Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-01-2011) 24-01-2011, n. 2274

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza 18.3.10 la Corte d’Appello di Catania confermava la condanna emessa all’esito di rito abbreviato il 16.5.09 dal GUP del Tribunale della stessa sede nei confronti di R.G. per concorso (con altre persone per cui si era proceduto separatamente) in tentata rapina aggravata e in ricettazione di un motociclo e di un’autovettura.

Questi, in sintesi, i fatti come ricostruiti in sede di merito: il (OMISSIS) taluni malfattori tentavano invano di sfondare, mediante l’utilizzo di un fuoristrada, l’infisso blindato posto in corrispondenza dello sportello Bancomat dell’ufficio postale di (OMISSIS), dandosi poi alla fuga – visto il fallimento del tentativo – e abbandonando in loco il ciclomotore e il furgone usati;

la polizia, prontamente intervenuta, veniva messa sulle orme dei malviventi in fuga dalle indicazioni ricevute nell’immediatezza da persone non identificate che avevano assistito alla scena, sicchè riuscivano a raggiungere il R. – che portava una maglietta viola simile a quella notata da un passante indosso ad uno dei fuggitivi -e altri suoi due sodali. Li trovavano (tutti in evidente e non spiegato stato di agitazione psicomotoria e il R. anche in preda ad un’elevatissima accelerazione del battito cardiaco) nell’appartamento di B.S. (sito in un edificio poco distante), dove avevano cercato di nascondersi; nè il R. nè gli altri allegavano plausibili ragioni per spiegare la propria presenza in casa della B., che dal canto suo aveva tentato di impedire l’irruzione delle forze dell’ordine; nel corso della perquisizione si rinvenivano anche tre caschi da motociclisti (uno blu, uno nero e uno grigio).

Tramite il proprio difensore il R. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, ognuno dei quali fatto valere sia come violazione di legge che come vizio di motivazione:

a) inutilizzabilità patologica delle prove costituite dalle deposizioni indirette rese da ufficiali e agenti di p.g.

( G. e Ba.) in violazione del divieto di cui all’art. 195 c.p.p., comma 4, atteso che, anche a voler ricondurre quello in esame agli "altri casi" di cui all’ultimo periodo del cit. art. 195 c.p.p., comma 4, era pur sempre necessaria l’indicazione della persona o della fonte di riferimento, con possibilità di sua citazione a richiesta di parte o d’ufficio; anche il comma 7 della norma citata prevedeva l’inutilizzabilità della testimonianza di chi si fosse rifiutato o non fosse stato in grado di indicare la fonte referente, così come erano inutilizzabili ex art. 203 c.p.p. le informazioni provenienti dagli informatori della polizia;

b) inutilizzabilità patologica erga omnes delle dichiarazioni di B.S. (sentita in Commissariato senza l’assistenza di difensore due ore dopo l’arresto del R. e degli altri), dichiarazioni acquisite in violazione del divieto di cui all’art. 63 c.p.p., comma 2 visto che i già evidenti indizi di favoreggiamento dovevano imporre l’adozione delle garanzie previste dalla legge; del pari inutilizzabile era la sintesi delle dichiarazioni medesime fatta nel verbale di arresto;

c) violazione del principio del carattere personale della responsabilità penale in quanto la posizione del ricorrente non era stata distinta da quella degli altri imputati, avendo i giudici del merito proceduto ad un giudizio cumulativo e generalizzato senza che fosse emersa la prova dell’effettiva presenza del R. sul luogo della tentata rapina, in quanto le caratteristiche antropometriche dei soggetti visti dai dipendenti dell’ufficio postale e dal teste M. non coincidevano con la corporatura del R.; nè il difetto di tale dato poteva surrogarsi mediante rinvio alla contiguità spazio-temporale dell’arresto rispetto al luogo e al tempo della tentata rapina, per difetto dell’indicazione della fonte referente e per travisamento dei fatti, giacchè nessuno aveva mai detto di aver visto entrare delle persone nell’appartamento della B., ma solo nello stabile in cui tale appartamento era ubicato; nè vi era stato riconoscimento del R.; inoltre, anche il rinvenimento dei caschi era generico e non individualizzante (mentre i dipendenti dell’ufficio postale, P. e C., avevano riferito di due soggetti che indossavano caschi di colore scuro, il teste M. aveva parlato di un soggetto munito di un casco di colore grigio chiaro, mai rinvenuto); gli ulteriori elementi indiziati (agitazione psicomotoria, accelerazione cardiaca, non spiegata presenza nell’appartamento della B.) erano stati meramente elencati dall’impugnata pronuncia senza indicazione dei parametri logico-argomentativi della inferenza indiziaria e senza valutazione sul piano della gravità e precisione degli indizi;

d) mancata pronuncia sul motivo d’appello concernente l’effettivo e concreto contributo causale del ricorrente all’attività illecita compiuta da altri, distinguendosi il concorso di persone nel reato dalla mera connivenza non punibile; nè il ritenuto concorso del R. risultava argomentato sotto il profilo soggettivo o chiarito in termini di concorso materiale piuttosto che morale;

e) la violazione del principio del carattere personale della responsabilità penale risultava anche in ordine al ritenuto concorso del ricorrente nei reati di ricettazione di cui ai capi C) e D) dell’editto accusatorio; in proposito mancava anche graficamente la motivazione da parte della Corte territoriale, mentre la sentenza di prime cure si era limitata a ricavare la prova dalla deposizione del teste Ma. (quanto al motociclo) e da un anonimo interlocutore (quanto all’autovettura); il rinvenimento dei mezzi nelle vicinanze e nell’immediatezza del locus commissi delicti non ne dimostrava la riconducibilità al R., così come nulla provava che egli fosse consapevole della loro provenienza delittuosa;

f) l’impugnata sentenza non aveva motivato in ordine alla configurabilità del delitto di tentato furto aggravato anzichè di tentata rapina aggravata, atteso che la porta dell’ufficio postale era aperta e che i malviventi, ove lo avessero voluto, sarebbe potuti entrare senza ostacoli;

g) la gravata pronuncia aveva escluso la desistenza perchè su di essa non poteva influire la circostanza che erano state allertate le forze dell’ordine, ma non vi era prova che di tanto il R. fosse a conoscenza;

h) la motivazione era carente anche riguardo al mancato riconoscimento dell’attenuante, ex art. 114 c.p., della minima importanza della partecipazione nel reato;

i) ancora da censurarsi era la motivazione del diniego delle attenuanti generiche e dell’invocata riduzione della pena ai minimi edittali, in contrario non bastando il generico richiamo alla gravità del fatto, non corredato dalla valutazione degli ulteriori parametri previsti dall’art. 133 c.p.;

j) la sentenza di primo grado aveva applicato al R. l’aumento di pena per la recidiva infraquinquennale, sebbene la stessa non risultasse dalla rubrica riportata in sentenza; inoltre, mancava una motivazione che giustificasse l’aumento di pena come espressione della maggior pericolosità sociale del reo.

1- Osserva questa S.C. che il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

Si premetta che eventuali vizi di legittimità non possono mai essere dedotti contemporaneamente (come invece fa il ricorso in esame) anche come vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e):

questi ultimi riguardano unicamente la motivazione in fatto, giacchè quella in diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in Cassazione (v. art. 619 c.p.p., comma 1), senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire (cfr. Cass. Sez. 4, n. 6243 del 7.3.88, dep. 24.5.88, rv. 178442, resa sotto l’imperio del previgente c.p.p., ma pur sempre valida e confermata, anche di recente, da Cass. Sez. 2, n. 3706 del 21.1.2009, dep. 27.1.2009, rv. 242634).

Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata sia corretta ancorchè malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione.

Operata tale doverosa premessa, quanto al motivo di censura che precede sub a) si tenga presente che in sede di giudizio abbreviato sono comunque utilizzabili anche le mere annotazioni di servizio e quelle riportate nel verbale di arresto e/o nell’informativa di reato (cfr. Cass. Sez. 1, n. 15563 del 22.1.09, dep. 10.4.09; Cass. Sez. 1, n. 16411 del 3.3.05, dep. 2.5.05) e che i giudici d’appello hanno fatto corretta applicazione dell’insegnamento delle S.U. di questa S.C. espresso nella sentenza n. 36747 del 28.5.03, dep. 24.9.03, Torcasio (oltre che in altre successive conformi).

In virtù di tale giurisprudenza, in tema di deposizione de relato degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, gli "altri casi" per i quali, ai sensi del secondo periodo dell’art. 195 c.p.p., comma 4, la prova è ammessa (secondo le regole generali sulla testimonianza indiretta) coincidono con le ipotesi in cui le dichiarazioni siano state rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi, al di fuori di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella propria qualità.

Neppure il ricorrente nega che nel caso di specie le forze di p.g. si trovassero in una situazione operativa eccezionale e di straordinaria urgenza (evitare di perdere le tracce dei fuggitivi), del tutto al di fuori del contesto procedimentale inteso all’acquisizione di informazioni testimoniali con le modalità di cui all’art. 351 c.p.p., e art. 357 c.p.p., comma 2, lett. a) e b).

Non solo: a ben vedere, le mere segnalazioni nell’immediatezza ricevute dalla p.g. sul luogo del delitto non integrano neppure una vera e propria narrazione, ma costituiscono fatti percepiti direttamente dai militi ("res gestae"): la distinzione fra historia rerum gestarum e res gestae non è nuova nella giurisprudenza di questa S.C., che l’ha valorizzata – appunto – anche in tema di limiti al divieto di deposizione de relato di cui all’art. 195 c.p.p., comma 4 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2, n. 26044 del 4.6.2010, dep. 8.7.10).

In sintesi, nella vicenda in oggetto mancano i presupposti del divieto di testimonianza indiretta di cui all’art. 195 c.p.p., comma 4.

Quanto all’art. 195 c.p.p., comma 7 e comunque all’applicazione delle regole della testimonianza indiretta di cui ai primi tre commi dell’art. 195 c.p.p., si ricordi che questa S.C. ha già avuto modo di statuire che l’inutilizzabilità della deposizione di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame opera, in caso di giudizio abbreviato (come quello svoltosi nei confronti del R.), solo ove la parte abbia subordinato la propria richiesta di accesso al rito ad un’integrazione probatoria costituita dall’assunzione del teste indiretto e sempre che, nonostante l’audizione, sia rimasta non individuata la fonte referente (Cass. Sez. 3, n. 11100 del 29.1.08, dep. 12.3.08, Gomiero).

Non risulta, invece, che l’odierno ricorrente abbia subordinato la propria istanza di rito abbreviato ad integrazione probatoria.

E’, poi, fuori luogo il richiamo dell’art. 203 c.p.p., che concerne il ben diverso caso dei c.d. confidenti (cfr., ad es., Cass. Sez. 2, n. 46023 del 7.11.07, dep. 10.12.07), persone che, agendo di regola dietro compenso in denaro od in vista di altri vantaggi, forniscono alla polizia giudiziaria, più o meno occasionalmente, notizie da loro apprese.

2 – Il motivo che precede sub b) trascura che l’impugnata sentenza ha utilizzato non le dichiarazioni rese in Commissariato dalla B., bensì le annotazioni di p.g. relative alle modalità dell’arresto.

3- I motivi che precedono sub c) e sub d), da trattarsi congiuntamente perchè connessi, si collocano al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p., perchè in essi sostanzialmente si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente, logica e scevra da contraddizioni hanno ricavato la presenza del R. sul luogo della tentata rapina – e il suo concorso in essa – dalle summenzionate indicazioni ricevute dalla p.g. nell’immediatezza dei fatti, dall’essere stati trovati il R. e altri suoi sodali in evidente e non spiegato stato di agitazione psicomotoria (il primo in preda anche ad un’elevatissima accelerazione del battito cardiaco) nell’appartamento della B. (uno di essi addirittura nascosto dentro un armadio), appartamento (ubicato in un edificio poco distante dall’ufficio postale) in cui erano stati rinvenuti anche (sotto un letto) tre caschi da motociclisti, uno blu, uno nero e uno grigio, corrispondenti a quelli usati dai rapinatori: quanto alla più o meno intensa tonalità del grigio di tale casco, cui sembra fare riferimento il ricorso laddove sostiene che non è mai stato trovato il casco "grigio chiaro" di cui avrebbe parlato il teste M., è questione di mero apprezzamento in fatto.

Nessuno dei presenti aveva spiegato perchè si trovasse nell’abitazione della B., che a sua volta aveva tentato di impedire l’irruzione delle forze dell’ordine.

Infine, il R. indossava una maglietta viola simile a quella notata da un passante indosso ad uno dei fuggitivi.

In breve, la penale responsabilità dell’odierno ricorrente è stata affermata in base ad un coerente quadro indiziario ex art. 192 c.p.p., comma 2.

Nè per il R. può ipotizzarsi una pura e semplice connivenza non punibile: essa postula che il soggetto mantenga un comportamento meramente passivo, mentre tale non è il contegno di chi agevoli l’esecuzione del reato, assicurando all’altro o agli altri concorrenti, anche implicitamente, una collaborazione su cui contare (cfr., exaliis, Cass. Sez. 6, n. 14606 del 18.2.2010, dep. 15.4.2010).

Per siffatta forma di concorso può bastare anche la mera presenza non fortuita nel medesimo contesto topico-temporale durante l’esecuzione del reato, qualora essa sia servita a fornire, all’autore materiale del fatto, stimolo all’azione o maggior senso di sicurezza nella propria condotta (cfr., ad es., Cass. 11.3.97 n. 4805, dep. 22.5.97, Perfetto; Cass. n. 1108 del 6.2.97, ud. 4.12.96, P.M. in proc. Famiano; Cass. n. 8389 del 12.9.96, ud. 29.4.96, Santi ed altri; Cass. n. 4041.94; Cass. n. 7957 del 24.8.93, ud. 15.4.93, La Torre ed altri; Cass. 11.12.93 n. 11344, ud. 10.5.93, Algranati ed altri; Cass. 8.3.91 n. 3003, ud. 2.10.90, Iankson ed altro; Cass. 11.4.90 n. 5332, ud. 6.12.89, Giusti).

Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito risultano conformi ai ricordati principi giurisprudenziali.

Nè importa l’assenza di ulteriori elementi a carico del R. o il rilievo che nessuno sia stato in grado di riconoscerne le fattezze fisiche, giacchè (come si legge nell’impugnata sentenza) lo svolgimento dell’azione era stato tale da impedire ai dipendenti dell’ufficio postale e al teste M. di memorizzare e descrivere tutta la condotta delittuosa posta in essere dai vari soggetti agenti.

Nè, ancora, una responsabilità concorsuale può essere affermata solo previa precisa individuazione del ruolo esatto avuto da ciascuno dei correi, in quanto la presenza in loco del R. di per sè ne attesta la partecipazione alla fase esecutiva del reato, che necessariamente implica l’adesione al programma criminoso e, di conseguenza, il concorso anche morale (al punto che, per costante giurisprudenza di questa S.C., non ricorre mutamento della contestazione qualora l’imputato, cui sia stato ascritto un concorso materiale, venga riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale: cfr. Cass. Sez. 1, n. 42993 del 25.9.08, dep. 18.11.08; Cass. Sez. 5, n. 7638 del 17.1.07, dep. 23.2.07; Cass. Sez. 5, n. 42691 del 3.6.05, dep. 25.11.05; Cass. Sez. 5, n. 1258 del 21.1.98, dep. 3.2.98; Cass. Sez. 1, n. 3791 del 16.2.94, dep. 31.3.94; Cass. Sez. 1, n. 63 del 28.2.79, dep. 7.1.80; ciò non vale, ovviamente, nell’ipotesi inversa).

Da ultimo, la censura di travisamento dei fatti è estranea al perimetro di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) anche nel nuovo testo modificato dalla L. n. 46 del 2000, che consente di dedurre solo un eventuale travisamento della prova affinchè questa Corte Suprema, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e delle prove), verifichi semplicemente se il contenuto della singola specifica prova è stato veicolato o meno, senza distorsioni, all’interno della decisione (cfr. Cass. Sez. 3, n. 39729 del 18.6.2009, dep. 12.10.2009, rv. 244623; Cass. n. 15556 del 12.2.2008, dep. 15.4.2008; Cass. n. 39048/2007, dep. 23.10.2007;

Cass. n. 35683 del 10.7.2007, dep. 28.9.2007; Cass. n. 23419 del 23.5.2007, dep. 14.6.2007; Cass. n. 13648 del 3.4.06, dep. 14.4.2006, ed altre).

Ciò previamente richiede l’assolvimento dell’onere di allegare al ricorso (o di trascrivervi integralmente) la prova che si assume travisata (cfr., da ultimo, Cass. Sez. F n. 32362 del 19.8.10, dep. 26.8.10).

4 – I motivi che precedono sub e) e sub j) sono in questa sede preclusi ex art. 606 c.p.p., u.c., perchè non avanzati in appello.

La mancata devoluzione spiega l’assenza di motivazione sul punto da parte della Corte territoriale.

E’ appena il caso di aggiungere che la recidiva infraquinquennale risulta ritualmente contestata nella richiesta di rinvio a giudizio.

5- La doglianza che precede sub f) è manifestamente infondata, noto essendo che per la configurabilità del tentativo di rapina occorre che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea all’impossessamento della cosa mobile altrui mediante violenza o minaccia e che la direzione univoca degli atti, desumibile da qualsiasi elemento di prova, renda manifesta la volontà di realizzare in tal modo l’intento criminoso, di guisa che può sussistere il delitto p. e p. ex artt. 56 e 628 c.p. anche prima che siano state poste in essere violenze o minacce ai danni di persone:

nel caso di specie, la particolare violenza (lanciare un fuoristrada contro l’infisso blindato posto in corrispondenza dello sportello Bancomat) adoperata alla luce della sole e in orario di apertura dell’ufficio postale era tale da rendere palese l’intento di impossessarsi del denaro quanto meno con la minaccia insita nella presenza di più persone e nell’uso di mezzi eccedenti lo scopo.

6- Ancora manifestamente infondata è la doglianza che precede sub g), atteso che, per costante giurisprudenza, per configurare l’ipotesi della desistenza è necessario che la determinazione del soggetto agente di non proseguire nell’azione criminosa si sia verificata al di fuori di cause che ne abbiano impedito il prosieguo o l’abbiano reso vano (cfr. ad es. Cass. Sez. 1, n. 46179 del 2.12.2005, dep. 19.12.2005; conf. Cass. n. 17688/2004; Cass. n. 35764/2003; Cass. n. 5560/86); fra tali cause va annoverata – sempre in virtù di insegnamento (antico e costante) di questa Corte Suprema – anche la resistenza opposta dalla parte offesa (cfr. Cass. Sez. 6, n. 6113 del 25.2.94, dep. 25.5.94; Cass. Sez. 6, n. 11952 del 6.4.90, dep. 29.8.90; Cass. Sez. 4, n. 2097 del 21.12.88, dep. 11.2.89; Cass. Sez. 5, n. 7696 del 30.4.73, dep. 5.11.73; Cass. Sez. 1, n. 306 del 29.3.71, dep. 30.9.71) e/o l’irrealizzabilità dell’impossessamento della cosa per l’intervento di altro fattore esterno che impedisca o renda estremamente improbabile che la condotta possa continuare con successo (cfr. Cass. Sez. 4, n. 32145 del 24.6.10, dep. 20.8.10).

7- Del pari da disattendersi sono le censure che precedono sub h) e sub i). Quanto all’attenuante di cui all’art. 114 c.p., essa è stata invocata in maniera generica, senza addurre le ragioni per cui il contributo causale del R. sarebbe stato qualificabile come di minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato: per uniforme giurisprudenza di questa S.C., il giudice d’appello è esonerato dal dover rispondere a motivi di doglianza aspecifici.

In ordine, poi, alla motivazione del diniego di ridurre la pena e concedere le circostanze dell’art. 62 bis c.p., è noto che non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo invece sufficiente che chiarisca a quale di essi ha inteso fare riferimento. Ne consegue che, con il rinvio alla gravità della condotta, l’impugnata sentenza ha adempiuto l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1 n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98; Cass. Sez. 1 n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).

8- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186.2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *