Cass. civ. Sez. III, Sent., 17-02-2011, n. 3853 Opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20 dicembre 2004 il Tribunale di Messina, pronunciando sull’opposizione proposta da Aliotta Gioielli S.r.l. al decreto ingiuntivo intimatole da Cinevisual Team soc. coop. a r.l. per L. 47.686.294 dovute per prestazioni professionali rese a favore della intimata, confermava il decreto escludendo, però, la rivalutazione.

Con sentenza in data 20 ottobre – 24 novembre 2008, la Corte d’Appello di Messina rigettava sia l’appello principale della Soc. Aliotta, sia l’appello incidentale del Fallimento della Cinevisual.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: l’assunto che il contratto all’origine della controversia fosse stato sottoscritto dal titolare della ditta Aliotta Emanuele e non dalla società intimata appariva irragionevole, considerato che la ditta individuale aveva cessato di esistere già da dieci anni e la precedente società era confluita nella società appellante; inoltre in primo grado la stessa società appellante aveva sostenuto di avere dato esecuzione al contratto, con il pagamento di due titoli, senza mai addurre quanto poi sostenuto in appello; la produzione del fax datato 17 febbraio 1993 era inammissibile ex art. 345 c.p.c., comma 3; le dichiarazioni testimoniali provavano l’adempimento della Cinevisual;

la condotta della ditta Aliotta appariva poco ragionevole, nulla avendo opposto tempestivamente agli assunti della controparte.

Avverso la suddetta sentenza la soc. Aliotta ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Fallimento della Cinevisual ha resistito con controricorso.

La ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione

1 – La formulazione dei tre motivi di ricorso non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c. Occorre rilevare, sul piano generale, che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366" bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007; confronta, anche, S.U. n. 3519 del 2008) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e "virtuoso" nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico – giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

2. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 81, 99 c.p.c.; artt. 1218, 2745 bis, 14 c.c. e segg.;

insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo.

La ricorrente ripropone il tema del difetto di legittimazione passiva già sollevato avanti alla Corte territoriale, assumendo che essa non aveva tenuto conto di quanto documentalmente provato con riferimento al contratto relativo alla fornitura pubblicitaria che aveva costituito titolo per l’emissione del decreto ingiuntivo. Inoltre lamenta la mancata ammissione di un fax.

La proposizione con unico motivo di censure che attengono a questioni diverse (la legittimazione passiva; la negata ammissione di un documento) contrasta con la specificità dei motivi di ricorso per cassazione voluta dall’art. 366 c.p.c., n. 4.

Peraltro entrambe poggiano su documenti (il contratto, il fax) in relazione ai quali non è stato rispettato il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Inoltre la prima censura implica apprezzamenti di fatto (risolti dalla sentenza impugnata nei termini sintetizzati nella parte espositiva) e attacca soltanto una delle due rationes decidendi (non stigmatizza quella relativa alla non contestazione in primo grado) poste a fondamento della decisione, mentre la seconda non dimostra la decisività del documento di cui lamenta la mancata ammissione e, quindi, considerazione.

Infine, i due quesiti finali non postulano l’enunciazione di principi di diritto fondati sulle numerose norme indicate, ma sostanzialmente chiedono una verifica della sentenza impugnata, di cui negano la correttezza, mentre manca un adeguato momento di sintesi, che sarebbe stato necessario non solo per circoscrivere il fatto controverso, ma anche per specificare in quali punti e per quali ragioni la motivazione della sentenza si riveli, rispettivamente, insufficiente e contraddittoria.

3. – Il secondo motivo ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1460 c.c.; insufficiente motivazione su un fatto decisivo. Il tema è il contestato assolvimento dell’onere della prova da parte della Cinevisual.

La censura si muove su un piano squisitamente di merito, implicando, tra l’altro, esame e valutazione della prova testimoniale, nei cui confronti, peraltro, non è stato rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Il quesito di diritto e il momento di sintesi finale si rivelano inidonei per le medesime ragioni addotte con riferimento al primo motivo.

4. – Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1463 c.c. e segg.; insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto decisivo.

La questione riproposta, con riferimento all’analogo motivo di appello, è l’asserito inadempimento in cui sarebbe incorsa la Cinevisual Team.

La Corte territoriale ha ritenuto la tesi della ricorrente sfornita di prova. In questa sede non vengono addotte specifiche argomentazioni dimostrative del contrario. Infine, manca il momento di sintesi relativo al vizio di motivazione e il quesito di diritto risulta inidoneo per le vedute ragioni.

5. – Pertanto il ricorso va rigettato. Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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