Cons. Stato Sez. VI, Sent., 19-01-2011, n. 360 Armi da fuoco e da sparo Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A quanto è stato rilevato come presupposto di fatto dell’atto impugnato (di rigetto di istanza di reintegro nella licenza di porto di fucile ad uso caccia), il Ministero dell’Interno e la Questura di Pavia riferirono che il 12 ottobre 1996, nel corso di una battuta di caccia, il sig. T.L. (titolare di una licenza di pubblica sicurezza per il porto di fucile ad uso caccia) esplose alcuni colpi e che, subito dopo, si imbatté nel sig. Luigi B., il quale lo accusò di averlo accidentalmente ferito al viso con un pallino; a seguito delle rimostranze fra l’odierno appellato e il sig. B. ebbe luogo un vivace alterco.All’indomani, il B. presentò querela a carico del. T. per minaccia, affermando che avesse minacciato di usare il fucile per porre fine all’alterco.

In data 20 febbraio 1997 il Questore di Pavia dispose la sospensione della licenza di caccia del T. fino alla definizione del procedimento penale a suo carico.

Tuttavia, il 14 marzo 1997 il B. rimise la querela. Conseguentemente, il P.M. presso la Procura circondariale della Repubblica di Pavia chiese l’archiviazione del procedimento penale a carico del T. e, con decreto 18 aprile 1997, il G.I.P. dispose l’archiviazione.

Con atto del 18 settembre 1997, la Prefettura di Pavia dispose la revoca del precedente decreto 27 febbraio 1997 con cui era stato fatto divieto di continuare a detenere armi e munizioni.

A questo punto, il T. presentava alla Questura istanza per il reintegro nella licenza sospesa.

Con il provvedimento in data 19 novembre 1997 (oggetto di impugnativa nell’ambito del primo giudizio) la Questura respinse l’istanza osservando che "l’intervenuta sentenza di archiviazione non fa venir meno la realtà storica del fatto, avente gli estremi dell’abuso".

Il provvedimento veniva impugnato dal T. al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia il quale, con la sentenza oggetto del presente appello, dispose l’annullamento del provvedimento osservando:

– che l’episodio esposto nella querela non implicava di per sé abuso del fucile da caccia, essendo piuttosto verosimile che un pallino avesse colpito il B. nel ricadere al suolo dopo l’abbattimento di un volatile;

– che l’alterco tra i due cacciatori "appare riconducibile alla contestazione in ordine all’effettiva responsabilità per la lesione arrecata, mentre le minacce asseritamente proferite nei confronti del querelante possono ritenersi superate con la remissione della querela";

– che, pertanto, non risultava provato il rischio di abuso dell’arma che, solo, avrebbe potuto giustificare l’avversato provvedimento di diniego.

La sentenza veniva appellata dal Ministero dell’Interno per erroneità.

All’udienza pubblica del 3 dicembre 2010 l’Avvocatura erariale rassegnava le conclusioni e il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dell’Interno avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con cui è stato accolto il ricorso proposto dal titolare di una licenza di porto di fucile per uso caccia ed è stato annullato l’atto della Questura di Pavia di rigetto dell’l’istanza di reintegro nella licenza.

2. Con unico motivo di appello, il Ministero dell’Interno osserva che l’intervenuta remissione della querela non comportava il venir meno dei presupposti per l’adozione del provvedimento impugnato in primo grado, anche perché lo stesso appellato avrebbe in più occasioni ammesso che il ferimento del B. era riconducibile al "carattere obiettivamente colposo della (propria) condotta".

Pertanto la pronuncia in questione sarebbe meritevole di riforma per non avere il Tribunale adeguatamente valutato il fatto che sussistesse nel caso di specie il rischio di abuso delle armi il quale, ai sensi dell’art. 43, cpv., r.d. 18 giugno 1931, n. 773, giustifica l’adozione del provvedimento di diniego.

2.1. Il ricorso è meritevole di accoglimento, atteso che il giudizio dell’Amministrazione circa la complessiva non affidabilità del T. nell’utilizzo dell’arma da fuoco appare giustificato alla luce del complesso delle circostanze di causa.

Dal punto di vista storico, risulta agli atti acquisiti dall’Amministrazione che il colpo d’arma da fuoco che aveva determinato il ferimento del B. era stato esploso dal fucile in possesso del T. nel corso di una battuta di caccia.

Del resto, nel ricorso di primo grado, lo stesso interessato aveva attribuito l’accaduto al "carattere obiettivamente colposo della (propria) condotta" (ciò, al fine di escludere ogni aspetto di intenzionalità nell’accaduto).

Tuttavia, pur dandosi per pacifico il carattere meramente colposo dell’accaduto e in disparte restando l’accusa del reato di minaccia (oggetto di querela rimessa), appare ragionevole – rispetto alle risultanze in punto di fatto – il percorso logico seguto dall’Amministrazione nel ritenere che l’episodio in se inteso abbia palesato una complessiva inaffidabilità del T. nell’uso delle armi ed abbia giustificato l’adozione del provvedimento impugnato in primo grado.

Secondo un consolidato orientamento dal quale non si ritiene di discostarsi, la revoca della licenza del porto di fucile costituisce esercizio del potere di cui all’art. 43 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.), il quale implica una valutazione discrezionale in ordine all’affidabilità del titolare della licenza ai fini dell’uso dell’arma; pertanto sono legittimi il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi e la revoca del permesso al porto di fucile disposti sulla base di fatti i quali, nell’apprezzamento che ne fa l’amministrazione, possono indurre in quel momento a ipotizzare un uso improprio dell’arma, in modo da non recare danno e altri (es. Cons. Stato, VI, 11 dicembre 2009, n. 7774).

Si è altresì osservato che l’esistenza di un potere ampiamente discrezionale per l’amministrazione nel formulare un giudizio prognostico circa l’abuso delle armi ai sensi del rammentato art. 43 non esime l’organo statale dall’obbligo di esternare le ragioni del giudizio negativo in proposizioni dotate di sufficiente coerenza e consequenzialità logica, in particolare manifestando la sussistenza e la rilevanza dei presupposti di fatto di tale valutazione,in modo che risultino adeguate e conseguenti le conclusioni.

Riconducendo questi princìpi alle peculiarità del caso di specie, il provvedimento impugnato in prime cure appare esente dalle censure rubricate, se solo si consideri:

– che la Questura non ha conferito alcun rilievo all’ipotesi di reato di minaccia (art. 612 cod. pen.), per il quale era stata proposta una querela in seguito ritirata;

– che, al contrario, l’Organo statale ha ritenuto di desumere dall’episodio del malaccorto ferimento del B. un indice significativo in ordine al complessivo grado di inaffidabilità dell’odierno appellato nell’uso dell’arma.

Si tratta di un giudizio che, se pure espresso con formulazione sintetica, risulta formulato in modo del tutto comprensibile e che appare plausibile sulla base delle circostanze in atti, ragione per cui non vi è ragione per ravvisare la denunciata illegittimità.

3. Per tanto il ricorso va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, dispone il rigetto del ricorso proposto in primo grado.

Condanna T.L. alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.000 (duemila), oltre I.V.A. C.P.A. e spese generali, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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