nelle udienze di primo grado del 19-11-2004 e del 18-1-2008, la mancata valutazione delle prove offerte dalla difesa e la sopravvenuta prescrizione del reato.

Motivi della decisione

1) Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte di Appello, con apprezzamento in fatto insindacabile in questa sede, ha accertato che l’imputata, dopo aver parcheggiato in seconda fila la sua auto ed aver quindi violato l’art. 158 C.d.S., ha tenuto nei confronti degli agenti della Polizia Municipale R. e Ca. una condotta minacciosa e violenta, al fine di impedire loro di elevare il verbale di infrazione. Gli elementi di prova sono stati desunti essenzialmente dalle deposizioni dei due vigili, che il giudice di appello ha ritenuto attendibili, convergenti tra loro nella parte essenziale dei fatti riferiti e suffragate dalle testimonianze del Co. e della N. (componenti della seconda pattuglia intervenuta in ausilio al R. e al Ca. a seguito delle intemperanze della C.), anch’esse considerate pienamente credibili. Il tutto sulla base di argomentazioni prive di palesi incongruenze logiche, con le quali è stata fornita sostanziale risposta ai rilievi mossi dall’appellante con i motivi di gravame.

Ciò posto, si osserva che la ricorrente, attraverso la formale prospettazione di vizi di motivazione, propone, in realtà, mere censure di merito, con le quali mira ad ottenere una rilettura degli atti ed una diversa interpretazione delle emergenze processuali. Ma, come è noto, esula dai poteri attribuiti alla Corte di Cassazione quello di procedere ad una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza e attendibilità delle fonti di prova.

2) Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Legittimamente, invero, la Corte di Appello ha ritenuto integrati gli estremi del reato contestato, avendo accertato, con valutazione di merito sottratta al sindacato di questa Corte, che la condotta della C. (la quale, dopo essersi qualificata come giudice di pace ed aver detto ai due agenti operanti che non sarebbe finita lì, minacciandoli apertamente di fargliela pagare, tentava di strappare dalle mani del R. dapprima la patente di guida e poi il libretto dei verbali) era finalizzata ad impedire agli agenti di procedere alla contestazione del verbale di contravvenzione e, quindi, a costringere i verbalizzanti ad omettere un atto di ufficio.

E’ il caso di rammentare che nel reato previsto dall’art. 336 c.p. l’idoneità della minaccia posta in essere dall’agente per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio o servizio deve essere valutata con un giudizio "ex ante", che tenga conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto e che utilizzi un criterio di carattere medio; con la conseguenza che l’impossibilità di realizzare il male minacciato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi parvenza di serietà, non esclude il reato, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato (Cass. Sez. 6, 16-6-2004 n. 33429; Cass. Sez. 6, 31-10- 2007 n. 44850; Cass. Sez. 6, 7-2-2007 n. 34880). Nel caso di specie, pertanto, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, non potendosi dubitare della potenziale idoneità della condotta della C. a coartare la libertà di azione dei due vigili, non vale ad escludere la configurabilità della fattispecie criminosa in esame il fatto che i pubblici ufficiali non siano stati in concreto intimiditi dalle minacce loro rivolte e abbiano continuato a redigere il verbale d’infrazione amministrativa.

3) Altrettanto è a dirsi con riferimento all’invocata esimente di cui al D.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4, che la Corte di Appello ha correttamente, sia pure implicitamente, negato.

La causa di giustificazione prevista dalla norma in esame, invero, postula il consapevole travalicamento, da parte del pubblico ufficiale, dei limiti e delle modalità entro cui le funzioni pubbliche devono essere esercitate; laddove, nel caso in esame, alla luce della ricostruzione della vicenda operata dai giudici di merito, è da escludere qualsiasi connotato di illegittimità e arbitrarietà nella condotta dei due vigili. Come è stato evidenziato nella sentenza impugnata, infatti, questi ultimi, avendo constatato che la C. aveva parcheggiato la sua auto in seconda fila, ben avevano il potere di redigere il verbale di infrazione al Codice della Strada e di contestare immediatamente la violazione alla C.; nè il comportamento rigoroso e inflessibile mostrato nell’occasione dal R. poteva autorizzare l’imputata a minacciare apertamente i due vigili, fino al punto da tentare di strappare dalle mani dello stesso R. la patente di guida e il libretto dei verbali.

4) A norma dell’art. 585 c.p.p., comma 4, l’inammissibilità dei motivi di ricorso originariamente proposti si estende ai motivi nuovi depositati dal difensore il 29-11-2010, con i quali non sono state dedotte nullità rilevabili d’ufficio.

Tali non possono essere considerati, in particolare, gli asseriti vizi di costituzione del Pubblico Ministero nelle udienze di primo grado. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, infatti, il criterio della non delegabilità delle funzioni di pubblico ministero nei procedimenti per reati diversi da quelli per i quali si procede con citazione diretta, stabilito dall’art. 72 ord. giudiziario, come modificato dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 58, costituisce una prescrizione per i dirigenti degli uffici requirenti, relativo all’organizzazione del lavoro nelle Procure, ma non ha rilievo esterno all’ufficio e non incide sulla validità delle deleghe conferite e degli atti compiuti (Cass. Sez. 5, 23-4-2003 n. 23229; sez. 4, 12-7-2005 n. 30439). E’ superfluo aggiungere che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il reato per cui si procede è compreso tra quelli per i quali l’art. 550 c.p.p., richiamato dal citato art. 72 ord. giudiziario, come modificato dal la L. n. 479 del 1999, art. 58, prevede la citazione diretta.

Sotto altro profilo, si osserva che la mancata allegazione agli atti, da parte del vice procuratore onorario, della delega conferitagli dal Procuratore della Repubblica, non determina alcuna nullità, in quanto l’art. 162 disp. att. c.p.p. non prevede tale sanzione (Cass. Sez. 5, 29-3-2004 n. 24043; Sez. 5, 13-5-2010 n. 32728).

5) L’inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto processuale e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare l’eventuale prescrizione del reato, dedotta con i motivi aggiunti dal difensore.

In ogni caso, la relativa eccezione risulta manifestamente infondata, in quanto, tenuto conto dei periodi di sospensione ex art. 159 c.p.p., n. 3 (pari a complessivi anni 1, mesi 5 e giorni 20), non è ancora maturato il termine di prescrizione del reato de quo, fissato dal combinato disposto degli artt. 157, 158, 160 e 161 c.p. in anni sette e mesi sei dalla data di consumazione del reato (23-8-2002).

6) Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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