Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 19-01-2011, n. 61 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto in data 23 agosto 2007 l’Assessore regionale alle autonomie locali, a seguito della sentenza del Tribunale di Messina n. 529 del 4.4.2007 confermata in appello, ha nominato il dott. Le.Lo. commissario straordinario per la gestione del comune di Forza D’Agrò in sostituzione del sindaco della giunta e del consiglio comunale.

Il dott. Sa.Di.Fr., dirigente in servizio presso l’ispettorato regionale, ha impugnato tale atto avanti al T.A.R. Palermo rilevando che il controinteressato si trovava in quiescenza, mentre la nomina era riservata al personale in servizio attivo presso l’ispettorato.

Il ricorrente, assumendo di essere di fatto l’unico dirigente legittimamente nominabile, ha altresì richiesto il risarcimento dei danni patrimoniali sofferti a seguito della mancata percezione dei compensi connessi alla funzione commissariale.

Nelle more del giudizio l’Amministrazione con decreto del 24.4.2008 ha revocato la nomina, immettendo nell’ufficio commissariale altro dirigente nel frattempo assegnato all’ispettorato.

Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito Tribunale ha dichiarato cessata la materia del contendere per quanto riguarda l’impugnazione del primo provvedimento di nomina ed ha poi respinto nel merito la richiesta di risarcimento dei danni, per mancanza di colpa in capo all’Amministrazione.

La sentenza è stata impugnata, con l’atto di appello all’esame, dal soccombente il quale ne ha chiesto la riforma, tornando a chiedere il risarcimento del danno patito mediante corresponsione dell’indennità commissariale per il periodo dall’agosto 2007 all’aprile 2008.

L’Amministrazione non si è costituita.

L’appellante ha depositato memoria.

Nell’udienza del 23 settembre 2010 l’appello è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

L’appello non è fondato e va pertanto respinto, con conferma della gravata sentenza.

Con il motivo di impugnazione che conviene esaminare in via prioritaria atteso il suo carattere assorbente l’appellante torna a sostenere la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano, essendo evidente la colpevolezza del superficiale comportamento posto in essere dall’Assessorato.

Osserva in tal senso il ricorrente che la normativa applicabile al caso all’esame depone inequivocamente per il difetto di legittimazione alla nomina in capo al personale collocato in quiescenza e che pertanto la omessa fedele applicazione di tale normativa non può che addebitarsi ad ingiustificabile imperizia degli agenti che quel provvedimento hanno predisposto.

Nè, come erroneamente ritenuto dal T.A.R., la successiva richiesta da parte dell’Assessorato di un parere legale può costituire una esimente, in quanto nel dubbio esigibili criteri di prudenza avrebbero consigliato di nominare comunque un funzionario in servizio per non incorrere nel rischio di una scelta potenzialmente dannosa.

Il mezzo non è fondato e va pertanto respinto.

Come è noto, nell’accertamento dell’illecito aquiliano il giudice deve accertare due distinti nessi causali: il primo è quello tra la condotta o l’omissione illecita ed il danno ingiusto inteso quale fatto materiale (c.d. "nesso di causalità materiale"); il secondo nesso causale che il giudice deve accertare è quello tra il fatto dannoso nella sua materialità e le conseguenze che ne sono derivate (c.d. "nesso di causalità giuridica").

Mentre quest’ultimo ha la limitata funzione di circoscrivere il danno risarcibile, l’esistenza del nesso di causalità materiale è invece presupposto essenziale perchè sorga la responsabilità del danneggiante a titolo di colpa o dolo.

Per quanto riguarda la pubblica amministrazione nel passato la giurisprudenza, prima del riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi pretensivi, riteneva la colpa sussistente in re ipsa nel caso di illegittimità processualmente accertata dell’atto amministrativo lesivo di un diritto c.d. affievolito.

Secondo tale impostazione il diritto del privato al risarcimento del danno patrimoniale conseguenziale ad un atto amministrativo illegittimo, previo annullamento di esso da parte del giudice amministrativo, non postulava la prova della colpa della p.a., di per sè ravvisabile nella violazione di legge con l’emissione e l’esecuzione dell’atto medesimo, senza che tale colpa potesse ritenersi esclusa neppure nell’ipotesi di asserita oscurità della norma violata. (ad es. SS.UU. n. 13021 del 1997).

Questo indirizzo, elaborato in riferimento alla lesione di un diritto soggettivo per effetto di attività amministrativa illecita, è stato sottoposto ad una profonda rimeditazione, in quanto ritenuto non più conciliabile con la nuova lettura dell’art. 2043 cod. civ.

In tal senso la stessa sentenza SS.UU. n. 500 del 1999 nell’affermare la risarcibilità ex art. 2043 anche degli interessi legittimi pretensivi ha rilevato che l’imputabilità alla p.a. del fatto dannoso non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo richiedendosi, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa: tale elemento – riferibile non al funzionario agente, ma alla p.a. come apparato – sarà dunque configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione che costituiscono i limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.

In sostanza, una volta superato il criterio della colpa in re ipsa, ai fini della responsabilità aquiliana occorre verificare se la condotta dell’Amministrazione, in disparte l’elemento estrinseco rappresentato dall’illegittimità dell’atto, sia stata connotata da colpa.

L’esistenza di tale elemento di imputazione va peraltro apprezzata in senso tendenzialmente oggettivo, tenendo cioè conto – anche sulla scia delle indicazioni della giurisprudenza comunitaria in tema di violazioni gravi e manifeste e comunque in base alle deduzioni delle parti – dei vizi che hanno determinato l’illegittimità dell’azione, della gravità delle violazioni commesse, dei precedenti giurisprudenziali, dell’univocità o meno del dato normativo, delle condizioni concrete e dell’eventuale apporto dei soggetti destinatari dell’atto.

Ciò comporta, di converso, che ove si accerti che l’errore in cui sia incorsa l’Amministrazione e dal quale è scaturita l’illegittimità provvedimentale sia per così dire scusabile, la colpa deve ritenersi esclusa.

Applicando questi criteri orientativi al caso in esame non sembra al Collegio – avuto riguardo al contesto delle circostanze di fatto e al quadro dei riferimenti normativi – che l’adozione del provvedimento viziato palesi quella incontrovertibile negligenza e imperizia dell’autorità amministrativa procedente che l’appellante allega.

Per quanto riguarda in primo luogo le circostanze di fatto deve evidenziarsi da un lato l’urgenza che ha connotato il procedimento, trattandosi di adottare un atto indifferibile di commissariamento di un ente locale all’esito di una sentenza comportante la decadenza degli organi comunali di governo e la rinnovazione delle elezioni; dall’altro che, come rilevato dal T.A.R., l’Amministrazione ha posto tempestivamente in essere le opportune iniziative per verificare la correttezza del proprio operato e si è poi adeguata alle indicazioni ricevute.

In tale contesto, il fatto che l’Assessorato abbia richiesto il parere degli organi legali non ex ante ma dopo l’adozione del provvedimento appare circostanza del tutto fisiologica e quindi non espressiva di un agire improntato a canoni di superficialità, come invece sostiene l’appellante.

Per quanto riguarda la situazione normativa, l’ordinamento regionale contempla due ipotesi di commissariamento dell’ente locale, rispettivamente disciplinate dall’art. 55 D.Lgs. P. Reg. n. 3 del 1960 (decadenza del consiglio a seguito di sentenza) e dall’art. 55 della legge regionale n. 16 del 1963 (scioglimento del consiglio per gravi violazioni).

La normativa del 1960, come evidenzia l’appellante, prevede la possibilità di nominare commissario solo il personale dirigenziale dell’ispettorato regionale in servizio mentre la normativa del 1963 – a seguito di successive modifiche introdotte dalle leggi regionali n. 50 del 1977, n. 111 del 1984, n. 30 del 2000, n. 20 del 2002 e n. 22 del 2008 – contempla ora tra gli altri quali nominabili anche i dirigenti regionali in quiescenza.

Tuttavia, come rilevato dal T.A.R., l’esistenza di diversi regimi di nomina per fattispecie assolutamente consimili e il chiaro indirizzo estensivo assunto dalla normativa più recente sembrano senz’altro suscettibili di ingenerare errori scusabili non soltanto nella individuazione della normativa effettivamente applicabile ma anche nella delimitazione sul piano sistematico della praticabilità di una interpretazione analogica della nuova disciplina.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono non sussistono, ad avviso del Collegio, gli elementi necessari per ravvisare la colpa dell’Amministrazione appellata e la domanda risarcitoria proposta dall’appellante va di conseguenza disattesa.

L’appello va quindi respinto, con assorbimento di ogni ulteriore motivo e/o questione perché ininfluente e irrilevante ai fini della decisione.

Nulla per le spese e gli onorari di questo grado del giudizio, in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Nulla per le spese di questo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 23 settembre 2010 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, estensore, Gabriele Carlotti, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 19 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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