Cons. Stato Sez. VI, Sent., 19-01-2011, n. 364 Aggiudicazione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) – Con ricorso al TAR della Puglia, sede di Bari, n. 986/2002, l’A. tra le società D.F.C. s.r.l. (ora incorporata da una delle odierne appellanti e, precisamente, la società L.A. s.p.a.), I. s.p.a., S. s.p.a. C.A. e T. s.r.l. ha chiesto l’annullamento della determinazione prot. n. 116 del 16 aprile 2002 dell’Amministratore unico della società "A.P. s.p.a. (nel prosieguo: A.) recante la revoca del bando di gara del 19 luglio 1991 e di tutti gli atti conseguenti, ivi compresa l’aggiudicazione della gara stessa, relativa ai lavori di risanamento del canale principale dell’Acquedotto del Sele – Lotto n. III – all’A. sopra indicata e, comunque, l’annullamento di tutti gli atti di gara; è stato anche chiesto l’annullamento della determinazione con cui era stato deciso di avviare il procedimento volto all’adozione del predetto atto, della relazione prot. n. 569 del 22 marzo 2002 del Responsabile del procedimento stesso e di ogni altra determinazione di cui alle note dell’A. citate nell’atto, nonché di ogni altro atto, comunque connesso con quello principalmente impugnato, tra cui, all’occorrenza, dei voti n. 69 del 23 novembre 2000, del 29 novembre 2000 e n. 57 del 28 settembre 2001 del CTA del Provveditorato Regionale alle 00. PP. di Bari.

Con il ricorso l’A. ricorrente chiedeva anche il risarcimento dei danni mediante reintegrazione in forma specifica e/o per equivalente nella misura di Euro 9.271.532,92 o in quell’altra che si riservava di quantificare in corso di giudizio.

Costituitisi in giudizio, l’A. ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, concludevano, nelle proprie difese, per il rigetto, nel merito, del ricorso.

Con sentenza n. 599/2004 lo stesso TAR riteneva la propria giurisdizione soltanto relativamente all’impugnativa proposta avverso l’atto di revocaannullamento, riconoscendone la legittimità, avuto riguardo, tra l’altro, alle "ragioni tecniche sopravvenute in conseguenza della carenza idrica eccezionale", che imponevano di eseguire le opere secondo un cronoprogramma diverso da quello originario, riducendo i tempi di intervento e con essi la consequenziale interruzione del flusso idrico all’interno del canale principale dell’acquedotto del Sele, mentre affermava che i profili della controversia relativi "al giustificato o meno rifiuto di firmare il contratto di appalto, alla giustificata o meno decisione di porre fine al rapporto sorto in forza dell’aggiudicazione o se il comportamento della Stazione appaltante abbia ingenerato o meno un legittimo affidamento nella controparte", configuravano questioni esulanti dalla giurisdizione esclusiva del G.A.

Avverso tale sentenza interponevano appello sia il Raggruppamento che la stazione appaltante A..

Il giudizio d’appello veniva definito con la decisione di questo Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1764/2006, che, nel confermare la statuizione circa la legittimità del provvedimento di revoca (che riteneva sorretto da una convincente motivazione, fondata su valide ragioni di pubblico interesse, oggettive e sopravvenute, a fronte delle quali non sarebbe stato affatto ragionevole assumere la grave decisione di interrompere il flusso idrico nella zona, pur di realizzare le opere commesse in appalto) respingeva, per tale parte, il gravame, ma riformava la sentenza impugnata nella parte declinatoria della giurisdizione del Giudice Amministrativo, affermando che l’accertata impossibilità di eseguire le opere non eliminava ex se la necessità di vagliare le diverse circostanze che avevano impedito, all’indomani dell’avvenuta, legittima, aggiudicazione, e per un periodo di dieci anni, la sottoscrizione del contratto di appalto, ai fini dell’accertamento della fondatezza della domanda risarcitoria avanzata; con il conseguente rinvio del fascicolo al TAR al fine di accertare se l’agire di A. fosse stato improntato a profili di colpa, rilevanti ai fini dell’adozione delle conseguenti pronunce risarcitorie, riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Con memoria notificata in data 11 dicembre 2006 la parte ricorrente riassumeva il giudizio davanti al TAR ed insisteva per la sussistenza della responsabilità civile da parte di A., rilevando preliminarmente come esso sarebbe rimasto colposamente inerte per un lasso di tempo di almeno tre anni dalla data del 4 giugno 1992 di aggiudicazione definitiva della gara alla data del 31 maggio 1995, di comunicazione all’A. aggiudicataria della pretesa impossibilità di applicare al rapporto la revisione dei prezzi; rilevava, inoltre, che, anche per il periodo susseguente, caratterizzato dall’instaurazione del precedente giudizio, proposto dalla parte ricorrente davanti allo stesso TAR per far valere l’illegittimità della pretesa dell’Ente A. (poi società A.) di sottrarre l’appalto de quo all’applicazione della revisione dei prezzi, la scelta di rinviare la stipulazione del contratto avrebbe dovuto essere ascritta alla responsabilità esclusiva della stazione appaltante; donde la richiesta di condanna di A. al risarcimento dei danni nella misura che quantificava od in quella diversa somma ritenuta di giustizia per il danno ingiustamente causato alle imprese ricorrenti, nonché all’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno all’immagine, oltre rivalutazione monetaria, interessi sulle somme rivalutate, interessi anatocistici e risarcimento dei danni causati dalla mancata disponibilità finanziaria, in misura da determinare anche in via di equità.

In via subordinata, chiedeva il riconoscimento del diritto ad ottenere il pagamento di una somma idonea a ristorarla dei danni sostenuti, fissando all’uopo un termine perentorio per la formulazione della proposta, mentre, in via istruttoria, chiedeva venisse disposta C.T.U., al fine di quantificare i danni subiti ed i maggiori oneri affrontati.

Resisteva l’A..

2) – Con la sentenza n. 472/2007, qui gravata, il TAR ha respinto le predette domande risarcitorie movendo dalla considerazione che il comando giurisdizionale, cristallizzato nella già menzionata decisione del Consiglio di Stato n.1764/2006, non poneva alcun vincolo in ordine al merito dell’accertamento della questione risarcitoria, se non quello formatosi in esito al giudicato "sostanziale" circa la riconosciuta legittimità della disposta revoca dell’aggiudicazione, con tutte le conseguenze giuridiche connesse.

Riassunti, poi, in linea generale, i presupposti necessari ai fini dell’accoglimento dell’azione risarcitoria nei confronti della P.A., hanno osservato, tra l’altro, i primi giudici, che l’allora Ente A.P. (EA.), alla data dell’aggiudicazione (4 giugno 1992) era certamente un ente pubblico, essendo stato trasformato in "A.P. s.p.a." soltanto con Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n.141, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 117 del 21 maggio 1999; e che il decisum del giudice d’appello, nel confermare la legittimità del provvedimento di revoca, aveva implicitamente escluso che il vincolo contrattuale si fosse già costituito con l’aggiudicazione, con la naturale conseguenza che, nella specie, non si era verificata alcuna forma di recesso senza giusta causa.

Del resto, hanno aggiunto i primi giudici, anche il contegno tenuto da entrambe le parti confermava che esse certo non consideravano la stipulazione del contratto alla stregua di una mera formalizzazione di un vincolo già esistente, ma il momento genetico dei loro rapporti, come dimostrava la stessa scelta della parte ricorrente di adire il TAR per impugnare la nota dell’EA. del 31 maggio 1995, nella parte in cui aveva proposto, per lo stipulando contratto, l’inapplicabilità della clausola dispositiva della revisione prezzi (ricorso n. 2221/1995, positivamente definito con sentenza n. 241/1997, poi annullata, con decisione Cons. Stato, Sez. VI, del 31 marzo 2000, n. 483, che ha dichiarato inammissibile l’originario ricorso, in quanto interposto avverso una nota priva di contenuto provvedimentale); e detto contenzioso comprovava, fra l’altro, per il TAR, il comune intendimento delle parti di attribuire valore determinante ed assolutamente inderogabile all’inserzione o meno della clausola dispositiva della revisione prezzi nello stipulando contratto; sicché, appurato che nel caso di specie non risultava essere stato posto in essere alcun vincolo contrattuale fra le parti e considerato il giudicato formatosi circa le statuizioni inerenti la legittimità della disposta revoca, era da ritenere che l’accertamento dei profili di responsabilità sottoposto all’esame del giudicante concerneva un’ipotesi di responsabilità contrattuale (recte: precontrattuale – n.d.r.), ai sensi dell’art.1337 c.c..

Dopo avere riassunto con ampiezza lo svolgimento dei fatti occorsi nell’ambito della complessa vicenda in esame, i primi giudici hanno ritenuto che la documentazione in atti non consentiva di affermare che il comportamento dell’E. fosse stato improntato a colpevole inerzia nel periodo intercorrente fra la data di definitiva aggiudicazione della gara, avvenuta il 4 giugno 1992, e la data di emanazione della nota del 31 maggio 1995, con cui l’amministrazione aveva comunicato all’A. aggiudicataria l’inapplicabilità della revisione dei prezzi, che aveva determinato l’insorgere del contenzioso di cui al ricorso (n. 2221/1995) concluso con la citata sentenza n. 241/1997, poi annullata con decisione del Cons. Stato, Sez. VI, 31 marzo 2000, n. 483.

Quanto al periodo successivo all’instaurazione del giudizio n. 2221/1995, dalla documentazione in atti non emergeva, ad avviso dei primi giudici, che l’A. si fosse attivata mediante diffide, solleciti, etc. rivolti avverso la stazione appaltante, al fine di ottenere la stipulazione del contratto e la conseguente consegna dei lavori; e, pur non potendosi escludere che, in tale spatium temporis, potessero essere intercorsi eventuali contatti informali fra le parti al fine di addivenire ad una soluzione concordata sulla questione inerente la clausola di inserzione del meccanismo della revisione prezzi, questo, ove avvenuto, non avrebbe potuto che confermare quanto deducibile dalla documentazione in atti e, cioè, che entrambe le parti avevano ritenuto necessario attendere l’esito definitivo di quel giudizio prima di stipulare il contratto e, quindi, eseguire i lavori; come osservato, del resto dal Consiglio di Stato (nella ripetuta decisione Sez. VI, n. 1764/2006), la questione del compenso revisionale non investiva la validità e l’efficacia del provvedimento definitivo di aggiudicazione; e infatti – ha aggiunto il TAR – l’applicabilità dell’istituto della revisione prezzi ad una determinata fattispecie discende direttamente dalla legge, che la realizza mediante il meccanismo della cosiddetta "inserzione automatica", ai sensi degli artt. 1419, comma secondo, c.c. e 1339 c.c.; della norma imperativa di legge, cioè, che si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie, con eventuale declaratoria di nullità parziale del contratto, in relazione ad eventuali pattuizioni contra legem.

Nella specie non bastava, però, per i primi giudici, il richiamo al suddetto pacifico e consolidato principio di diritto per poter affermare il nesso eziologico fra il comportamento della stazione appaltante ed il danno derivante alla parte ricorrente dalla mancata stipulazione del contratto quanto al periodo di durata del contenzioso sulla revisione prezzi (dalla data di notifica del ricorso n. 2221/1995, depositato in data 28 settembre 1995, a quella della sua definizione con decisione d’appello del 31 marzo 2000, n. 483), occorrendo, all’uopo, la convergenza di ulteriori elementi, quali, diffide, solleciti, etc.. del RTI aggiudicatario, atti a dimostrare la conseguente inerzia della P.A., oltre che l’effettiva volontà del raggruppamento di voler stipulare il contratto prima della definizione del contenzioso; sennonché, di tali atti di significazione non vi era traccia nella documentazione in atti, per cui, nella specie, si poteva dedurre che la scelta dell’aggiudicataria di avviare un contenzioso sulla revisione prezzi "in via preventiva", cioè prima della formale stipulazione del contratto, e non al momento di ritenuta maturazione del diritto rivendicato, fosse espressiva proprio del suo intento di voler attendere l’esito definitivo del giudizio.

Né si poteva ritenere ex se fonte di responsabilità per la P.A. l’aver proposto – come suggerito dal voto n. 16 del 4 marzo 1994 – la clausola intesa ad escludere il meccanismo della revisione prezzi, dal momento che siffatta clausola non era risultata manifestamente illegittima e/o pretestuosa, né "vessatoria", apparendo, invece, una scelta sorretta da idonea giustificazione giuridica, soprattutto in momenti di incertezza giurisprudenziale e di sopravvenuti mutamenti del quadro normativo.

In definitiva, ad avviso dei primi giudici, la prospettazione di parte ricorrente non offriva un quadro ricostruttivo adeguato del nesso eziologico stringente che avrebbe dovuto legare, in una concatenazione causale diretta, il ritardo della stazione appaltante e le voci di danno indicate in ricorso; rimaneva, invero, privo di sufficiente prova il fatto che le perdite asseritamente subite fossero riconducibili al comportamento tenuto da A. nel corso degli eventi caratterizzanti la complessa vicenda in questione; donde il rigetto della domanda risarcitoria.

3) – Per l’A. appellante la sentenza sarebbe sotto ogni profilo erronea.

Alla gara sono seguite l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva in favore della deducente; la stessa lettera d’invito avrebbe attribuito al provvedimento di definitiva aggiudicazione una valenza piena ed incondizionata; né in contrario potrebbe essere utilmente invocato l’art. 62 del dpr. n. 696 del 1979.

Né la riconosciuta legittimità (di cui alla sentenza di questa Sezione n. 1764/2006) della revoca dell’aggiudicazione rileverebbe in danno dell’odierna appellante, non potendo essa incidere sull’an e sul quantum della responsabilità della stazione appaltante.

Neppure rileverebbe l’impugnativa della citata nota del 31 maggio 1995 (di intendimento dell’Ente di escludere la revisione prezzi) essa trovando piena giustificazione nell’insostenibile lievitazione dei costi che, a seguito della tardiva stipula, sarebbe intervenuta e che solo attraverso la revisione prezzi sarebbe stata sostenibile.

Il TAR, ad avviso dell’appellante, avrebbe errato, in particolare, nel ritenere corretta (e non produttiva del lamentato pregiudizio) la riapprovazione del progetto che ha avuto corso tra il 1992 e il 1995; la modestia delle varianti apportate dall’aggiudicataria al progetto esecutivo a base di gara – riconosciuta dallo stesso CTA, organo tecnico cui ha fatto ricorso l’Ente – non avrebbe giustificato l’inutile decorso di tale periodo triennale.

Il TAR avrebbe errato, poi, anche con riguardo alla questione inerente alla revisione prezzi.

Deduce, poi, l’appellante che il TAR – nel pronunciarsi negativamente sulla richiesta risarcitoria di cui si discute – avrebbe erroneamente trascurato di esaminare, da un lato, la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento che ha portato all’annullamento dell’aggiudicazione; dall’altro, quella della incompatibilità logica delle determinazioni di revoca dell’aggiudicazione ed annullamento degli atti di gara contenute nel medesimo contesto procedimentale; infine, avrebbe omesso di valutare l’interesse della deducente e il lungo tempo trascorso dall’aggiudicazione definitiva dell’appalto, con il conseguente e ormai definitivo consolidamento della posizione giuridica soggettiva dalla stessa vantata.

Il TAR avrebbe, inoltre, trascurato di esaminare il motivo di primo grado volto ad evidenziare, sempre ai fini risarcitori, la violazione dei principi fondamentali in materia di contratti ad evidenza pubblica, nonché del principio di buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost.

Per l’A. appellante, infine, concreti elementi attestanti il pieno fondamento della domanda risarcitoria sarebbero individuabili nel testo della citata decisione di questo Consiglio n. 1764/2006.

L’appellante stessa passa, poi, ad articolare e quantificare le proprie pretese risarcitorie.

4) – Resiste la società A. che – dopo avere ritirato l’eccezione di tardività dell’appello – contesta l’interpretazione che della decisione di questo Consiglio di Stato n. 1764/2006 fornisce l’A. appellante, nessun esame del merito relativo alla questione risarcitoria essendo stato operato in tale occasione.

Insiste, poi, nel ribadire che il vincolo contrattuale non potrebbe ritenersi sorto con la semplice aggiudicazione definitiva, occorrendo, a tal fine (nella considerazione che, nella specie, avrebbe trovato applicazione l’art. 62 del dpr. n. 696/1979), la formale stipula contrattuale; e che, inoltre, come correttamente ritenuto dal TAR, si verterebbe, nella specie, in tema di responsabilità.precontrattuale; lo stesso comportamento delle parti confermerebbe, del resto, il loro convincimento circa l’insussistenza del vincolo contrattuale stesso.

L’A. sostiene, poi, il carattere essenziale del vaglio da parte del Provveditorato OO.PP., in quanto reso necessario dall’incompletezza del progetto migliorativo prodotto dall’aggiudicataria.

Circa, poi, le questioni afferenti alla revisione prezzi, le stesse non potrebbero offrire supporto alla pretesa risarcitoria, il tipo di gara (licitazione con il meccanismo dell’offerta economicamente più vantaggiosa) dovendo far ritenere applicabile la disciplina normativa di cui al d.l. n. 333/1992 (che detta revisione esclude), dal momento che, nella specie, anche tenuto conto del disposto di cui al citato art. 62 del dpr. 696/1979, il vincolo contrattuale non avrebbe potuto ritenersi ancora venuto in essere al momento dell’entrata in vigore dell’art. 3 del citato decreto legge; in ogni caso, anche se tale conclusione non dovesse essere condivisa, la questione sarebbe stata, comunque, all’epoca estremamente controversa.

Non vi sarebbe stata, infine, alcuna omissione di pronuncia, da parte del TAR, circa taluno dei motivi di primo grado.

L’A. eccepisce, poi, l’inammissibilità delle pretese risarcitorie correlandola al fatto che esse sarebbero state avanzate – nel ricorso di primo grado e in appello – movendo dal presupposto che si trattasse, nel caso in esame, di recesso senza giusta causa o di risoluzione di contratto; ciò che sarebbe stato, invece, correttamente escluso dal TAR, vertendosi, in effetti, in tema di responsabilità precontrattuale, come confermato, del resto, dalla decisione di questo Consiglio n. 1764/2006 che parla di revoca e/o annullamento dell’aggiudicazione; di qui il venire meno del presupposto sul quale sono state poggiate le richieste risarcitorie; e, ad ogni buon conto, qualora, in ipotesi, si trattasse, nella specie, di rapporto contrattuale, avrebbe potuto essere esercitato solo il diritto di recesso da parte dell’aggiudicataria, in mancanza del quale non poteva essere chiesto il risarcimento del danno.

Per la società appellata le pretese risarcitorie sarebbero, comunque, prive di ogni supporto probatorio e affatto generiche.

Motivi della decisione

1) – L’appello non merita accoglimento.

Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto, invero, la domanda risarcitoria avanzata dall’odierna appellante in conseguenza della ritenuta legittimità (giusta sentenza dello stesso TAR n. 599/2004, confermata, per tale parte, con decisione di questo Consiglio n. 1764/2006) della determinazione prot. n. 116 del 16 aprile 2002 dell’Amministratore unico della società "A.P. s.p.a. (nel prosieguo: A.) recante la revoca del bando di gara del 19 luglio 1991 e di tutti gli atti conseguenti, ivi compresa l’aggiudicazione della gara stessa, relativa ai lavori di risanamento del canale principale dell’Acquedotto del Sele – Lotto n. III – all’A. sopra indicata e, comunque, l’annullamento di tutti gli atti di gara; con il ricorso di primo grado era stato anche chiesto l’annullamento della determinazione con cui era stato deciso di avviare il procedimento volto all’adozione del predetto atto, della relazione prot. n. 569 del 22 marzo 2002 del Responsabile del procedimento stesso e di ogni altra determinazione di cui alle note dell’A. citate nell’atto, nonché di ogni altro atto, comunque connesso con quello principalmente impugnato, tra cui, all’occorrenza, dei voti n. 69 del 23 novembre 2000, del 29 novembre 2000 e n. 57 del 28 settembre 2001 del CTA del Provveditorato Regionale alle 00. PP. di Bari.

In particolare, deduce l’appellante nel contestare la sentenza qui gravata, alla gara sono seguite l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva in favore della deducente; la stessa lettera d’invito avrebbe attribuito al provvedimento di definitiva aggiudicazione una valenza piena ed incondizionata, disponendo che "….il Presidente dell’Ente, preso atto delle risultanze contenute nel verbale della Commissione, dichiarerà aggiudicataria l’impresa indicata…..e la inviterà a prendere contatti con gli uffici…..onde procedere, nelle more della stipula del contratto, alla consegna dei lavori…."; né in contrario potrebbe essere utilmente invocato l’art. 62 del d.p.r. n. 696 del 1979 che, anzi, l’attribuzione alla stazione appaltante – con esso operata – del potere di supremazia (possibilità di dichiarare la decadenza nell’ipotesi di mancata stipula, entro trenta giorni, per causa riconducibile all’aggiudicatario) testimonierebbe che l’aggiudicazione non avrebbe avuto affatto valenza preparatoria.

Né la riconosciuta legittimità (di cui alla sentenza di questa Sezione n. 1764/2006) della revoca dell’aggiudicazione avrebbe rilevato in danno dell’odierna appellante, non potendo essa incidere sull’an e sul quantum della responsabilità della stazione appaltante.

Neppure avrebbe potuto assumere rilevanza l’impugnativa della citata nota del 31 maggio 1995 (di intendimento dell’Ente di escludere la revisione prezzi) essa trovando piena giustificazione nell’insostenibile lievitazione dei costi che, a seguito della tardiva stipula, sarebbe intervenuta e che solo attraverso la revisione prezzi sarebbe stata sostenibile; il TAR, ad avviso dell’appellante, avrebbe errato, in particolare, nel ritenere corretta (e non produttiva del lamentato pregiudizio) la riapprovazione del progetto che ha avuto corso tra il 1992 e il 1995 (e che, per il Tribunale stesso, sarebbe stata ascrivibile alla necessità di modifiche da apportare – e apportate a seguito del richiesto intervento del Provveditorato alle OO.PP. – al progetto iniziale da parte dell’aggiudicataria); per l’appellante, invero, l’affidamento sarebbe avvenuto all’esito di una licitazione privata da aggiudicarsi all’offerta economicamente più vantaggiosa, che si sarebbe svolta sul progetto esecutivo dell’Amministrazione al quale i concorrenti avrebbero potuto apportare modificazioni solo su specifici e predeterminati aspetti; e, in coerenza con lo jus variandi, l’A. si sarebbe limitata ad apportare al progetto della P.A. contenute modifiche tecnologiche, ciò che avrebbe impedito di giustificare il lungo lasso di tempo intercorso per la detta riapprovazione; la modestia delle varianti apportate dall’aggiudicataria al progetto esecutivo a base di gara – riconosciuta dallo stesso CTA, organo tecnico cui ha fatto ricorso l’Ente – non avrebbe giustificato l’inutile decorso di tale periodo triennale.

2) – Tali censure non possono essere condivise.

Se è vero, infatti, che, come di norma, all’aggiudicazione definitiva avrebbe dovuto far seguito la stipula del contratto, non può, non di meno, ritenersi che, nel caso in esame, nel difetto di una stipula formale, il vincolo pattizio avrebbe dovuto ritenersi, ormai, insorto a seguito dell’intervenuta aggiudicazione definitiva; a tanto ostava, invero:

– da un lato, la considerazione che la disciplina di gara consentiva, all’aggiudicataria, di apportare modifiche al progetto predisposto dall’Amministrazione e che la stessa A. qui appellante si è avvalsa, nel proprio interesse, di tale facoltà; con la conseguenza che, fino a che l’organo tecnico deputato all’approvazione delle predette modifiche progettuali (rilevanti anche sotto l’essenziale profilo degli assetti finanziari) non fosse pervenuto all’approvazione del nuovo quadro progettuale, era da escludere che potesse essersi consolidato un valido e stabile rapporto contrattuale;

– dall’altro, il fatto che, come rilevato dai primi giudici, il bando definiva sempre "provvisoria" l’aggiudicazione dell’appalto in esito alle operazioni concorsuali, subordinando, altresì, la stipulazione del contratto all’acquisizione della prescritta documentazione (così dimostrando di voler conservare il potere di accertare, in capo all’aggiudicatario, la sussistenza di tutti i requisiti e le condizioni necessari per la stipula del contratto, rinviando, quindi, la nascita del vincolo contrattuale alla formale sottoscrizione);

– che, all’epoca dell’aggiudicazione, era ancora vigente la disciplina normativa sulla contabilità degli enti pubblici di cui al D.P.R. 18 dicembre 1979, n. 696, il cui art. 62 stabilisce, al primo comma, che, "salvo il caso in cui nell’avviso d’asta o nella lettera di invito alla licitazione privata sia stabilito che il verbale di aggiudicazione tiene luogo del contratto, avvenuta l’aggiudicazione, si procede alla stipulazione del contratto entro il termine massimo di trenta giorni dalla data dell’aggiudicazione ovvero della comunicazione di essa all’impresa aggiudicataria"; con la conseguenza che, per detti enti, la convergenza, nello stesso atto, di aggiudicazione e stipula contrattuale era configurabile solo nell’ipotesi – non prevista nella procedura concorsuale di cui qui si discute – in cui la lex specialis della gara avesse previsto tale specifica evenienza, in difetto della quale era da escludere che il verbale di aggiudicazione potesse tenere luogo del contratto (la cui stipula avrebbe dovuto, poi, intervenire nel termine anzidetto);

– che, come pure sottolineato dai primi giudici, la citata sentenza di questo Consiglio n. 1764/2006 conferma nel convincimento secondo cui, nel caso in esame, nessuna stipula era intervenuta, nella decisione stessa essendo stato fatto, tra l’altro, espresso riferimento alla sopravvenuta sua impossibilità.

Deve, poi, soggiungersi che, come precisato nel voto n. 16 del 4 marzo 1994 del CTA del Provveditorato alle OO.PP. per la Puglia,l’Ente Autonomo A.P. (E.), con decreto presidenziale n. 105 del 4 giugno 1992 ha preso atto dell’aggiudicazione definitiva e con delibera n. 12 dell’11 dicembre 1992 del C. d’A. ha approvato il progetto così come modificato dalla variante tecnologica migliorativa presentata in sede di gara dall’odierna appellante, con il relativo quadro economico; il progetto stesso, inoltre, era stato sottoposto, per esame e parere, allo stesso CTA con nota del 17 settembre 1992, n. 12363, "successivamente integrato, in data 8.1.93, con prot. 29, con la citata delibera n. 12…….e, in data 28.1.93 prot. n. 168 con la relazione dell’Ente accompagnata dal parallelo di spesa"; lo stesso CTA precisava, poi, che, "con relazione in data 13.2.93 il Settore Acquedotti Interregionali ha riferito in merito" e che lo stesso Comitato, nella seduta del 19 febbraio 1993, esaminate le varianti tecnologiche proposte, aveva formulato una serie di osservazioni, richiedendo un’idonea relazione idraulica, giustificazioni circa l’esecuzione di talun intervento, chiarimenti in ordine a discordanze, acquisizione di ulteriori elementi giustificativi di dettaglio, l’esigenza di valutazioni di compatibilità circa l’uso di determinati materiali.

Tali integrazioni erano, poi, fornite dall’aggiudicataria e successivamente trasmesse dall’E. al CTA che, con il voto anzidetto, le approvava con prescrizioni; in particolare, con nota n. 2398/3 del 7 giugno 1994 l’E. ha invitato l’A. aggiudicataria a prendere atto delle prescrizioni del CTA e l’aggiudicataria stessa, con dichiarazione resa in data 23 giugno 1994, ha accettato le prescrizioni dettagliate del predetto organo tecnico; come emerge, poi, anche dal Voto del CTA n. 53 del 31 marzo 1995 l’aggiudicataria si era adeguata alle prescrizioni ora dette, ma solo con DP n. 13056 del 16 novembre 1994 era stato possibile approvare il rideterminato quadro economico; e queste considerazioni hanno indotto, nel voto stesso, il CTA a rimettere all’Ente la valutazione circa l’applicabilità, o meno, alla fattispecie in esame, del disposto di cui al d.l. n. 333/1993 (soppressivo della revisione prezzi), in relazione al fatto che "gli elaborati progettuali relativi alle varianti tecnologiche sono stati approvati ben 2 anni e mezzo dopo e quindi vigente l’abrogazione citata".

Emerge, quindi, da tale quadro espositivo, che il decorso del lasso temporale corrente tra il 1992 e l’inizio del 1995 è conseguenza delle proposte di modifica progettuale avanzate, secondo quanto consentito dalla stessa lex specialis della gara, dall’aggiudicataria medesima; che l’Ente ha tempestivamente convenuto su tali varianti progettuali, rimettendone, peraltro, doverosamente l’esame tecnico ad un organo terzo, estraneo all’Ente stesso (il CTA del Provveditorato regionale alle OO.PP.), che, a sua volta, ha ritenuto a più riprese necessario chiedere approfondimenti progettuali e chiarimenti all’aggiudicataria medesima, pervenendo, poi – senza contestazioni da parte di quest’ultima e senza che essa si sia mai formalmente attivata ai fini del conseguimento dell’immediata stipula contrattuale, del resto, incompatibile, logicamente, con l’avvenuta proposizione di modifiche progettuali in corso di accettazione – alla definitiva approvazione del progetto, così come modificato; con la conseguenza che non può farsi risalire all’E. responsabilità alcuna per l’asserito ritardo nella stipula del contratto, questo essendo stato diretta conseguenza dell’iniziativa della parte volta – evidentemente, nel suo stesso interesse di proponente – alla modifica progettuale anzidetta; e le relative operazioni approvative non hanno portato a contestazione alcuna, neppure a fini sollecitatori della complessa procedura, essenzialmente rimessa ad un organo terzo.

Organo, quest’ultimo, che ha sollevato anche il motivato dubbio – rimettendone la soluzione all’EA. – relativo all’applicabilità o meno, nel caso in esame, della modifica normativa alla disciplina revisionale introdotta dal citato d.l. n. 333/1992; dubbio comunicato, dall’Ente, all’aggiudicataria con la citata nota del 31 maggio 1995 che l’aggiudicataria stessa ha immediatamente impugnato con il ricorso al TAR n. 2221/1995, positivamente definito con sentenza n. 241/1997, poi annullata, con decisione di questo Consiglio di Stato, Sez. VI, del 31 marzo 2000, n. 483, che ha dichiarato inammissibile l’originario ricorso in considerazione del carattere endoprocedimentale della nota stessa.

Ne consegue che non solo per il periodo corrente tra il 1992 e il 1995 nessuna responsabilità da ritardo può essere ascritta alla stazione appaltante, ma che anche per il periodo successivo non può farsi carico alla medesima dell’ulteriore ritardo nella stipula contrattuale, dal momento che era stato lo stesso organo tecnico consultivo sedente presso il Provveditorato regionale alle opere pubbliche ad addurre il ragionevole dubbio circa l’applicabilità o meno della revisione prezzi in presenza di una situazione in cui l’approvazione progettuale definitiva, con il relativo – pure modificato – quadro economico era intervenuta, per motivi non ascrivibili all’Amministrazione, ma conseguenti all’iniziativa di modifica progettuale assunta dalla stessa aggiudicataria, in un momento in cui, con l’entrata in vigore del citato decreto legge, era stata radicalmente modificata la disciplina normativa revisionale.

A seguito dell’invio della nota anzidetta, poi, l’aggiudicataria, anziché mettere in mora l’Ente affinché provvedesse, comunque, alla stipula contrattuale, eventualmente con riserva di definizione delle problematiche revisionali nel corso di esecuzione delle opere, ha impugnato la nota stessa e, per quasi un quinquennio, è rimasta – almeno sul piano formale – del tutto inerte, in attesa dell’esito del giudizio radicato innanzi al giudice amministrativo e risoltosi con la citata decisione di inammissibilità da parte di questo Consiglio; né emergono iniziative, anche di carattere informale, in tale periodo, volte a conseguire la stipula contrattuale.

In definitiva, nessun colpevole ritardo appare imputabile alla stazione appaltante in considerazione della mancata stipula contrattuale dal 1993 al 2000; ma anche per il periodo successivo non emergono elementi di responsabilità, a tale titolo, in capo alla medesima.

3) – Al riguardo, va rilevato che, nelle more del contenzioso legato all’impugnativa della nota del 1995 dianzi citata, relativa alla revisione prezzi, il Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche di Bari, in considerazione del lungo periodo di tempo trascorso dall’indizione della gara, con provvedimento n. 12638 del 15 settembre 1998, ha nominato una Commissione per la valutazione, sotto il profilo tecnicoamministrativo ed economico, della validità ed eseguibilità del progetto de quo, come modificato dalla variante approvata dal CTA con il citato voto n.16/1994; all’esito, la commissione ha evidenziato la necessità di integrare l’anzidetto progetto con ulteriori varianti relative a nuove opere di alimentazione alternativa, che poi sono state predisposte dai competenti organi della stazione appaltante e, quindi, sottoposti al parere del CTA presso il Provveditorato alle opere pubbliche, il quale, con voto n. 69 del 23 novembre 1999, si è pronunciato positivamente circa i nuovi aspetti tecnici, precisando, inoltre, che "il progetto di che trattasi debba essere riesaminato sotto l’aspetto economico complessivo dopo che l’A. avrà definito il rapporto contrattuale con l’impresa aggiudicataria".

È seguita, poi, la nota n. 267 del 6 dicembre 1999 con la quale l’A. D.F. comunicava che "quanto alle condizioni in base alle quali questa impresa sarebbe disposta ad effettuare i predetti lavori, atteso il lungo tempo trascorso dall’aggiudicazione, che ha determinato un aumento dei costi presuntivamente stimato nel 35%, non possiamo che ribadire la posizione espressa nel corso di questi anni, ovvero che siamo disponibili ad eseguire l’appalto in questione alle condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle originarie".

Con nota n. 1510 del 18 settembre 2000, l’A., in ottemperanza alle prescrizioni di cui al citato voto n. 67/1999 del CTA, ha trasmesso, al Provveditorato regionale alle opere pubbliche per la Puglia, gli elaborati tecnici ed economici integrativi, ai quali ha fatto seguito la comunicazione n. 197 del 29 novembre 2000 del Provveditorato, intesa ad informare l’A. medesimo che il CTA, nell’adunanza del 29 novembre 2000, aveva esaminato le problematiche connesse con l’applicabilità del regime della revisione prezzi all’appalto in oggetto, convenendo che la soluzione praticabile sarebbe quella di rinegoziare i termini economici del contratto da formalizzare con l’A. aggiudicataria, al fine di escludere la revisione dei prezzi.

Successivamente, l’A., con nota del 31 luglio 2001, ha inviato una bozza del contratto all’A. aggiudicataria e, con lettera n. 3802 del 1° agosto 2001, ha rappresentato al Provveditorato di aver esperito il tentativo di rinegoziazione dei termini economici dell’appalto, ribadendo l’interesse alla realizzazione dei lavori in questione.

Con note n. 2090 del 14 novembre 2001, n. 2103 del 17 novembre 2001 e n. 2134 del 21 novembre 2001, l’A. ha invitato l’A. a sottoscrivere il contratto d’appalto dapprima il giorno 19 novembre 2001 e, successivamente, il giorno 23 novembre 2001, con la contestuale consegna ed inizio dei lavori; condizione, questa, ritenuta essenziale per evitare la perdita della quota di finanziamento disponibile ed erogabile dal Provveditorato regionale OO.PP. di Bari – ente finanziatore.

L’A. ha invitato, quindi, l’A. aggiudicataria a produrre, tra l’altro, le attestazioni SOA di tutte le imprese associate per comprovare la persistenza dei requisiti di capacità tecnicoeconomica; poi, attesa la dichiarata impossibilità, da parte dell’aggiudicataria, di procedere alla cantierizzazione dei lavori per il giorno 23 novembre 2001 e della mancata integrazione, inoltre, della polizza fideiussoria, nonché dell’omessa produzione delle attestazioni SOA, la società A. si è riservata l’adozione degli opportuni provvedimenti; e così, con nota del 19 dicembre 2001, ha comunicato all’impresa D.F.C. la propria intenzione di "rivedere e riesaminare il rapporto – ed i relativi atti – intercorso con l’A. e quindi l’avvio del procedimento" finalizzato all’assunzione delle "decisioni opportune per la più sollecita cessazione dell’attuale situazione di stallo", cui è seguita la determinazione n.116 del 16 aprile 2002, dispositiva della revoca del bando impugnata con il ricorso di primo grado.

Ebbene, tutto quanto precede induce a far escludere che la mancata stipula contrattuale nel periodo corrente tra il 2000 e il 2001 possa, del pari, essere ascritta a responsabilità precontrattuale della società A..

La stessa risulta, infatti, essersi attivata (secondo quanto emerge dall’elencazione dei fatti che precede) per addivenire, comunque, alla stipula contrattuale, accordando anche, una volta superate talune incertezze, come detto, giustificabili, tenuto contro della peculiarità della presente fattispecie, in cui l’approvazione definitiva del progetto (e la definizione degli aspetti economici dello stesso) era intervenuta molto tempo dopo l’aggiudicazione definitiva e l’entrata in vigore del d.l n. 333/1992, senza responsabilità da ritardo per l’allora EA.; sennonché, l’accordo tra le parti non è stato raggiunto non avendo ritenuto, l’aggiudicataria, di aderire ad una serie di richieste avanzate dell’A. onde addivenire alla stipula in termini rassicuranti circa il possesso dei requisiti generali e speciali da parte delle società attuali componenti l’A., in considerazione delle modifiche soggettive intervenute negli anni; la stessa stazione appaltante aveva, inoltre, avanzato ragionevoli richieste in tema di polizza fideiussoria e di piani di sicurezza, correlati alle novità normative intervenute negli anni; infine, onde non perdere il finanziamento, ha invitato l’A. aggiudicataria a stipulare in tempi brevi il contratto ed a cantierare con immediatezza l’opera; la stessa A. si è, però, sottratta a tali richieste e non ha proceduto, quindi, alla stipula medesima.

Ne è seguita l’adozione del provvedimento di annullamento del bando e delle operazioni di gara che, come detto, questo Consiglio, con la citata decisione n. 1764/2006, ha ritenuto legittimo.

Anche con riguardo a tale periodo, quindi, non appaiono configurabili responsabilità dell’A., che ha inutilmente ricercato, venendo incontro a numerose richieste dell’A. aggiudicataria anche in tema revisionale, la definizione dell’accordo, preclusa, peraltro, da talune difficoltà frapposte dal raggruppamento stesso e resa, poi, impossibile dal maturare di una situazione – analizzata nella decisone appena citata – che rendeva inadeguato – e, quindi, non più realizzabile – l’intervento stesso.

Al riguardo è, comunque, anche da escludersi – contrariamente a quanto deduce l’appellante – che concreti elementi attestanti il pieno fondamento della domanda risarcitoria sarebbero individuabili nel testo della citata decisione di questo Consiglio n. 1764/2006.

Sul punto, occorre osservare che, per ciò che attiene agli aspetti risarcitori, questo Consiglio – nel riformare, in parte, la sentenza del TAR – ha ritenuto spettante al giudice amministrativo la valutazione delle conseguenze risarcitorie derivanti dal comportamento tenuto dalla stazione appaltante in relazione al mancato affidamento dei lavori; nel pronunciare in tal senso il giudice dell’appello ha, quindi, rimesso al giudice di primo grado – al quale ha restituito gli atti – la decisione circa la sussistenza o meno dei presupposti per accordare la richiesta tutela risarcitoria; ed è vero che, a tal fine, ha riportato una serie di elementi che, ad un esame sommario, potevano indurre a ritenere sussistente la responsabilità da ritardo della stazione appaltante nella stipula – poi non intervenuta – del contratto; ma si è trattato di argomentazioni atte essenzialmente a supportare l’interesse della parte alla ulteriore coltivazione della domanda correlato alla non manifesta infondatezza delle ragioni addotte; ma il concreto e definitivo esame circa la fondatezza della pretesa risarcitoria non poteva che spettare, logicamente, al giudice di primo grado una volta riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo in materia.

4) – Deduce, infine, l’appellante che il TAR – nel pronunciarsi negativamente sulla richiesta risarcitoria di cui si discute – avrebbe erroneamente trascurato di esaminare, da un lato, la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento al quale ha fatto seguito l’annullamento dell’aggiudicazione; dall’altro, quella dell’incompatibilità logica delle determinazioni di revoca dell’aggiudicazione ed annullamento degli atti di gara contenute nel medesimo contesto procedimentale; infine, avrebbe omesso di valutare l’interesse della deducente e il lungo tempo trascorso dall’aggiudicazione definitiva dell’appalto, con il conseguente e ormai definitivo consolidamento della posizione giuridica soggettiva dalla stessa vantata; lo stesso TAR avrebbe, inoltre, trascurato di esaminare il motivo di primo grado volto ad evidenziare, sempre ai fini risarcitori, la violazione dei principi fondamentali in materia di contratti ad evidenza pubblica, nonché del principio di buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost.

Anche tali censure sono prive di consistenza.

Quanto al dedotto mancato esame, da un lato, della censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento che ha portato all’annullamento dell’aggiudicazione, dall’altro, di quella relativa alla incompatibilità logica delle determinazioni di revoca dell’aggiudicazione ed annullamento degli atti di gara contenute nel medesimo contesto procedimentale, si tratta, invero, di doglianze che afferiscono all’asserita illegittimità di quegli stessi provvedimenti che questo Consiglio, con la ripetuta decisione n. 1764/2006, ha ritenuto pienamente legittimi, sicché le stesse non possono essere in questa sede reiterate perché già vagliate in quella decisione.

Quanto all’asserita omessa valutazione dell’interesse della deducente e del lungo tempo trascorso dall’aggiudicazione definitiva dell’appalto, con l’asserito definitivo consolidamento della posizione giuridica soggettiva dalla stessa vantata, vale quanto in precedenza considerato in merito al fatto che la mancata stipula contrattuale non appare, in effetti, ascrivibile a responsabilità dell’A..

Quanto, infine, al fatto che il TAR avrebbe trascurato di esaminare il motivo di primo grado volto ad evidenziare, sempre ai fini risarcitori, la violazione dei principi fondamentali in materia di contratti ad evidenza pubblica, nonché del principio di buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost., non potendo essere fatte valere, ai fini dell’annullamento dell’aggiudicazione – e onde non pervenire, quindi, alla stipulazione del contratto – delle sopravvenienze normative alle quali, tra l’altro, avrebbe potuto essere adeguato il contratto, va ribadito che ogni questione inerente alla legittimità del provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione è già coperta dal giudicato di cui alla ripetuta decisione n. 1764/2006.

5) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare infondato e va respinto.

Le spese del grado possono essere integralmente compensate tra le parti in considerazione della peculiarità della vicenda processuale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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