Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 19-01-2011, n. 57 Notifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con deliberazione n. 78 del 2000 il Consorzio A.S.I. di Gela ha revocato l’assegnazione del lotto di quella zona industriale, già assegnato al sig. Ia. con deliberazione n. 76 del 1981.

La revoca è stata motivata in riferimento alla omessa presentazione del progetto dell’opificio da realizzare da parte del sig. Ia. e al disinteresse da questi dimostrato per la costruzione dello stabilimento.

L’atto di revoca è stato impugnato avanti al T.A.R. Palermo dall’assegnatario il quale ne ha chiesto l’annullamento deducendo vizi di violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento nonché difetto di motivazione.

Si è costituito in resistenza il Consorzio il quale ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito Tribunale, ritenuta espressamente la sua giurisdizione sulla controversia, ha respinto nel merito il gravame, giudicando provato il disinteresse dell’assegnatario per la effettiva realizzazione del progettato stabilimento industriale.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dal soccombente il quale ne ha chiesto l’integrale riforma, tornando a dedurre le doglianze già infruttuosamente versate nel giudizio di primo grado.

Si è costituito il Consorzio A.S.I. il quale domanda il rigetto dell’appello, eccependone peraltro l’irricevibilità per tardività della relativa notifica e l’improcedibilità in quanto con successivo provvedimento non impugnato la revoca è stata reiterata per ragioni diverse da quelle che hanno originato il primo provvedimento negativo.

Il ricorrente ha depositato memoria, contestando la fondatezza dell’eccezione di tardività.

Nell’udienza del 23 settembre 2010 l’appello è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

L’eccezione di irricevibilità dell’appello, dedotta dalla resistente Amministrazione, va disattesa.

In fatto risulta dagli atti che l’appellante, rispettando il termine annuale, ha tentato la notifica dell’appello al procuratore costituito per il Consorzio nel giudizio di primo grado, nel domicilio eletto e risultante dall’epigrafe della sentenza impugnata.

La notifica non è andata a buon fine, avendo l’avvocato del Consorzio mutato la sede del proprio studio legale.

Esperite le opportune ricerche, l’appellante ha notificato l’appello al nuovo indirizzo, quando però il termine annuale era ormai decorso.

Come è noto l’art. 330 cod. proc. civ. prescrive che la impugnazione avverso una sentenza non notificata deve essere notificata presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto nel precedente grado di giudizio.

In passato la interpretazione di tali disposizioni ha dato luogo ad un contrasto nella giurisprudenza della Suprema Corte, con riferimento all’ipotesi – qui verificatasi – di un trasferimento dello studio del procuratore costituito non comunicato alla controparte.

Secondo un primo e maggioritario indirizzo, i termini per l’impugnazione delle sentenze sono perentori, e decorrono per il solo fatto oggettivo del trascorrere del tempo, senza alcuna possibilità di proroga, sospensione o interruzione se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge; ne consegue che non produce alcun effetto il tentativo di notifica dell’atto di impugnazione effettuato nei termini presso il procuratore costituito ma non andato a buon fine per trasferimento del domicilio del destinatario dell’atto, restando a carico dello istante il rischio che le nuove modalità notificatorie non consentano in concreto di rispettare il termine, e non spiegando alcuna rilevanza nel caso concreto la sentenza n. 477 del 2002 della Corte cost., che riguarda la diversa ipotesi di ritardo sulla notificazione imputabile non al notificante, bensì all’ufficiale giudiziario o all’ufficiale postale (ad es. Cass. sez. lavoro n. 18350 del 2003).

Secondo altro e minoritario indirizzo invece, la notificazione all’indirizzo del procuratore trasferito, in difetto di idonea e inequivoca comunicazione dell’avvenuto trasferimento, costituisce adempimento da parte dell’appellante dell’onere su di lui gravante ai sensi dell’art. 330 c.p.c., non perfezionandosi la notificazione nei confronti del destinatario dell’atto per fatto non imputabile al notificante. Essa, pertanto, impedisce ogni decadenza e ne consente la rinnovazione (Cass. I sez. civile n. 9907 del 2008).

Da ultimo tale contrasto sembra composto dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 3960 del 2009 secondo la quale l’impugnazione presso il procuratore costituito e/o domiciliatario della parte, per soddisfare gli oneri imposti dall’art. 330, c.p.c., va effettuata nel domicilio da lui eletto nel giudizio, se esercente l’ufficio in un circondario diverso da quello di assegnazione, o, altrimenti, nel suo domicilio effettivo, previo riscontro dell’albo professionale.

Solo nel caso di esito negativo della notifica non imputabile al notificante (ad es. per la mancata od intempestiva comunicazione del mutamento del domicilio all’ordine professionale o per il ritardo della sua annotazione, ovvero per la morte del procuratore ed in tutte le altre ipotesi nelle quali l’ufficiale giudiziario, nonostante la corretta indicazione del domicilio, non abbia completato la notifica e ne abbia attestato l’esito negativo per un fatto appunto non imputabile al richiedente) il procedimento notificatorio può essere riattivato e concluso, anche dopo il decorso dei relativi termini, mediante istanza al giudice "ad quem" di fissazione di un termine perentorio per completare la notifica, depositata contestualmente all’attestazione dell’omessa notifica (SS.UU. n. 3960 del 2009).

Da tale impostazione si distacca la giurisprudenza amministrativa, il cui indirizzo interpretativo assolutamente maggioritario afferma che in difetto di rituale comunicazione della modifica dell’indirizzo intervenuta nel corso del giudizio, la notifica al domicilio del procuratore eletto per il giudizio di primo grado, anche se non andata a buon fine per trasferimento dello stesso, impedisce la decadenza dall’impugnazione per decorrenza del relativo termine, purché venga rinnovata nel nuovo domicilio del procuratore (VI Sez. n. 5690 del 2007).

In tale prospettiva del resto la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che la parte soccombente in primo grado non ha l’onere di effettuare accertamenti sul reale domicilio del procuratore domiciliatario della controparte cui intenda notificare il ricorso in appello, atteso che ai sensi dell’art. 330 Cod. proc. civ. non rileva di per sé la variazione della sede dello studio del difensore, in quanto se manca la sua rituale comunicazione alla controparte continua ad avere rilievo processuale la formale elezione di domicilio effettuata nel corso del giudizio e disciplinata dall’art. 330 cit., salva l’applicazione dell’art. 141 Cod. proc. civ. (A.p. n. 13 del 1999).

Tale orientamento è condiviso dal Collegio e trova oggi autorevole avallo normativo nell’art. 93 comma 2 del codice del processo amministrativo, il quale ammette espressamente il completamento o rinnovo della notificazione che abbia avuto esito negativo per trasferimento del domiciliatario: l’appello è dunque tempestivo.

Anche l’eccezione di improcedibilità dell’appello o, meglio, del ricorso originario per sopravvenuto difetto di interesse (dedotta dal Consorzio perchè la revoca dell’assegnazione è stata reiterata dopo quattro anni con atto inoppugnato) va disattesa, poichè l’eventuale accoglimento dell’impugnazione proposta avverso il provvedimento originario potrebbe comunque avere rilievo per l’assegnatario nell’ottica risarcitoria.

Nel merito l’appello non è però fondato.

Come risulta dalle premesse, il Tribunale ha ritenuto immune da censure il rilievo – posto dal Consorzio a supporto della delibera di revoca dell’assegnazione – inerente la sopravvenuta carenza di interesse dell’assegnatario alla effettiva realizzazione e gestione sul lotto assegnatogli dell’impianto industriale originariamente progettato.

Oppone al riguardo l’assegnatario che in realtà la incompleta realizzazione dell’impianto è dovuta a colpa del Consorzio, il quale non ha approvato il progetto presentatogli e comunque non ha mai provveduto alla stipula dell’atto definitivo di vendita del lotto.

In tale contesto di riferimento, la parziale utilizzazione del lotto si giustifica poi in ragione delle fluttuazioni del mercato edilizio locale e della conseguente ridotta domanda dei beni strumentali (cementi, materiali da costruzione etc.) che l’impianto è in grado di produrre.

La tesi dell’appellante non può essere condivisa.

Infatti tutta la documentazione acquisita nel fascicolo di primo grado comprova che il sig. Ia. – anche ad ammettere che abbia inizialmente avviato l’attività industriale di produzione di conglomerati cementizi – sicuramente non ha più esercitato tale attività a far tempo dal 1992.

Tanto dimostra in primo luogo la relazione in data 13 marzo 1992 del C.T.U. nominato dal Tribunale civile di Gela, nella quale si rileva che lo stato di conservazione delle opere esistenti nel lotto era scadente in quanto in parte inutilizzate e non più soggette a manutenzione ordinaria e straordinaria, con diffuso decadimento degli impianti causato dal naturale invecchiamento e dal non uso degli stessi a causa della riduzione dell’attività dell’impresa che non utilizzava più alcuni mezzi e parte dei fabbricati.

A ciò si deve aggiungere che, come rilevato dal T.A.R., lo stesso assegnatario ha dichiarato nel 1994 alla Guardia di Finanza di non esercitare più la propria attività dal mese di novembre 1992 per mancanza di commesse e di non avere avuto nel 1993 alcun operaio alle dipendenze.

Del resto nella memoria versata in vista dell’udienza di discussione avanti al T.A.R. il Consorzio ha affermato, senza essere smentito, che l’inesistenza di ogni attività produttiva trovava conferma nelle dichiarazioni presentate dall’assegnatario ai fini I.V.A.

Infine per un verso è provato che già nel 1988 l’interessato aveva promesso con una scrittura privata di vendere il lotto in questione ad altra società; per l’altro è sintomaticamente risultato da un sopralluogo del Consorzio nel 2004 che l’assegnatario non svolge più alcuna attività nel lotto stesso, avendolo posto a disposizione – senza essere autorizzato – di un consorzio di autotrasportatori.

Non può quindi ragionevolmente sostenersi che le difficoltà incontrate dall’assegnatario nell’impianto della attività industriale progettata abbiano avuto carattere transitorio, in quanto il materiale probatorio ora richiamato comprova in modo non equivoco che la detta attività non si è mai stabilizzata e soprattutto è stata da tempo definitivamente dismessa.

Tanto chiarito, deve ricordarsi che l’art. 23 della legge regionale n. 1 del 1984 dispone che gli atti di vendita dei lotti assegnati devono prevedere l’impegno dell’impresa acquirente a mantenere la destinazione dell’insediamento all’attività di produzione industriale.

Ai sensi della normativa ora richiamata, il mancato rispetto di tale impegno (oltre che dei termini per la stipula del contratto definitivo) costituisce condizione risolutiva da inserirsi nel contratto, al verificarsi della quale consegue naturalmente la revoca dell’assegnazione con delibera del Consiglio direttivo dell’A.S.I.

Alla stregua della normativa applicabile, dunque, lo sfruttamento industriale dell’immobile costituisce presupposto indispensabile per l’assegnazione e la conservazione del relativo lotto.

Di talché, avendo il sig. Ia. dimostrato in modo concludente col proprio comportamento di non essere in grado di espletare effettivamente l’attività progettata, la revoca dell’assegnazione costituisce il frutto di un legittimo esercizio del potere affidato al Consorzio in vista del recupero del lotto e della sua riassegnazione a favore di nuove iniziative produttive.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, l’appello va quindi respinto.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese e gli onorari di questo grado del giudizio seguono come per legge la soccombenza e sono liquidati forfettariamente nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore del Consorzio A.S.I. di Gela della somma di Euro 5.000,00 oltre accessori di legge per spese e onorari di questo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 23 settembre 2010 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, estensore, Gabriele Carlotti, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 19 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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