Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-09-2010) 22-01-2011, n. 2227 Detenzione abusiva e omessa denuncia; Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1- Il Gup del Tribunale di Catania, con sentenze 18/2/2008 e 6/2/2009 pronunciate, all’esito di giudizi abbreviati, rispettivamente nei confronti di L.A. e C.N., la prima, e di M.V., la seconda, dichiarava i predetti colpevoli dei reati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, di detenzione e porto abusivi di armi da sparo (anche clandestine per i primi due), di traffico illecito di sostanze stupefacenti;

dichiarava, altresì, il L. e il C. colpevoli anche del reato di ricettazione per come rispettivamente contestato ed il M. colpevole anche del reato di partecipazione ad un’associazione finalizzata al narcotraffico; condannava gli imputati a pene ritenute rispettivamente di giustizia; assolveva il L. e il C. dal reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, perchè il fatto non sussiste.

2- A seguito di gravami proposti dagli imputati e, limitatamente alla sentenza 18/2/2008, anche dal Procuratore della Repubblica, la Corte d’Appello di Catania, con sentenza 19/10/2009, riformando in parte la decisione 18/2/2008 di primo grado, dichiarava il L. e il C. colpevoli anche del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, riteneva tutti i reati ai predetti addebitati unificati dal vincolo della continuazione, rideterminava la misura della pena inflitta ai predetti, confermava la citata sentenza nel resto e quella pronunciata nel confronti del M..

Il Giudice distrettuale, disattesa l’eccezione d’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni ambientali eseguite sulle autovetture comunque nella disponibilità del L. e del M. e di quelle anche telefoniche espletate a seguito di autorizzazione in via d’urgenza del P.M., convalidata dal Gip, rilevava quanto segue sul merito della vicenda.

A seguito di una cruenta guerra di mafia tra organizzazioni criminali di tipo mafioso operanti in (OMISSIS), il clan capeggiato da P.F. (riferibile alla famiglia Santapaola) e quello capeggiato da S.A. (riconducibile alla famiglia Laudani), si era andata affermando sul quel territorio una nuova organizzazione mafiosa, postasi in palese contrapposizione ai due gruppi storici, col chiaro intento di soppiantarli, tanto che, in data 27/7/2006, era stato consumato, con modalità tipicamente mafiose, un triplice omicidio in danno di R.A., Cr.

D. e F.A. ed era stato programmato altro attentato in danno di Q.A. e Sa.Al. della cosca Pellegriti. In tale nuova organizzazione erano organicamente inseriti L.A., C.N., M.V., Li.Al., Ca.Vi. e, in posizione più defilata, Ma.Al., A. D., D.P., P.G..

La prova di tanto era offerta: a) dagli esiti delle conversazioni intercettate, che avevano evidenziato l’assidua frequentazione tra i predetti soggetti, lo spirito solidale che li legava in relazione alle decisioni da prendere, la comune attenzione alle iniziative del gruppo nemico per il timore, dopo il triplice omicidio al quale si è fatto cenno, di possibili rappresaglie, il radicamento sul territorio dell’organizzazione e la forza intimidatrice sprigionata; b) dalle dichiarazioni di Ca.Vi. e P.G., che avevano fatto riferimento alla neocostituita organizzazione, postasi in contrapposizione ai gruppi storici, per assicurarsi il controllo del traffico di stupefacenti, delle estorsioni e dell’attività di usura; c) dal quantitativo di armi di cui il gruppo poteva agevolmente disporre, alcune delle quali erano state anche sequestrate in occasione di alcune operazioni di polizia.

Pure la sussistenza dell’associazione finalizzata ai traffico illecito di stupefacenti e l’inserimento in essa, oltre che del M., anche del L., del C. e di altri, era provata: a) dalle conversazioni intercettate, che avevano posto in luce un’attività continuativa e ben organizzata nell’approvvigionarsi di consistenti quantitativi di droga, collocati poi sul mercato locale o su quello di (OMISSIS), dove il sodalizio disponeva di un’altra base operativa; b) dalle dichiarazioni rese da Ca.Vi., che aveva indicato i fornitori ai quali il gruppo faceva riferimento per procurarsi la droga da smerciare, aveva riportato l’episodio dell’acquisto in (OMISSIS) di gr. 450 di cocaina, smerciata successivamente in (OMISSIS), aveva fatto riferimento ad un viaggio in (OMISSIS) per l’acquisto, non andato a buon fine, di una partita di cocaina per conto del gruppo; c) dai sequestri di consistenti quantitativi di stupefacenti presso le abitazioni del L. e del C., trovati in possesso anche di sostanza da taglio e di materiale idoneo ai confezionamento delle dosi; d) dalla continuità dell’illecito traffico, dai consistenti quantitativi trattati, dagli intensi contatti instaurati con le fonti di approvvigionamento, dalle notevoli disponibilità finanziarie, indici tutti di uno stabile accordo tra i soggetti coinvolti, che andava ben oltre la commissione dei singoli illeciti ed era espressione di un permanente vincolo associativo finalizzato all’attuazione di un più vasto programma criminoso.

Non diversa poteva essere la conclusione, sulla base delle stesse emergenze, per i connessi reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Erano sempre gli esiti dei dialoghi intercettati, dal significato univoco, e i sequestri operati ad offrire la prova dei contestati reati in materia di armi, la cui disponibilità era riferibile alle finalità illecite perseguite dal gruppo criminale e, quindi, alle esigenze, per così come concretamente si evidenziavano, dei vari partecipi.

L’elevata gravità dei fatti, il protrarsi nel tempo delle condotte delittuose, la negativa personalità degli imputati e l’assenza di circostanze positivamente apprezzabili sconsigliavano la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

3- Hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, gli imputati, deducendo motivi di doglianza, in gran parte comuni e di seguito analiticamente esaminati, in ordine alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni (principale fonte di prova), alla ravvisata sussistenza dei reati contestati, alla configurabilità dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, al diniego delle circostanze attenuanti generiche, alla disposta confisca.

4- I ricorsi non sono fondati e devono essere rigettati.

4a- Il L. e il M. denunciano la violazione della legge processuale, con riferimento all’art. 268 c.p.p. (recte art. 267 c.p.p.), e vizio di motivazione sulla eccepita inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni per tardiva convalida del decreto autorizzativo emesso in via d’urgenza dal P.M. o per mancanza di specifica autorizzazione.

Il riferimento, in particolare, è al decreto 16/8/2006 col quale il P.M. aveva disposto, in via di urgenza, di effettuare intercettazioni sulle utenze telefoniche in uso ad alcuni indagati, sull’autovettura "BMW" tg. (OMISSIS) del M. e su ogni altra autovettura in uso a costui; tale decreto, in quanto privo di qualunque indicazione oraria, non consentiva di stabilire la tempestività (entro quarantotto ore dal provvedimento) della successiva convalida da parte del Gip, intervenuta alle ore 9,15 del 18/8/2006, con l’effetto che gli esiti dell’attività captativa, secondo l’espressa previsione dell’art. 267 c.p.p., comma 2 erano inutilizzabili.

L’omessa attestazione, nel provvedimento, dell’orario di deposito del decreto d’intercettazione emesso d’urgenza dal P.M. non impedisce l’utilizzazione dei risultati delle operazioni d’intercettazione, non trattandosi di adempimento previsto dalla legge a pena d’inutilizzabilità. L’eventuale intempestività della convalida non può presumersi, potendo essere provata attraverso le annotazioni apposte sul registro interno di passaggio; è onere della parte, che deduce l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, richiedere una certificazione delle annotazioni del registro interno alla segreteria dell’ufficio Interessato per fare così risultare, in maniera certa, il mancato rispetto delle cadenze temporali previste per il procedimento di convalida; a tale onere i ricorrenti non hanno adempiuto.

Si è allegato, inoltre, il difetto di regolare autorizzazione in relazione alle intercettazioni espletate sulle autovetture "Mercedes" tg. (OMISSIS) e "BMW" tg. (OMISSIS), rispettivamente nella disponibilità del L. e del M.. La doglianza in ordine alla prima intercettazione ambientale è formulata in maniera confusa e perplessa, nel senso che, pur riconoscendosi che l’attività captativa era stata inizialmente autorizzata, in via d’urgenza, dal P.M. sulla vettura "Audi" tg. (OMISSIS) ed estesa in seguito sulla citata vettura "Mercedes" e su ogni altra in uso al L. e pur non escludendosi la regolare convalida di detta autorizzazione, lamenta la mancata trasmissione dell’atto di convalida "al Tribunale del riesame", argomento quest’ultimo assolutamente non pertinente per stabilire la legittimità o meno della utilizzazione, in sede di cognizione piena, della fonte di prova di cui si discute.

I decreti autorizzativi, ivi compresi quelli eventualmente di convalida, delle intercettazioni non rientrano, infatti, tra gli atti che, per l’art. 431 c.p.p., comma 1, devono far parte del fascicolo per il dibattimento. Ne consegue che nessuna nullità, e tanto meno inutilizzabilità, può derivare dal mancato inserimento dei decreti in questione nel fascicolo per il dibattimento ove non ne venga messa in seria discussione l’esistenza e la validità.

La doglianza in ordine alle intercettazioni disposte ed effettuate all’interno della "BMW" tg. (OMISSIS) nella disponibilità del M., non menzionata espressamente in alcun provvedimento autorizzativo, è palesemente infondata.

Osserva la Corte che il decreto d’urgenza 16/8/2006, regolarmente convalidato, autorizzava, per pacifica ammissione dello stesso ricorrente M., le intercettazioni sull’auto "BMW" tg.

(OMISSIS) e "su ogni altra autovettura…nella disponibilità dell’indagato", con l’effetto che deve ritenersi implicita l’estensione dell’autorizzazione alla vettura "BMW" tg. (OMISSIS), risultata essere nella disponibilità dell’imputato, come attestato dagli accertamenti della polizia giudiziaria e riscontrato concretamente dall’espletata attività captativa.

Anche l’ulteriore questione sollevata circa la qualificazione dell’abitacolo dell’autovettura come luogo di privata dimora, nel quale l’intercettazione è consentita soltanto se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa, è priva di fondamento.

Rileva, sul punto, la Corte che, ai fini dell’ammissibilità dell’intercettazione di comunicazioni tra presenti, l’abitacolo di un’autovettura, in quanto spazio destinato naturalmente al trasporto delle persone o al trasferimento di oggetti da un luogo a un altro e in quanto sfornito dei conforti minimi necessari per potervi dimorare per un apprezzabile lasso temporale, non può essere considerato luogo di privata dimora, giacchè in esso non si compiono – di norma – atti caratteristici della vita domestica.

Nè va sottaciuto che, nella specie, versandosi in tema di criminalità organizzata, l’intercettazione di comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p. è comunque consentita, a norma del D.L. n. 152 del 1991, art. 13 convertito in L. n. 203 del 1991, anche se non v’è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo attività criminosa.

La dedotta "inosservanza dei termini di autorizzazione delle intercettazioni", in quanto semplicemente enunciata senza alcuna ulteriore specificazione, è generica e, quindi, inidonea ad attivare la verifica di legittimità. 4b- Tutti i ricorrenti lamentano la violazione della legge penale, con riferimento all’art. 416 bis c.p., e l’erronea valutazione delle emergenze processuali circa la ritenuta sussistenza del reato di associazione di stampo mafioso, del quale, invece, difettavano gli elementi strutturali, vale a dire la forza intimidatrice del vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e la condizione di omertà, intese come connotazioni avvertite dalla collettività locale.

Le censure non sono fondate, considerato che la sentenza in verifica, integrata anche dalle argomentazioni sviluppate in quella di primo grado, alle quali fa espresso riferimento, da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene. Il percorso logico-giuridico seguito è strettamente ancorato al materiale probatorio acquisito e, in particolare, agli esiti delle conversazioni intercorse tra i vari sodali e intercettate: dai relativi dialoghi emerge chiaramente il radicamento sul territorio del nuovo sodalizio, con tutta la sua forza intimidatrice, avvertita dalla collettività locale, e col fine perseguito di imporsi, attraverso una cruenta guerra di mafia, sui gruppi storici operanti da tempo nella zona. La sentenza impugnata, facendo leva sui contenuti di alcune conversazioni ritenute particolarmente significative, evidenzia la formazione di un gruppo di persone ben amalgamato e stabile nel perseguimento di obiettivi comuni, il superamento del cd. "avviamento mafioso", l’esplicazione di una concreta attività intimidatoria nell’ambiente circostante ("…senza offesa, siamo intoccabili…" è il commento del L., nel corso della conversazione col M. in data 22/9/2006), il decisivo intervento del sodalizio in alcune transazioni aventi ad oggetto beni immobili ed implicanti grossi interessi economici (cfr. intercettazioni del 9 e del 20 settembre 2006), l’aspra contrapposizione a clan concorrenti.

Anche l’organico inserimento dei ricorrenti nel sodalizio è conclamato, secondo le sentenze di merito, dai contenuti delle intercettazioni, dalle dichiarazioni del collaborante Ca.

E. (secondo il quale, il C. percepiva mille Euro al mese per custodire le armi e riscuotere i proventi delle estorsioni), dai sequestri delle armi trovate nella disponibilità del C. e del M..

4c- Infondato è anche il motivo col quale i ricorrenti lamentano la violazione della legge penale, con riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, e il connesso vizio di motivazione sul formulato giudizio di responsabilità in ordine alla loro partecipazione al sodalizio finalizzato al traffico illecito di sostanze stupefacenti.

La doglianza, in quanto formulata in maniera generica, non è idonea ad attivare su tale capo il sollecitato sindacato di legittimità e a porre in crisi l’apparato argomentativo su cui riposa la sentenza impugnata, che, in stretta aderenza alle emergenze processuali, apprezzate e valutate secondo logica, pone in evidenza una serie di elementi indicativi di uno stretto e stabile legame instauratosi tra i ricorrenti e altre persone, nella chiara prospettiva di dare attuazione ad un programma criminoso nel settore del narcotraffico, con predisposizione di mezzi finanziari, struttura organizzata e ripartizione di ruoli tra i vari associati (cfr., in particolare, sentenza Gup 6/2/2009 pronunciata nei confronti del M.).

Con riferimento alla posizione del L. e del C., assolti in primo grado dall’illecito in esame, osserva la Corte che, se è vero, in linea di principio, che la pronuncia di condanna adottata in appello, per sottrarsi alla censura del vizio di motivazione, deve tenere conto delle valutazioni svolte dal primo giudice ed esplicitare le ragioni per le quali intende discostarsene, non può comunque sottacersi che, nel caso specifico, il compito del giudice d’appello risulta essere stato agevolato dalla conclusione superficiale e apodittica alla quale era pervenuto il Gup, pur dopo avere evidenziato una serie di elementi in fatto che accreditavano l’ipotesi accusatoria, elementi ripresi e rivalutati dalla sentenza impugnata per avallare, con motivazione persuasiva e immune da vizi logici, detta ipotesi.

4d- Infondato è il motivo di ricorso col quale il L. lamenta l’aumento che la Corte di merito, nel determinare il trattamento sanzionatorio, avrebbe apportato, della L. n. 203 del 1991, ex art. 7, sulla pena base.

Rileva la Corte che, come chiaramente si evince dalla sentenza impugnata (cfr. pg. 13), la pena base, riferita al reato più grave di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, è stata fissata nella misura edittale minima di anni dieci, senza alcun aumento per la citata aggravante; gli aumenti sono riferiti soltanto ai reati cd. satelliti, ritenuti in continuazione.

Anche la doglianza del M. sulla stessa questione è priva di fondamento.

E’ vero che la sentenza impugnata nulla dice al riguardo e si limita a ritenere implicitamente, sulla base della ricostruzione fattuale, la sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, citato art. 7, con conseguente aumento della pena base fissata per il reato più grave. Tale conclusione, però, è legittimata dal fatto che il corrispondente motivo d’appello era stato formulato in modo non specifico (cfr. pg. 13 dell’atto d’appello).

In ogni caso, rileva la Corte che, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, l’aggravante risulta essere stata regolarmente contestata nel capo sub c) dell’imputazione, interamente assorbito e recepito nel capo sub e) per il quale v’è condanna.

Generiche sono le argomentazioni finalizzate a contestare, per ragioni cronologiche, la configurabilità dell’aggravante, considerato che il sodalizio criminoso dedito al traffico illecito di stupefacenti, in quanto propaggine dell’associazione di stampo mafioso, mirava ad agevolare l’attività di quest’ultima nel settore.

Sulla base della contestazione, non v’è – inoltre – incompatibilità cronologica tra le due associazioni, le cui attività interferivano tra loro.

Nessuna censura specifica risulta essere stata mossa in relazione ai reati-fine.

4e- Il L. e il M. denunciano la violazione della legge penale e il vizio di motivazione, con riferimento ai reati in materia di armi, per mancanza di prova del concorso nella detenzione e nel porto abusivi ascrivibili a singoli individui.

Anche tale motivo di censura è privo di fondamento, considerato che la sentenza di merito, con motivazione adeguata e logica (cfr. pgg.

11 e 12), evidenzia le circostanze di fatto (desunte prevalentemente dai contenuti delle conversazioni intercettate) che inducono a ritenere la comune disponibilità di armi da parte degli associati per le finalità illecite perseguite dal gruppo, con la piena consapevolezza di ognuno di potere ottenere e utilizzare, in caso di necessità, le armi custodite da altro associato.

Generica è la doglianza con la quale si contesta la ritenuta aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in relazione ai reati in esame.

4f- Il L. e il M. lamentano la violazione di legge e l’omessa motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

La doglianza, risolvendosi in una censura in fatto alla motivazione adottata sul punto dalla Corte di merito, non può trovare spazio in questa sede.

La concessione di dette attenuanti, infatti, è giustificata solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito ravvisi dati non tipicamente previsti e favorevoli all’imputato, per ridurre ulteriormente la pena e adeguarla ai fatti-reato e alla capacità a delinquere dell’agente.

La sentenza in verifica, all’esito di una valutazione complessiva dei fatti e della personalità degli imputati, non ritiene costoro meritevoli delle invocate attenuanti, conclusione che, in quanto espressione del potere discrezionale del giudice di merito e immune da vizi logici, si sottrae a qualunque rilievo di legittimità. 4g- Generiche e comunque infondate sono le doglianze del L. e del M. in ordine alla disposta confisca dei beni in sequestro, misura che trova adeguata giustificazione nelle sentenze di merito.

S- Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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