Cons. Stato Sez. VI, Sent., 19-01-2011, n. 378 Libertà di circolazione e soggiorno Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso di primo grado, era stato chiesto dall’odierno appellante l’annullamento del provvedimento del Questore di Perugia del 23 gennaio 2010 (rigetto rinnovo permesso di soggiorno per motivi di studio).

Erano state dedotte le censure di eccesso di potere e di violazione di legge in considerazione della circostanza che la condanna riportata dall’appellante per un reato relativo alla detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti non era ancora divenuta definitiva.

Il Tribunale amministrativo regionale adito ha respinto il ricorso richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la condanna per i reati ostativi annoverati nell’elenco di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 25 luglio 1998, n. 286 comportava un automatico effetto ostativo all’ingresso (od alla permanenza) dello straniero nel territorio della Repubblica, ancorchè essa non fosse definitiva (con l’importante eccezione, di matrice giurisprudenziale, delle sentenze rese ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale antecedentemente alla entrata in vigore della legge 30 luglio 2002, n. 189).

Il primo Giudice si è poi interrogato in ordine alle ulteriori modifiche introdotte dal Legislatore con la legge 15 luglio 2009 n. 94, escludendo che le medesime (consistenti nell’aver equiparato alle sentenze definitive quelle non definitive) possedessero efficacia effettivamente innovativa.

Ha poi respinto la doglianza riposante nel ritardo con il quale l’Amministrazione aveva esaminato la domanda di rinnovo del titolo abilitativo presentata dall’appellante: rispondeva al vero, infatti, che essa era stata presentata assai prima della pronuncia della sentenza di condanna del 2008.

Tuttavia il dato era ininfluente, atteso che il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo n. 25 luglio 1998, n. 286 stabiliva che, sopravvenendo taluno dei fatti impeditivi previsti dalla prima disposizione (art. 4, comma 3), non solo "il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati" ma altresì "se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato".

Anche supponendo che la Questura si fosse pronunciata immediatamente ed avesse concesso senz’altro il rinnovo, il titolo avrebbe dovuto essere comunque revocato.

La formulazione testuale dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 25 luglio 1998, n. 286 non lasciava dubbi riguardo alla volontà del Legislatore di stabilire una preclusione vincolante, senza alcun margine per un diverso apprezzamento da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.

L’odierno appellante ha criticato la sentenza in epigrafe, ribadendo il carattere innovativo della citata disposizione della legge 15 luglio 2009 n. 94 e facendo riferimento al principio di non colpevolezza previsto dalla Costituzione.

L’amministrazione aveva acriticamente citato il precedente penale in oggetto, ed omesso ogni effettiva indagine sulla pericolosità sociale dell’appellante e sul grado di inserimento del medesimo in Italia: la sentenza impugnata mutuava tali vizi e, in quanto erronea, meritava di essere annullata.

All’adunanza camerale del 3 dicembre 2010 fissata per l’esame della istanza cautelare di sospensione della esecutività dell’appellata sentenza la Sezione – rilevato che non era stato trasmesso il fascicolo del processo di primo grado e che l’acquisizione del medesimo appariva indispensabile ai fini del decidere – ha disposto l’acquisizione del medesimo rinviando la trattazione dell’incidente cautelare all’odierna adunanza camerale dell’11 gennaio 2011.

All’odierna adunanza camerale, rilevato che il richiesto fascicolo di primo grado era stato trasmesso la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

Stante la completezza del contraddittorio e la mancata opposizione delle parti la causa può essere decisa nel merito, tenuto conto della infondatezza dell’appello.

Il Collegio condivide pienamente la ricostruzione ermeneutica resa dal Tribunale amministrativo regionale.

Deve in proposito rammentarsi che ai sensi dell’art. 4 comma 3 del decreto legislativo n. 25 luglio 1998, n. 286 e succ.mod non "è ammesso in Italia lo straniero… che risulti condannato… per reati previsti dall’art. 380 del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti agli stupefacenti"

Sotto altro profilo, ai sensi dell’ art. 5 comma 5 del medesimo decreto legislativo, "il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato… sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili".

Da tali norme si evince, come sottolineato anche dalla prevalente giurisprudenza, la sussistenza di un automatico impedimento al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno ove lo straniero sia stato condannato per uno dei reati ivi considerati, senza necessità di un’autonoma valutazione della concreta pericolosità sociale del soggetto, né dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza (cfr. C.d.S. Sez. VI, 30/01/07 n. 359).

Questo perché la preclusione in esame non rappresenta un effetto penale ovvero una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto di natura amministrativa che la legge fa derivare dal fatto storico consistente nell’aver riportato una condanna per determinati reati, quale indice presuntivo di pericolosità sociale o, quanto meno, di riprovevolezza (e di non meritevolezza ai fini della permanenza in Italia) del comportamento tenuto dallo straniero nel nostro Paese secondo una scelta giudicata esente da profili di incostituzionalità dalla Corte Costituzionale, avendo il legislatore fatto, in tal caso, un corretto uso del suo ampio potere discrezionale in materia (Corte Cost. 16/05/08 n. 148).

Le tesi sostenute nell’appello collidono con il consolidato orientamento in ragione del quale "ai fini del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno di un cittadino extracomunitario, può essere sufficiente una condanna, anche non definitiva, per reati di rilevante allarme sociale, quali sono appunto quelli relativi agli stupefacenti." (Consiglio Stato, sez. VI, 28 luglio 2008, n. 3706).

E ciò anche antecedentemente alla entrata in vigore della legge 15 luglio 2009 n. 94, (con la eccezione delle sentenze "patteggiate" antecedenti, al fine di impedire che restassero vanificati dallo "ius superveniens" gli effetti premiali del patteggiamento che avevano indotto l’imputato alla conclusione anticipata del processo con rinunzia ad ogni contraddittorio in ordine al capo di imputazione: ex multis, si veda Consiglio Stato, sez. VI, 22 settembre 2008, n. 4553)

Con il ricorso in appello si censura la condivisibile elaborazione giurisprudenziale sinora riportata ma non si offre alcun innovativo elemento che possa giustificare una revisione critica di tale orientamento.

Invero il costante indirizzo della Sezione, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, ha più volte in passato ritenuto che"ai fini dell’adozione del decreto questorile di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno di uno straniero, il giudizio di pericolosità sociale non postula necessariamente l’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna, essendo sufficienti una serie di indizi e di fatti.". (Consiglio Stato, sez. VI, 25 settembre 2006, n. 5597).

Quale corollario del suindicato orientamento, si è al contempo costantemente affermato che sarebbe "illegittimo, per difetto di motivazione, il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno adottato nei confronti di uno straniero per il quale non sia ancora intervenuta alcuna condanna in sede penale e che sia privo di qualsiasi argomentazione da cui arguire l’esistenza di elementi di fatto sintomatici di più reati e di pericolo per la sicurezza pubblica, in assenza di precedenti utilmente richiamabili e dell’indicazione di un contesto – tenore di vita, assenza di attività lavorativa, frequentazioni dell’interessato – capaci di indicare l’attualità e l’immediatezza di tale pericolosità." (Consiglio Stato, sez. VI, 21 settembre 2006, n. 5544).

Nel caso di specie, ritiene la Sezione corretta ed immune da vizi la appellata sentenza, che, preso atto del grave precedente penale dal quale è gravato l’odierno appellante ha ritenuto congruamente motivato e supportato da validi elementi in punto di fatto il provvedimento impugnato.

La sentenza di condanna resa in pregiudizio dell’appellante, avuto riguardo al titolo edittale appare dimostrativa di inclinazione a delinquere, e tale da validamente giustificare la delibazione di pericolosità resa dall’amministrazione.

Egli fu infatti condannato per un reato assai grave e dimostrativo dell’inserimento dell’appellante in un circuito criminogeno, idoneo a connotarne la personalità qual socialmente pericolosa.

Tale considerazione è comprovata, a livello logico, dalla circostanza dell’esistenza di un diverso – ma altrettanto grave – precedente penale, in relazione al quale l’appellante venne arrestato nell’anno 2005.

Le censure di merito devono essere pertanto disattese.

Anche le ulteriori doglianze prospettate non meritano accoglimento.

La tesi secondo cui le disposizioni prima menzionate non avrebbero portata tassativa impinge con il testo letterale delle disposizioni medesime, così come comprovato dalla costante giurisprudenza in materia.

Quanto al rilievo del ritardo con cui l’Amministrazione ebbe a pronunciarsi, è evidente che tale elemento – che comunque non riveste portata automaticamente viziante -è del tutto ininfluente sotto il profilo sostanziale: se anche fosse stato emesso in passato un provvedimento favorevole all’appellante, di esso si sarebbe dovuta disporre tempestivamente la revoca perché reso in carenza dei presupposti legittimanti a cagione della sopravvenienza della (per le ragioni dianzi chiarite ostativa) condanna per spaccio di sostanze stupefacenti.

Conclusivamente, l’azione spiegata dall’amministrazione appare corretta ed immune dai vizi denunciati ed esattamente il primo Giudice ha respinto il ricorso di primo grado.

L’appello deve pertanto essere respinto.

La particolarità delle questioni esaminate trattate consente di disporre l’integrale compensazione delle spese sostenute dalle parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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