Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-12-2010) 24-01-2011, n. 2272

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Ha proposto ricorso per Cassazione A.M., avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 16.5.2008, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Gup del Tribunale di La Spezia il 17.5.2005, per il reato di estorsione. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, l’imputato si era fatto consegnare dalle persone offese la somma di L. 20.000.0000, affermando che la richiesta proveniva da una determinata cosca mafiosa, disposta alle ritorsioni più gravi in caso di rifiuto. Deduce la difesa che, avendo il ricorrente fatto riferimento a personaggi in realtà inesistenti come autori delle pretese estorsive, secondo quanto avevano riconosciuto gli stessi giudici territoriali, doveva ritenersi erroneo, ai fini della qualificazione del fatto, il criterio utilizzato nelle sentenza di merito della "qualità" della minaccia prospettata, essendo decisivo, piuttosto, che essa fosse stata riferita dall’imputato ad un terzo.

Trattandosi di un pericolo immaginario, considerata l’inesistenza di qualunque altro soggetto coinvolto nell’iniziativa del ricorrente, il fatto andrebbe quindi riqualificato come truffa, e dovrebbe esserne dichiarata la prescrizione.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Ed invero, alla stregua di un indirizzo di legittimità assolutamente consolidato, il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, in caso di minaccia consistente nella prospettazione di un pericolo immaginario, è proprio quello indicato dalla Corte territoriale. Integra, cioè, il delitto di truffa la condotta di colui che prospetti un male come possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perchè tratta in errore dall’esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l’estorsione se il male viene indicato come certo, poichè’ in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato, in questo caso, poi, non ha nessun rilievo che il male minacciato venga rappresentato come realizzabile ad opera del reo o di altri (vedi, più di recente, oltre alle sentenza richiamate dalla Corte territoriale, Corte di Cassazione nr 21537 del 06/05/2008 Lotta).

Le modalità della minaccia rappresentata alle persone offese dall’imputato, non lasciano poi dubbi sul fatto che nel caso in esame si verta nella seconda ipotesi, per l’evocazione di contesti criminali di stampo mafioso dai quali sarebbero scaturite con certezza ritorsioni gravissime in caso di mancata adesione alle richieste estorsive.

La qualificazione giuridica del fatto nei termini dell’art. 629 c.p., esclude poi la prescrizione.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000.00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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