Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-12-2010) 24-01-2011, n. 2324 Reato continuato e concorso formale; Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza in data 20.01.2010 la Corte d’Appello di Palermo riduceva a un anno mesi sei di reclusione Euro 3.000 di multa la pena inflitta nel giudizio di primo grado a P.P. quale colpevole del reato di cui agli art. 81 cpv. e 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 5, per avere, in concorso con altri soggetti giudicati separatamente, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, illecitamente detenuto e ceduto sostanza stupefacente del tipo eroina.

Riteneva la Corte territoriale che l’esauriente motivazione della sentenza del tribunale non fosse scalfita dalle censure mosse con l’atto d’appello e che le richieste difensive volte a ottenere una sentenza assolutoria fossero infondate essendo l’accusa sorretta dall’esito dei servizi di osservazioni predisposti dalla PG. Gli operatori, appostatisi a 70/80 metri dai tre soggetti controllati, avevano costatato, essendo ottime le condizioni di visibilità, la cessione a tre distinti acquirenti, che si erano loro avvicinati per acquistare la sostanza stupefacente che veniva prelevata nei pressi di un vicino muretto.

P., nel corso della terza cessione, era seduto sul sedile posteriore di una Rover 400 nella quale si era introdotto altro complice che aveva effettuato una consegna.

Sottoposti i giovani a perquisizione, nulla era stato trovato sul P., mentre sulle persone dei suoi compagni erano state rinvenute somme di denaro tenute in tasca alla rinfusa.

Nei pressi del muretto erano stati rinvenuti un pacchetto di sigarette contenente eroina e un involucro in cui erano racchiuse cinque buste di carta argentata contenenti la medesima sostanza.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge S sull’affermazione di responsabilità essendo certo che egli non aveva partecipato ad alcuno scambio; che nulla di compromettente era stato trovato sulla sua persona; che il notato armeggiare dei tre giovani con qualcosa nei pressi del luogo ove era celata l’eroina non significava alcunchè. Mancando la prova che egli avesse dato uno specifico contributo materiale alla condotta di detenzione e di spaccio dei coimputati, doveva escludersi il suo concorso nel reato;

S sull’immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche e sulla dosimetria della pena.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il ricorso è manifestamente infondato.

L’obbligo generale della motivazione, imposto per tutte le sentenze dall’art. 426 c.p.p., richiede la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata e va rapportato al caso in esame, alle questioni sollevate dalle parti e a quelle rilevabili o rilevate dal giudice.

Tale obbligo è assolto quando il giudice esponga le ragioni del proprio convincimento a seguito di un’approfondita disamina logica giuridica di tutti gli elementi di rilevante importanza sottoposti al suo vaglio, sicchè, nel giudizio d’appello, occorre che la corte di merito riporti compiutamente i motivi d’appello e, sia pure per implicito, le ragioni per le quali rigetti le doglianze con gli stessi avanzate.

Quindi, il giudice d’appello è libero, nella formazione del suo convincimento, d’attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento.

Nel caso in esame, nel giudizio d’appello è stato ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare la conferma dell’affermazione di responsabilità.

Sono state a tal fine richiamate le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove obiettive raccolte, non inficiate dalle censure esposte nei motivi di gravame che sono articolate in fatto e distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

Il ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano motivato illogicamente, ma sostanzialmente propone censure che distorcono l’obiettiva ricostruzione del fatto da cui emerge la sicura compartecipazione del P. nel delitto imputatogli.

In tema di concorso di persone nel reato questa Corte ha affermato che:

– "l’addebitabilità del reato a titolo di concorso morale prescinde dalla materiale partecipazione al fatto" (Sezione 2^ n. 2811/1991 RV. 189305;

– "affinchè l’adesione di volontà possa costituire concorso morale come rafforzamento del disegno criminoso da altri concepito, occorre in concreto dimostrare il rapporto di causalità tra l’adesione del terzo – che in caso di risposta affermativa diventa concorrente morale – e l’incentivo che ne deriva all’attività dell’autore materiale" Sezione 1^ n. 684/1995. RV. 203797;

– "la sola presenza fisica di un soggetto allo svolgimento dei fatti non assume univoca rilevanza, allorquando si mantenga in termini di mera passività o connivenza, risolvendosi, invece, in forma di cooperazione delittuosa allorquando la medesima si attui in modo da realizzare un rafforzamento del proposito dell’autore materiale del reato e da agevolare la sua opera, sempre che il concorrente morale si sia rappresentato l’evento del reato e abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell’autore materiale" Sezione 1^ n. 12089/2000 RV. 217347;

– "la semplice condotta omissiva e connivente non è sufficiente a fondare un’affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel reato, occorrendo, a tal fine, che sussista un contributo materiale o psicologico che abbia consentito una più agevole commissione del delitto, stimolando o rafforzando il proposito criminoso del concorrente" Sezione 6^ n. 61/2002 RV. 222976;

– "in tema di attenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo dee di qualsivoglia efficacia causale, il secondo richiede, invece, un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la attenzione, l’occultamento ed il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare" Sezione 4^ n. 4948//2010 RV. 246649.

Nella specie, la Corte d’appello, aderendo alla ricostruzione dei fatti operata dal tribunale e facendo leva sulle dirette costatazioni, non smentite da alcuna contraria emergenza, degli operanti che avevano dettagliatamente descritto lo snodarsi della vicenda, ha preso in considerazione la posizione del P. rilevando che lo stesso, presente in loco sin dalla fase iniziale dell’osservazione, pur non avendo personalmente ceduto l’eroina o ricevuto danaro dagli acquirenti, ha dato un contributo causale alla consumazione del delitto perchè ha partecipato almeno a un segmento dell’azione delittuosa come rilevabile dalle osservazioni dei CC che hanno visto i tre giovani nascondere nella vegetazione vicina al muretto ciò che poi si è rivelato essere cocaina che veniva prelevata da uno dei complici al momento della consegna gli acquirenti.

I tre complici avevano, quindi, agito contestualmente celando lo stupefacente e prelevandolo per consegnarlo agli acquirenti, corroborando, quindi, l’uno l’azione dell’altro, donde l’irrilevanza del fatto che il ricorrente non abbia personalmente effettuato la consegna e che non sia stato trovato in possesso di denaro.

La Corte territoriale ha, quindi, correttamente valutato, alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali, i concreti elementi probatori processualmente acquisiti e ha chiaramente esposto logici rilievi a supporto dell’iter logico che l’ha condotta a confermare le soluzioni adottate dall’altro giudice di merito.

Si può, quindi, concludere che sono stati individuati solidi elementi probatori a carico dell’imputato con convincenti spiegazioni sui rilievi difensivi propositivi di una diversa, ma inammissibile, rivisitazione del fatto.

Per l’inammissibilità del ricorso grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma equamente determinata in Euro. 1.000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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