Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-12-2010) 24-01-2011, n. 2321 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza in data 21.12.2009 la Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione Euro 3.000 di multa inflitta nel giudizio di primo grado a X.V. quale colpevole del reato di cui agli art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, perchè, quale corriere incaricato delle consegne di stupefacente, con due complici giudicati separatamente, aveva consegnato a L.R., su incarico dell’albanese T.E. ( A.), sostanza stupefacente di tipo eroina.

Riteneva la Corte territoriale che l’esauriente motivazione della sentenza del tribunale non fosse scalfita dalle censure mosse con l’atto d’appello e che la richiesta difensiva volta a ottenere una sentenza assolutoria era infondata essendo l’accusa sorretta:

– dai risultati d’intercettazioni telefoniche da cui era emerso che L. si riforniva di eroina, che poi spacciava, dall’albanese;

che dalle telefonate gli investigatori avevano appreso che A. non poteva essere presente a un incontro col L. fissato per il 20 novembre 2003 e che avrebbe mandato due corrieri;

– dall’esito dei servizi di osservazione predisposti dagli investigatori che avevano visto i tre fermarsi in una piazzola di emergenza dell’autostrada e X. consegnare un involucro a L. che, a sua volta, gli aveva consegnato denaro subito passato al complice K.;

– dal sequestro di Euro. 3.500 rinvenuti negli slip di quest’ultimo lo stupefacente consegnato non veniva sequestrato per il repentino allontanamento in auto del L.;

– dalla telefonata, di pochi minuti successiva allo scambio, fatta da A. a L. per accertarsi se tutto era a posto, ricevendo risposta affermativa;

– da altre telefonate con cui L. contattava i suoi abituali acquirenti;

– da altre telefonate nelle quali A. e L. parlavano della qualità dello stupefacente fissando nuovi appuntamenti.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione dell’art. 192 c.p.c., comma 2, per l’inconcludenza degli indizi;

illogicità e contraddittorietà della motivazione sull’affermazione di responsabilità per l’equivocità dei dati segnalati dai giudici di merito, considerando il mancato sequestro della sostanza e l’assenza di riferimento a sostanze stupefacenti nel corso delle conversazioni intercettate.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il sindacato di legittimità sulla gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria è limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati Cassazione Sezione 4^ n. 48320/2009 RV. 245880.

Inoltre, nella giurisprudenza di questa Corte è stato chiarito che il procedimento logico di valutatazione degli indizi si articola in due distinti momenti.

Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza.

Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di più, si integra con gli altri, talchè il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, sicchè l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del cd. libero convincimento del giudice in tal senso Cassazione Sezioni Unite 4 febbraio 1992 n. 6682 RV. 191231.

Nel caso in esame, nel giudizio d’appello è stato ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare la conferma dell’affermazione di responsabilità.

Sono state a tal fine richiamate le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove raccolte, non inficiate dalle censure esposte nei motivi di gravame che sono articolate in fatto e distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

La corte territoriale, infatti, ha dato una lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio che non si è esaurita in una mera sommatoria degli indizi, ma ha valutato ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo coerentemente all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 33748/2005, RV. 231678.

Ne consegue che non è ravvisabile la dedotta violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2, atteso che la disamina degli elementi d’indagine è stata condotta in modo globale individuando le interazioni riscontrabili tra le diverse risultanze investigative considerando che la prossima fornitura della sostanza stupefacente, desunta dalle intercettazioni, si è effettivamente materializzata con lo scambio, osservato dagli operatori, tra corrieri e acquirente dell’involucro e della somma di Euro 3.500, subito occultata negli slip del K. donde la conseguenziale conclusione che l’involucro contenesse la sostanza stupefacente oggetto della conversazione tra A. e L., che hanno parlato dell’operazione subito dopo la sua conclusione.

Per l’inammissibilità del ricorso grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma equamente determinata in Euro 1.000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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