Cons. Stato Sez. VI, Sent., 19-01-2011, n. 368 Aggiudicazione dei lavori; Associazioni mafiose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il sign. A.S., nella qualità di titolare della omonima impresa edile, con ricorso n. 702 del 2008 proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ha chiesto l’annullamento: con il ricorso originario, della nota del Prefetto della Provincia di Caserta, prot. n. 1512/12.B./ANT/AREA 1 del 5 dicembre 2007, nella quale si informa che nei confronti della ditta suddetta e del suo titolare "allo stato degli accertamenti sussistono le cause interdittive di cui all’art. 4 del D.Lgs. dell’8.8.1994, n. 490 pur in assenza delle cause di cui all’art. 10 della legge 31 maggio 1965 n.575", dei relativi atti istruttori, della nota del Comune di San Cipriano d’Aversa prot. n. 11559 del 19 dicembre 2007, concernente l’avvio del procedimento per la revoca dell’aggiudicazione definitiva relativa ai lavori di adeguamento delle norme di sicurezza e abbattimento delle barriere architettoniche del campo sportivo, nonché degli atti connessi; con motivi aggiunti, della nota del Comando Carabinieri di Caserta n. 0197469/73 prot. P del 22 novembre 2007.

2. Il Tribunale amministrativo regionale, con sentenza n. 20909 del 2008, ha respinto il ricorso e compensato tra le parti le spese del giudizio.

3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado.

4. All’udienza del 17 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Nella sentenza di primo grado, respinta l’eccezione del Comune di inammissibilità dell’impugnativa avverso l’atto comunale, si afferma:

al procedimento concernente le interdittive antimafia non si applica l’art. 7 della legge n. 241 del 1990, poiché in contrasto con le esigenze di riservatezza e urgenza delle relative attività; nella specie, inoltre, le ditte concorrenti alle gare indette dal Comune di San Cipriano d’Aversa sono comunque consapevoli dell’avvio di verifiche, poiché previste nel Protocollo di legalità stipulato tra il Comune stesso e la Prefettura;

il carattere unipersonale e familiare dell’impresa ricorrente non è circostanza tale da renderla immune dal rischio di influssi della criminalità organizzata, tanto più che gli elementi in concreto rilevati attengono all’ambiente familiare; né vale il rilascio di pregresse liberatorie se sopravvengono circostanze ulteriori;

con riguardo, poi, agli elementi alla base dell’informativa in questione, richiamata la funzione di massima tutela preventiva propria delle informative prefettizie antimafia, si osserva: non è sufficiente a invalidare gli atti impugnati la non attinenza con attività della criminalità organizzata dei fatti relativi alla pendenza di un procedimento penale a carico del ricorrente, per associazione a delinquere, truffa aggravata e falsità materiale, poiché rilevante per delineare il profilo soggettivo dell’interessato nel quadro di ulteriori e pertinenti elementi idonei a sorreggere i detti atti; questi elementi sono dati dalla frequentazione dei due figli del ricorrente, in epoca recente, con soggetti affiliati ad associazioni criminali, con i figli del capoclan di una cosca mafiosa ovvero con soggetti gravati da precedenti per gravi delitti, non risultando quindi viziata per macroscopica irragionevolezza o incongruenza la conseguente prospettazione del pericolo di influenza mafiosa sulla gestione dell’impresa a causa di tali contatti da parte congiunti stretti del titolare.

2. Nell’appello si deduce l’erroneità della sentenza impugnata:

poiché in essa si presuppone, ciò che ne ha condizionato la motivazione, la coincidenza tra l’impresa di tipo personale e quella di tipo familiare, laddove nella conduzione della prima non vi è alcun apporto né responsabilità dei familiari del titolare, che ne è l’unico gestore e responsabile; ciò che nella specie ha rilievo specifico non avendo i figli del titolare alcun ruolo nella sua impresa;

per aver ritenuto il procedimento penale pendente a carico del ricorrente idoneo a delinearne il profilo soggettivo trascurando, allo stesso fine, che la sua posizione è relativa a reato non di stampo camorristico, è stata distinta, in sede giurisdizionale, da quella dei coimputati e che egli, comunque, non è stato mai controllato con pregiudicati dal 1981 (anno di inizio della sua attività imprenditoriale);

per aver giudicato sufficiente l’elemento delle frequentazioni dei figli del ricorrente, che non presentano, invece, l’abitualità necessaria per configurare la stabile relazione personale richiesta dalla giurisprudenza come elemento rilevante ai fini dell’informativa prefettizia. Per il primo dei due figli (S.F.; peraltro non convivente con il padre) si è trascurata, infatti, la casualità del citato controllo con il sign. Schiavone Vincenzo, gravato di un precedente ma incensurato all’atto del controllo, del quale il detto S.F. è peraltro conoscente fin dall’infanzia, l’evenienza che un altro controllo, in cui è stato indicato in compagnia di soggetti gravati, ha riguardato una riunione in luogo aperto al pubblico con la presenza di più di 30 persone, avendo peraltro egli conoscenza superficiale di uno solo dei soggetti gravati (Apicella Dante) e nessuna degli altri due (Natale Vincenzo e Schiavone Nicola, figlio di Schiavone Francesco, alias "Sandokan"), la impossibilità per l’interessato di fornire chiarimenti sull’ulteriore controllo (con il citato Apicella Dante) per la sua indeterminatezza. Per il secondo figlio (Fabio) sono stati indicati controlli risalenti a diversi anni fa, con soggetti non gravati da pregiudizi in relazione a finalità mafiose ma per reati di altro tipo e, all’epoca dei controlli, tutti incensurati.

3. Le censure sono infondate.

Il Collegio ritiene infatti che nel caso in esame si rinvengono gli elementi individuati dalla giurisprudenza come sufficienti a sorreggere la legittimità del provvedimento impugnato, consistenti, in sintesi, nella rilevazione di elementi indizianti, idonei a configurare all’attualità la oggettiva e qualificata probabilità del tentativo di infiltrazione mafiosa per il condizionamento dell’attività dell’impresa, considerati dall’Autorità amministrativa nel loro complesso con valutazione che sia esente da vizi palesi di illogicità, irragionevolezza o travisamento dei fatti.

Infatti:

è corretto considerare se parenti stretti del titolare dell’impresa abbiano frequentazioni con elementi gravati poiché, pur se i detti parenti non rivestono funzioni nell’impresa, il pericolo di collegamenti di questa con la criminalità organizzata si configura se le citate frequentazioni presentino caratteristiche tali da potersene fare veicolo, con un grado maggiore di qualificata probabilità se i parenti di cui si tratta siano tra i più stretti, quali sono i figli;

è necessario perciò individuare la tipologia di tali frequentazioni, rispetto a chi siano i soggetti frequentati e ad una indicativa ripetitività delle stesse, nonché alla loro attualità in quanto non particolarmente lontane nel tempo alla data dell’adozione dell’informativa (nella specie il 5 dicembre 2007);

in questo quadro il Collegio ritiene che le frequentazioni di cui qui si tratta attingano il livello sufficiente a non far considerare irragionevole o travisata la conclusione che ne è tratta nell’informativa prefettizia e, prima ancora, nel rapporto dei Carabinieri del 22 novembre 2007, considerato che esse sono rilevanti all’attualità in quanto riscontrate, essenzialmente, nel periodo 20062007 (l’ultima per Francesco Salzillo il 25 settembre 2007; l’ultima per F.S. il 22 dicembre 2006), si ripropongono in tale periodo per entrambi i figli del ricorrente (in tre casi per S.F., in due per S.F., per il quale sussiste, peraltro, anche un controllo il 21 settembre 2004), riguardano soggetti tutti gravati per precedenti di polizia riguardo a reati rilevanti e, in più casi, qualificati per associazione mafiosa, inclusa quella del "clan dei Casalesi", registrano, per entrambi i figli del ricorrente, il controllo in compagnia dei figli di una figura di spicco del detto "clan", non potendosi inoltre trascurare che uno dei due figli del ricorrente (S.F.) è suo convivente;

si tratta perciò di frequentazioni che eventualmente non rilevanti se isolate prendono una diversa connotazione se ripetute, come è nella specie, riuscendo con ciò idonee a farsi veicolo di possibili infiltrazioni volte a condizionare l’attività d’impresa del genitore e nel cui quadro, peraltro, la pendenza a carico di questi di un procedimento penale per reati non lievi, pure citata nell’informativa prefettizia, assume a sua volta una propria significatività, secondo quanto rilevato dal giudice di primo grado;

dovendosi concludere che la valutazione complessiva alla base del provvedimento impugnato conseguente da tale quadro non presenta i vizi di eccesso di potere sopra richiamati, unici censurabili da parte del giudice amministrativo per la fattispecie in esame.

4. Per quanto considerato l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza. Esse sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

Respinge l’appello in epigrafe.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio, che liquida complessivamente nella somma di euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre gli accessori di legge, ripartita per metà a favore del Ministero appellato e per metà a favore del Comune appellato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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