Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-02-2011, n. 4059 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con due distinte sentenze il Giudice del lavoro del Tribunale di Livorno respingeva le domande proposte da C.P. e G.M. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dirette alla declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con la società (dal 1-3-2000 e dal 12-10-1998 per "esigenze eccezionali" ex art. 8 CCNL 1994 e acc. az. 25-9-97) con conseguente sussistenza di rapporto a tempo indeterminato e con condanna della società alla riammissione in servizio e alla corresponsione della retribuzione maturata.

I lavoratori appellavano le dette sentenze e la società resisteva.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 2-2-2006, riuniti i procedimenti, accoglieva gli appelli e dichiarava la vigenza dalle date sopra indicate di contratti di lavoro a tempo indeterminato, con riammissione in servizio degli appellanti e condannava la società al pagamento delle retribuzioni maturate dal 5- 2-2002 per la C. e da 26-11-2001 per il G. oltre accessori.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre motivi.

La C. e il G. hanno resistito con controricorso ed hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, in sostanza deduce che la Corte d’Appello sulla premessa della natura eccezionale della clausola di apposizione del termine, ha ritenuto arbitrariamente che per ridurre a razionalità il sistema, tale ipotesi dovrebbe essere necessariamente essere correlata ad una precisa limitazione temporale, così violando il principio della "delega in bianco".

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e vizio di motivazione, lamenta che erroneamente ed in violazione dei criteri ermeneutici la Corte di merito ha ritenuto che gli accordi attuativi abbiano fissato un termine alla possibilità di stipula dei contratti a termine e ribadisce che gli stessi accordi avevano natura meramente ricognitiva.

Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che i contratti in esame sono stati stipulati, per "esigenze eccezionali" ex art. 8 CCNL 1994 e acc. az.

25-9-97, in data successiva al 30 aprile 1998, allorquando in base agli accordi attuativi "è venuta la contrattazione autorizzatoria".

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in ordine alla nullità del termine apposto ai contratti de quibus.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994. e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998. per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Con il terzo motivo, poi, la ricorrente denuncia omessa motivazione circa l’aliunde perceptum e lamenta che la Corte di merito motiva in maniera generica il rigetto della richiesta di esibizione di documentazione (libretti di lavoro e buste paga) al fine di consentire una corretta determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti.

Il motivo risulta dei tutto generico e inammissibile.

Al riguardo la sentenza impugnata ha affermato che infondata risulta l’eccezione "di detrazione di quanto ricevuto dai lavoratori a titolo retributivo per attività svolta presso altri datori di lavoro" in quanto "nessun elemento positivo viene portato da Poste Italiane in relazione a tale presunta attività e, se pur è vero che il datore di lavoro non può conoscere nei dettagli quanto realizzato dall’ex dipendente successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro, in ogni caso ha l’onere di allegazione che sostanzi l’eccezione ed in ragione del quale il giudice possa quindi attivare se del caso i poteri istruttori d’ufficio riconosciuti dal l’ordinamento. Peraltro, in primo luogo, non è il lavoratore ad essere onerato della prova del fatto negativo di non avere prestato attività remunerativa. In secondo luogo, nella fattispecie l’assoluta genericità dell’eccezione dell’appellante esclude ogni ricorso ai poteri ex art. 421 c.p.c. anche da parte del Collegio".

La ricorrente, nel censurare tale decisione, non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceplum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -) e neppure indica quando, con quale atto ed in base a quali elementi concreti abbia chiesto l’esibizione di documentazione (richiesta comunque inammissibile a fini meramente esplorativi – v. fra le altre Cass. 20- 12-2007 n. 26943 -).

Così ritenuto inammissibile il terzo motivo, in mancanza di altre censure riguardanti le conseguenze economiche della nullità del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno, deve conseguentemente ritenersi irrilevante nella fattispecie lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Con riguardo, infatti, alla richiesta di applicazione di tale norma, avanzata in sede di discussione dalla società e contrastata dalla difesa dei controricorrenti, anche con la memoria ex art. 378 c.p.c., a prescindere dall’esame delle obiezioni svolte in ordine alla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 ora riportato applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è quindi necessario che il motivo di ricorso che investa. anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia anche ammissibile.

Non solo, infatti, in caso di assenza, ma anche in caso di inammissibilità del relativo motivo, lo ius superveniens non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non sussistendo la condizione sopra richiamata.

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare ai controricorrenti le spese liquidate in Euro 35,00 o oltre Euro 3.000.00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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