Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-01-2011) 24-01-2011, n. 2276

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza 29.4.10 la Corte d’Appello di Catania confermava la condanna emessa all’esito di rito abbreviato il 2.12.09 dal GUP del Tribunale di Siracusa nei confronti di M.S. per i delitti di furto aggravato di un’autovettura, rapina impropria in un esercizio di pasticceria e lesioni personali aggravate.

Personalmente il M. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) il delitto di rapina impropria doveva derubricarsi in quello di furto (tentato) stante il difetto di esercizio di violenza fisica ai danni della persona offesa Mo.Ga.;

b) in subordine, ad ogni modo la rapina impropria era rimasta a livello di mero tentativo e non di delitto consumato, atteso che il ricorrente non aveva conseguito l’impossessamento del registratore di cassa oggetto materiale del reato, bene che non era mai uscito dalla sfera di vigilanza della persona offesa, essendo rimasto ancora nella pasticceria;

c) poichè il ricorrente era intento ad asportare il registratore di cassa dell’esercizio commerciale, egli non avrebbe mai potuto esercitare violenza alcuna ai danni della persona offesa, di guisa che le lesioni da lei riportate erano da considerarsi di natura colposa ed andavano ricondotte al paradigma dell’art. 590 c.p. o dell’art. 586 c.p., il che rendeva incompatibile la contestata aggravante teleologica.

1 – Il ricorso è inammissibile.

I motivi che precedono sub a) e sub c) sono generici perchè con essi il ricorrente non esamina specificamente – per confutarle – le considerazioni svolte dal provvedimento impugnato, che ha descritto la violenza esercitata dal M. sulla persona offesa nel corso di una vera e propria colluttazione, cui l’odierno ricorrente ha fatto ricorso al precipuo scopo di assicurarsi il possesso della cosa già sottratta (il summenzionato registratore di cassa).

Del pari la gravata pronuncia ha descritto le conseguenti lesioni riportate dalla Mo.. Dunque, esattamente è stata contestata e ritenuta l’aggravante teleologica.

Il diniego dell’esercizio di violenza sulla persona che si legge nell’atto di impugnazione è meramente assertivo e, in quanto tale, inidoneo ad integrare la necessaria specificità del motivo prescritta dall’art. 581 c.p.p., lett. c), il cui difetto non può che condurre, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 19951 del 15.5.2008, dep. 19.5.2008; Cass. n. 39598 del 30.9.2004, dep. 11.10.2004; Cass. n. 5191 del 29.3.2000, dep. 3.5.2000; Cass. n. 256 del 18.9.1997, dep. 13.1.1998).

2 – Il motivo che precede sub b) è manifestamente infondato, noto essendo, per antica e costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (da cui non vi è motivo di discostarsi), che il delitto di rapina si consuma non appena l’agente sì sia impossessato della cosa e cioè non appena essa passi nell’esclusiva detenzione e nella materiale disponibilità del predetto, con conseguente privazione – per la vittima – del relativo potere di dominio o di vigilanza. Ne consegue che anche un possesso temporaneo della res vale ad integrare il momento consumativo, giacchè pure in tal caso le possibilità di recupero della refurtiva sono legate al necessario ricorso, da parte del soggetto passivo del delitto, alla violenza o ad altra decisa pressione sull’agente e, quindi, ad una reazione di segno opposto all’azione delittuosa (cfr. Cass. Sez. 4, n. 20031 del 6.2.2003, dep. 2.5.2003; Cass. n. 12268/90; Cass. n. 752/87), come avvenuto nel caso di specie (alla stregua della descrizione dell’accaduto operata dalla Corte territoriale).

Ne discende che non rileva nè il criterio spaziale inerente al luogo entro il quale opera il dominio del rapinato nè quello temporale relativo alla durata (anche soltanto minima) del possesso da parte dell’agente (cfr., ancora, Cass. Sez. 4, n. 6682 del 16.1.89, dep. 3.5.89; Cass. Sez. 2, n. 8765 del 24.3.87, dep. 28.7.87; Cass. Sez. 2, n. 4136 del 18.12.86, dep. 4.4.87; Cass. rv. 171516, Cass. rv.

169398; Cass. rv. 168776).

3- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *