Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-12-2010) 24-01-2011, n. 2301

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.F.F. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in data 5.10.2009, della Corte d’Appello di Bari di conferma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 27.06.2008 dal Tribunale dello stesso capoluogo in ordine al delitto di concorso in tentativo di furto aggravato. Con un primo motivo si denuncia violazione di legge relativamente alla ritenuta circostanza aggravante della "minorata difesa". Si argomenta che il mero dato dell’ora notturna è irrilevante ai fini della configurabilità dell’aggravante in parola,’ è necessario infatti che le condizioni di tempo siano in concreto tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, non essendo sufficiente l’idoneità astratta di quelle condizioni a favorire la commissione del reato. Sul punto si richiama in tal senso la giurisprudenza di questa Corte. Per altro, si aggiunge che la Corte ha trascurato alcuni dati fattuali che contrastano l’idoneità astratta dell’ora notturna a sminuire la difesa pubblica o privata quali la presenza dell’illuminazione pubblica, l’ubicazione centrale di (OMISSIS), luogo dove è avvenuto il furto.

Con un secondo motivo si denuncia altra violazione di legge relativamente all’erronea applicazione dell’art. 59 c.p., comma 2, in relazione all’art. 625 c.p., n. 2. Si deduce che l’aggravante della violenza sulle cose, pur avendo carattere intrinsecamente oggettivo, non è comunicabile al ricorrente in forza del criterio di imputazione di tipo soggettivo previsto dall’art. 59 c.p., comma 2.

Dall’espletata istruttoria emerge che i Carabinieri rinvenivano il registratore di cassa "forzato" e "completamente rotto" mentre il D. F., a differenza degli altri imputati, si trovava all’esterno dell’esercizio commerciale con funzioni di palo, dunque non a conoscenza delle modalità dell’azione poste in essere dagli altri coimputati. La Corte d’Appello ha ritenuto la comunicabilità di tale aggravante in maniera oggettiva a tutti i concorrenti nel reato diversamente dalla volontà del legislatore del 1990 che, modificando l’art. 59 c.p. con L. 7 febbraio 1990, n. 19, ha invece introdotto un regime differenziato di imputazione delle circostanze, di natura oggettiva per le attenuanti, di tipo soggettivo per le aggravanti, nell’ottica di correggere, nel rispetto del principio di colpevolezza, il vecchio meccanismo a carattere esclusivamente oggettivo recepito in precedenza dal codice.

Con un terzo ed ultimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 159 c.p., comma 1, n. 3 per la mancata erronea applicazione della prescrizione, essendo decorso il termine di cinque anni dal giudizio direttissimo alla sentenza di condanna. Si contesta l’applicazione della sospensione dei termini di prescrizione al ricorrente atteso che essa venne disposta per accertare la capacità di intendere e di volere, ai sensi della richiamata norma introdotta dalla L. n. 251 del 2005, di altri coimputati. Ma tale novella non è applicabile al caso di specie ai sensi della citata legge, art. 10, perchè pendente in primo grado ed essendosi già verificata l’apertura del dibattimento. Pertanto trova applicazione la vecchia formulazione dell’art. 159 c.p. che, disciplinando l’istituto della sospensione del corso della prescrizione, non annovera tra le cause di essa il legittimo impedimento delle parti e dei difensori, con la conseguenza della impossibilità di estendere la sospensione del corso della prescrizione a tutti i coimputati del medesimo processo allorchè costoro non abbiano dato causa essi stessi al differimento, come nel caso di specie.

Motivi della decisione

I motivi esposti sono infondati sicchè il ricorso va rigettato.

Quanto ai primi due motivi relativi alla eccepita insussistenza delle aggravanti di cui all’art. 61 c.p., n. 5 e art. 625 c.p., n. 2, innanzitutto si evidenzia che l’interesse a ricorrere sul punto è esistente malgrado il giudizio di prevalenza su di esse delle riconosciute attenuanti generiche operato dal giudice di primo grado;

comunque, la motivazione della Corte d’Appello è corretta essendo aderente al dettato normativo ed alla giurisprudenza di questa Corte.

Quanto alla prima aggravante, invero, la Corte territoriale, dimostrando di ben conoscere la giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 8819 del 02/02/2010 Ud. Rv. 246160), indicata dal ricorrente, secondo cui per la sussistenza dell’aggravante della minorata difesa dovuta all’ora notturna non è sufficiente l’idoneità astratta di quella condizione a favorire la commissione del reato, ha individuato ed indicato in motivazione tutte quelle ragioni che consentano di ritenere che in una determinata situazione si sia in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata. Infatti, ha evidenziato che il reato risulta commesso nel pieno della notte, mentre l’esercizio era chiuso e neppure munito di sistemi di allarme e, dunque, in situazione di minorata difesa, sia per la ridotta vigilanza pubblica che nelle ore notturne viene esercitata nelle pubbliche vie, sia a causa delle minori possibilità di sorveglianza dell’esercizio per il titolare.

Parimenti corretta e condivisibile giuridicamente è la motivazione resa in ordine al secondo motivo, anch’esso già oggetto del gravame di merito. La Corte distrettuale, nel rigettare la deduzione difensiva circa la non estensibilità dell’aggravante della violenza sulle cose all’imputato, che ha svolto nell’economia della consumazione del delitto di furto il ruolo di palo e, quindi, asseritamente non a conoscenza della condotta materiale posta in essere dai complici, sottolineando la natura "oggettiva" dell’aggravante in parola, con la conseguente comunicabilità ad altri compartecipi del reato se conosciuta o ignorata per colpa, ha evidenziato come per le modalità della condotta specifica, tutti gli imputati fossero a conoscenza non solo del fine di tale condotta (sottrazione della merce dall’esercizio commerciale e denaro eventualmente custodito nel registratore di cassa), ma anche del fatto che, essendo di regola il registratore di cassa chiuso, sarebbe stato necessario esercitare violenza per la realizzazione della condotta criminosa concordata tra tutti i compartecipi.

Da ultimo, relativamente alla eccezione di prescrizione, dal tenore della motivazione della sentenza impugnata sul punto, si deve ritenere, stante il richiamo al termine prescrizionale breve di cinque anni, per il caso di specie, che è stata correttamente applicata la normativa sulla prescrizione precedente all’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 251 del 2005. Difatti, ai sensi della norma transitoria di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, tenuto conto della data del commesso reato ((OMISSIS)) i termini prescrizionali previsti dal combinato disposto dell’art. 157 c.p., n. 4 e art. 160 c.p., ultima parte, nella loro precedente formulazione, sono più favorevoli per l’imputato (sette anni e sei mesi a fronte dei tredici anni e quattro mesi stabiliti dall’art. 157, comma 2 e art. 161, comma 2 nella loro attuale formulazione).

Relativamente alla specifica eccezione difensiva di non estensibilità all’imputato della sospensione processuale stabilita dal giudice di primo grado per l’accertamento della capacità di stare in giudizio di altro coimputato, la Corte d’Appello l’ha rigettata facendo riferimento alla disposizione dell’art. 159 c.p. però nella sua attuale formulazione.

Orbene, il collegio ben conosce il contrasto giurisprudenziale tra alcune sezioni di questa Corte sul se è consentita o meno la simultanea applicazione della disciplina del termine di prescrizione anteriore alla L. 5 dicembre 2005, n. 251, se più favorevole all’imputato, e della disciplina relativa alla durata massima della sospensione del medesimo termine dettata dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, come modificato dalla legge indicata (Sez. 5, Sentenza n. 48042 del 01/10/2009 Ud. Rv. 245529 in senso favorevole e Sez. 1, Sentenza n. 2126 del 19/12/2007 Ud. Rv. 238639, in senso contrario), solo che, anche applicando la precedente normativa sulla prescrizione, l’assunto della Corte d’Appello sulla legittimità della sospensione del processo e, quindi, del termine prescrizionale del reato, e della sua estensibilità anche ai coimputati non sottoposti ad accertamenti sanitari, ai sensi dell’art. 70 c.p.p., è fondato. Invero, l’art. 159 c.p. prima dell’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 stabiliva che il corso della prescrizione rimane sospeso nei casi di autorizzazione a procedere o questione deferita ad altro giudizio, e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale o dei termini di custodia cautelare è imposto da una particolare disposizione di legge. Ebbene, è di tutta evidenza che, nel caso di specie, la sospensione del processo e, quindi, della prescrizione, è stata determinata dall’applicazione della normativa di cui all’art. 71 c.p.p..

Quanto alla estensibilità agli altri coimputati della sospensione del processo va ricordato che nulla vietava all’imputato, interessato alla prosecuzione immediata del processo, di chiedere al giudice di separare la sua posizione. Nel caso che ci occupa non risulta che il D.F. abbia effettuato una richiesta in tal senso, è da ritenere quindi che non vi sia stata da parte sua alcuna opposizione alla sospensione del procedimento. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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