Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-12-2010) 24-01-2011, n. 2313 Acque pubbliche e private, Inquinamenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza qui impugnata, lo Strangoli è stato dichiarato responsabile – e condannato alla pena di 1500 Euro di ammenda – per la violazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, per avere, quale titolare della ditta omonima, effettuato uno scarico di acque reflue industriali senza aver ottenuto il prescritto provvedimento di autorizzazione da parte della autorità competenti. In particolare, gli si contesta di avere effettuato il lavaggio delle cassette di uva durante la vendemmia e fatto defluire l’acqua di lavaggio in un canalone per la raccolta delle acque piovane.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto, tramite il difensore, appello (convertito in ricorso) deducendo:

1) che scarichi di acque è concetto diverso da quello di lavaggio con acqua: nel primo caso, lo scarico, per quanto discontinuo, è il risultato di un ciclo produttivo industriale mentre nella specie – anche attenendosi a quanto accertato nel corso del sopralluogo – si è in presenza di un fatto occasionale; nel secondo caso, trattandosi di un normale lavaggio, il Tribunale avrebbe dovuto concludere che non si era in presenza di uno scarico e che non necessitava alcuna autorizzazione amministrativa.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.

La ragione fondamentale di tale declaratoria risiede nel "vizio di origine" dell’impugnazione, concepita come appello e, quindi, sviluppata tutta su argomenti di merito che non si attagliano ad un giudizio in questa sede di legittimità. D’altro canto, la condanna alla sola pena pecuniaria non avrebbe potuto che essere censurata – ex art. 593 c.p.p., comma 3, – dinanzi a questa S.C..

Il gravame, perciò, nei suoi contenuti, è contrario alle regole del giudizio di legittimità ove l’unico controllo sulla motivazione che può essere invocato attiene alla verifica che il giudice abbia fornito una spiegazione del proprio convincimento, ancorandosi alle emergenze processuali e mostrando di darne una lettura non manifestamente illogica nè contraddittoria.

Sulla scorta di tali premesse, è da escludere, pertanto, che il presente giudizio si identifichi con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite ovvero con la possibilità di formulare un giudizio diverso – da quello espresso dai giudici di merito – sull’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori o sull’attendibilità delle fonti di prova.

Risulta, dunque, inattaccabile la motivazione qui impugnata che, pur nella sua estrema sintesi, sottolinea un dato di fatto inconfutabile, e cioè, che, a seguito di lamentele degli abitanti del rione, ispettori ASL avevano effettuato un sopralluogo presso la cantina (OMISSIS) "constatando che, nel piazzale della cantina veniva effettuato il lavaggio delle cassette di uva durante la vendemmia, da parte degli operai dipendenti della Cantina (OMISSIS); l’acqua di lavaggio defluiva in un canalone per la raccolta delle acque piovane".

Ancorchè non esplicitato, è chiaro il concetto che il giudicante ha ritenuto tale condotta integrare il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, comma, (ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137) e, nel fare ciò, non ha errato essendovi plurime pronunzie di questa S.C. che affermano la ricorrenza di tale ipotesi contravvenzionale – e la conseguente necessità della prescritta autorizzazione – tutte le volte in cui vi sia immissione nella pubblica fognatura di "acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche" (sez. 3^, 18.6.09, Tonelli, Rv. 244587).

Ed infatti, "nella nozione di acque reflue industriali definita dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 74, comma 1, lett. h), (come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, in quanto detti reflui non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche, come definite dall’art. 74, comma 1, lett. g), del citato decreto." (sez. 3^, 5.2.09, Bonaffini, Rv. 243122).

Per tale ragione, dunque, in una situazione assimilabile alla presente, anche lo scarico senza autorizzazione di acque reflue derivanti dall’attività di molitura delle olive è stato ritenuto integrare il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, (prima previsto dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 59) (Sez. 3^, 20.5.08, De Gregoris, Rv. 240549).

L’inammissibilità del presente ricorso non consente (su. 22.3.05, Bracale, Rv. 231164) il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., (nella specie, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 Euro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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