Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-02-2011, n. 4009 Immissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 9.4.98, L.E. conveniva dinanzi al Pretore di Montefiascone C.C. e P. G., rispettivamente proprietario e gestore del locale adibito a bar – pizzeria denominato "Il Giardinetto" sito in (OMISSIS), onde sentirne accertare la responsabilità per l’immissione, nella sua abitazione e pertinenze, d’esalazioni ritenute intollerabili di sensi dell’art. 844 c.c., provenienti dalla canna fumaria posta al servizio del locale, con condanna all’eliminazione delle cause del fatto lesivo ed al risarcimento di tutti i danni (materiali e biologico) subiti, da quantificarsi nel corso del giudizio.

Nel costituirsi, i convenuti resistevano a" la domanda ed, in via riconvenzionale, chiedevano che, accertato l’esatto confine fra le due proprietà, il L. fosse condannato a demolire il muro di contenimento abusivamente costruito sulla proprietà C. ed a ricostruirlo a norma di legge, nonchè al risarcimento dei danni.

Interrotto per morte dell’attore, il giudizio veniva riassunto dalle eredi, L.C. e B.F.; quindi, conclusa l’istruttoria, la causa veniva decisa dal tribunale di Viterbo, sezione distaccata di Montefiascone, subentrato al Pretore, che, con sentenza n. 15126 del 16.5.2003, rigettava la domanda principale e dichiarava inammissibile quella riconvenzionale.

Avverso tale sentenza L.C. e B.F. proponevano appello cui resistevano C.C. e P.G..

Ne decideva la corte d’appello di Roma con sentenza 17.1.07. n. 188, accogliendolo sulla considerazione che, dall’espletata CTU, i fumi provenienti dal locale pizzeria erano risultati contenere una percentuale di particelle volatili incombuste, per loro natura idonee a provocare i pregiudizi alla salute lamentati dalle appellanti, ed, in caso di condizioni di vento sfavorevoli (venti provenienti da nord o da nord-ovest), tali da impedire persine» l’uso del giardino e l’apertura delle finestre oltre a rendere "difficoltosa la respirazione, in particolare in quei soggetti che siano predisposti o asmatici, i quali non possono fare altro per difendersi che allontanarsi dai luoghi", situazione, quella dei venti provenienti dai quadranti nord e nord-ovest (tramontana e maestrale), che non rivestiva carattere d’eccezionalità, ma costituiva invece, per comune esperienza, evento meteorologico con carattere di normalità e ricorrente frequenza; che, pertanto, tali circostanze dovendo ritenersi integrare una situazione di manifesta ed assoluta intollerabilità dei fumi provenienti dalla pizzeria degli appellati, a costoro andava ordinato d’eliminare le immissioni mediante l’adozione degli opportuni interventi.

C. e P. hanno impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Hanno Resistito L. e B. con controricorso.

Inviata a trattazione camerale, la causa è stata rimessa dall’adunanza del 19.2.09 all’odierna pubblica udienza non essendosi ravvisata l’immediata evidenza degli estremi dell’inammissibilità ex art. 366 bis c.p.c. segnalati dal consigliere delegato all’esame preliminare.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, i ricorrenti – denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 844 c.c. – si dolgono che il giudice a quo non abbia considerato che, per l’invocata norma, il potere del proprietario d’escludere le immissioni è più circoscritto rispetto a quello fondato sull’interesse oggettivo, posto in via generale dall’art. 840 c.c., poichè le immissioni possono essere impedite solo se superano la normale tollerabilità, eppertanto il giudice del merito deve compiere la relativa indagine secondo il criterio della condizione dei luoghi inteso sotto il "profilo sociale" in relazione al carattere derivante dalle attività che normalmente vi si svolgono ed in genere dal sistema e dalle abitudini di vita della popolazione locale, mentre, nell’accogliere il gravame, il detto giudice avrebbe omesso qualunque indagine in riferimento alle condizioni "sociali" dei luoghi limitandosi a considerare "in astratto" ed aprioristicamente nocive le lamentate immissioni di fumo, non considerando così che l’immobile ai che trattasi è situato in pieno centro abitato, che nelle vicinanze vi sono altre sei canne fumarie, che i fumi in questione sono classificabili a norma di legge tra quelli emessi da attività ad inquinamento poco significativo, giusta quanto precedentemente affermato dalle Autorità Sanitarie (Comune e Provincia) interessate dallo stesso L., e che il danno alla vegetazione ed alle cose è inesistente; inoltre, il giudice a quo non avrebbe considerato il secondo comma della norma invocata, che impone di contemperare le esigenze della produzione con Le ragioni della proprietà e di compiere la valutazione e la comparazione tra tutti gli elementi di diritto idonei ad applicare la tutela invocata ex art. 844 c.c. Hanno, quindi, chiesto affermarsi il seguente principio di diritto:

"Il discrimine tra condotta lecita ed illecita in riferimento all’art. 844 c.c. è il superamento del limite della normale tollerabilità e che, oltre ai parametri di valutazione oggettiva delle immissione prodotte, si deve tenere conto della situazione di fatto esistente, nonchè del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà".

Con il secondo motivo, i rioorrenti – denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ed in relazione all’art. 844 c.c. sotto un diverso profilo – si dolgono che la decisione gravata sia carente di motivazione sul fatto che i fumi emessi dalla pizzeria, rientrando tra le attività ad inquinamento "poco significativo", in base alla nota dell’Amministrazione Provinciale di Viterbo del 05.10.1996 ed alle valutazioni del CTU, non potessero essere qualificati, per loro natura, come immissioni superiori alla normale tollerabilità, in difetto d’un accertamento "in concreto" dell’idoneità a produrre i danni lamentati ma non provati da controparte.

I riportati motivi – che, stante la loro connessione, possono essere congiuntamente trattati – sono destituiti di fondamento.

Il giudice a quo si è, infatti, correttamente attenuto alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, testualmente riportate, evidenziando come, sotto vari profili, ne emergessero la sussistenza delle immissioni denunziate ed un’intensità delle stesse da considerare superiore alla normale tollerabilità in relazione al loro livello, alla loro continuatività, alle condizioni atmosferiche prevalenti nella zona ed alla reciproca ubicazione dei fondi contrapposti.

La contestazione di tale conclusione da parte dei ricorrenti per assunta omessa valutazione delle parti della consulenza e dei documenti di provenienza pubblica che la smentirebbero, neppure può essere presa in considerazione per difetto d’autosufficienza della censura, non risultando adeguatamente riportate le parti dell’elaborato peritale e dei citati documenti dalle quali l’assunto sarebbe suffragato.

Infatti, allorchè sia denunziato, con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, un vizio di motivazione della sentenza impugnata, della quale si deducano l’incongruità e/o l’insufficienza delle argomentazioni svoltevi in ordine alle prove, per asserita loro omessa od erronea valutazione, è necessario, per il principio d’autosufficienza del ricorso posto al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisi vita degli elementi di giudizio assuntivamente non valutati od erroneamente valutati, che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle dette risultanze mediante loro sintetica ma esauriente esposizione ed, all’occorrenza, come il caso di specie avrebbe richiesto, integrale trascrizione nel ricorso, non essendo idonee, all’uopo, le semplici affermazioni della parte in ordine al significato soggettivamente attribuito alle risultanze stesse in contrapposizione alle valutazioni effettuatene dal giudice del merito.

Nessuna censura può, poi, essere fondatamente mossa al giudice a quo quanto alla retta applicazione dell’art. 844 c.c., la disposta imposizione di misure idonee a ridurre le accertate immissioni nei limiti della normale tollerabilità costituendo legittima applicazione del comma 1 della norma de qua che, se esclude il carattere lesivo delle immissioni quantitativamente e/o qualitativamente rientranti nei limiti della normale tollerabilità e non consente, pertanto, al proprietario del fondo d’esperire l’azione negatoria contro di esse, a quest’ultimo conserva peraltro tale tutela nella sua interezza ove detti limiti vengano superati qual che ne sia la genesi.

Il criterio del contemperamento delle esigenze della produzione con quelle della proprietà, posto dal secondo comma della norma de qua, viene in considerazione solo nell’ipotesi in cui, accertatosi il superamento dei limiti della normale tollerabilità, l’adozione delle possibili misure di prevenzione si riveli insufficiente a ricondurre il livello delle immissioni entro i limiti stessi, giacchè in tal caso – nella riconosciuta preminenza dell’interesse collettivo, in termini di prodotto e di occupazione, alla prosecuzione dell’attività immissiva nonostante le sue negative ripercussioni sull’ambiente circostante in genere e sulle singole proprietà finitime in ispecie – è previsto che possa operarsi dal giudice una valutazione comparativa degli interessi dedotti in giudizio ai fini della determinazione del contenuto non più delle misure preventive da adottare ma della sanzione da applicare a quella che resta, comunque, un’attività generatrice di danno permanente cui deve corrispondere un congruo indennizzo.

Situazione, dunque, non ravvisabile nel caso di specie, laddove le accertate immissioni si è ritenuto possano essere ricondotte ad entità accettabile mediante l’adozione d’opportune misure, quali, appunto, ha disposto la corte d’appello, cui, attesa tale possibilità, neppure era necessario fare ricorso all’ulteriore criterio del preuso.

In materia d’immissioni nocive, infatti, detto criterio ha carattere sussidiario e facoltativo, onde il giudice del merito, nella valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, non è tenuto a farvi ricorso quando, in base agli opportuni accertamenti d:i fatto e secondo il suo prudente apprezzamento – incensurabile in sede ai legittimità se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato – quella soglia ritenga comunque superata.

Ciò tanto più ove si tenga conto che nell’applicazione dell’art. 844 c.c. deve aversi riguardo, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni – proprio come vogliono i ricorrenti -, alle particolari connotazioni del caso concreto in relazione alla collocazione urbanistica dei fondi, onde, nell’ipotesi in cui questi si trovino in zona a prevalente vocazione abitativa – come, appunto, nel caso di specie, trovandosi al centro dell’abitato per deduzione dei ricorrenti medesimi – e siano soggetti a destinazioni differenti, ad abitazione l’uno e ad opificio l’altro, il criterio dell’utilità sociale, cui è informata la norma de qua, impone di graduare le necessità rispettive in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dello parti, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali posti dagli artt. 14, 31, 47 Cost., le personali esigenze esistenziali connesse alla salute, alla qualità della vita, all’abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di attività produttive o commerciali (Cass. 5564/10, 8420/06, 2166/ 06, 5697/01).

Nè rileva il riferimento a documenti, compresa la CTU, e ferma comunque l’inidoneità del motivo al riguardo per difetto d’autosufficienza, che avrebbero attestato la tollerabilità delle emissioni in relazione al D.P.R. 2 maggio 1988, n. 203 ed al D.P.C.M. 25 luglio 1991 (o 1 marzo 1991), in quanto, se è vero che i criteri posti dall’invocata normativa, sebbene non applicabili direttamente ai rapporti tra privati, possono, tuttavia, anche nella regolamentazione di tali rapporti, costituire un valido riferimento onde determinare l’intensità e, di riflesso, l’intollerabilità d’una sorgente d’immissioni nocive, è anche vero che tale criterio può trovare applicazione solo ove esso, dettato per la tutela generale del territorio e fondato, quindi, su parametri meno rigorosi di quelli applicabili nei casi singoli ex art. 844 c.c., venga considerato nelle controversie tra privati quale espressione d’un limite massimo e non d’un limite minimo, nel senso che, in difetto d’altri riscontri, accertato il loro superamento si abbia per necessariamente accertato anche quello dei limiti di tollerabilità di cui all’art. 844 c.c. e non viceversa (Cass. 1418/06, 5697/01).

Può, in fine, aggiungersi che la rilevata infondatezza delle ragioni di ricorso si riverbera sulla formulazione dei motivi, che – come aveva giustamente prefigurato il consigliere designato all’esame preliminare risultano ora chiaramente, alla luce delle considerazioni che precedono, non conformi ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, eppertanto, oltre che insuscettibili d’accoglimento nel merito, anche inammissibili: quello ex art. 360 c.p.c., n. 3 per inidoneità del quesito, in quanto, dovendovisi riportare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08, 28280/08, SS.UU. 6530/08) vi e, invece, solo riprodotto un principio, pacifico sì, ma avulso dal contesto; quello ex art. 360 c.p.c., n. 5, per difetto del momento conclusivo di sintesi, id est dell’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutarne immediatamente l’ammissibilità (Cass. 8897/08, 189/09, 1741/09).

Nessuno degli esaminati motivi meritando accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alle spese che liquida in Euro 3000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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