Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-12-2010) 24-01-2011, n. 2315 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza in data 12.11.2009 la Corte d’Appello di Napoli confermava la condanna alla pena della reclusione e della multa inflitta nel giudizio di primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, a P.R. quale colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, per avere illecitamente detenuto al fine di spaccio cocaina, di cui grammi 1,85 caduti in sequestro, che per quantità, per modalità di presentazione (il confezionamento era frazionato in tre dosi) e di occultamento della sostanza, appariva destinata a un uso non esclusivamente personale.

In particolare, l’imputato è stato sorpreso dai CC mentre contrattava la cessione di parte della cocaina, successivamente rinvenuta in suo possesso, con uno sconosciuto che gli si era avvicinato a bordo di una Fiat Punto.

L’imputato, inoltre, deteneva tre dosi di cocaina in una custodia di plastica infilata nella tasca sinistra dei pantaloni.

Riteneva, pertanto, la corte territoriale che le dirette osservazioni degli operatori e la detenzione corporale della sostanza dimostrassero la fallacia della diversa prospettazione difensiva di essere stato P. acquirente della sostanza per uso personale e non il cedente della droga.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando:

– nullità della sentenza per omessa notifica al difensore di fiducia dell’avviso di fissazione del processo d’appello;

– assenza e illogicità della motivazione sull’affermazione di responsabilità per l’incertezza sull’avvenuta cessione di sostanza stupefacente da parte dell’imputato che verosimilmente poteva essere l’acquirente anzichè il cedente.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

L’eccezione procedurale è infondata.

Risulta dagli atti, che la Corte è abilitata a consultare dovendo accertare un fatto processuale:

– che due erano i difensori di fiducia nominati dall’imputato;

– che, dei due, l’avvocato Senese è stato ritualmente avvisato della fissazione del giudizio d’appello, mentre l’avvocato Del Vecchio tale avviso non ha ricevuto;

– che all’udienza di trattazione del processo nessuno dei due difensori è comparso;

– che il difensore d’ufficio nominato nulla ha eccepito sul punto.

Tanto premesso, va osservato che, per l’omesso avviso a uno dei due difensori di fiducia, si è verificata una nullità di ordine generale a regime intermedio che doveva essere eccepita dal difensore presente al più tardi immediatamente dopo gli atti preliminari cfr.

Cassazione SU n. 39060/2009 RV. 244188, sicchè la nullità è rimasta sanata.

L’obbligo generale della motivazione, imposto per tutte le sentenze dall’art. 426 c.p.p., richiede la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata e va rapportato al caso in esame, alle questioni sollevate dalle parti e a quelle rilevabili o rilevate dal giudice.

Tale obbligo è assolto quando il giudice esponga le ragioni del proprio convincimento a seguito di un’approfondita disamina logica giuridica di tutti gli elementi di rilevante importanza sottoposti al suo vaglio, sicchè, nel giudizio d’appello, occorre che la corte di merito riporti compiutamente i motivi d’appello e, sia pure per implicito, le ragioni per le quali rigetti le doglianze negli stessi avanzate.

Il giudice d’appello è libero, nella formazione del suo convincimento, d’attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento.

Nel caso in esame, nel giudizio d’appello è stato ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare la conferma dell’affermazione di responsabilità.

Sono state a tal fine richiamate le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove obiettive raccolte, non inficiate dalle censure esposte nei motivi di gravame che sono articolate in fatto e distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

Il ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano motivato illogicamente, ma sostanzialmente propone censure articolate in fatto e superficiali giudizi d’inverosimiglianza e d’illogicità, che i predetti hanno già esaminato ritenendoli inidonei a sostenere un giudizio favorevole all’imputato, sussistendo a suo carico specifici e concreti elementi riportati nella narrazione del fatto, tra cui quello, decisivo, della diretta costatazione da parte degli operanti della condotta criminosa.

Può, quindi, concludersi che, in punto di responsabilità, sono stati individuati solidi elementi probatori a carico dell’imputato con convincenti spiegazioni sui rilievi difensivi propositivi di una diversa, ma inammissibile, rivisitazione del fatto.

Grava sul ricorrente l’onere delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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