Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-12-2010) 24-01-2011, n. 2293 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per Cassazione il difensore di fiducia di T.P.I. avverso la sentenza emessa in data 12.5.2009 dalla Corte di Appello di Roma che confermava quella del Tribunale di Velletri in data 7.12.2004, con cui il T. era stato condannato alla pena di mesi 8 di reclusione ed Euro 2000 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Deduce la violazione di legge in relazione all’omessa considerazione dell’eccezione formulata in appello in ordine all’irregolare notifica del decreto di citazione all’imputato in grado di appello mediante notifica al difensore ex art. 161 c.p.p., n. 4: la Corte aveva ritenuto che la notifica al difensore per l’udienza del 12.5.2009 era stata preceduta da un antecedente e rituale tentativo infruttuoso di notifica all’interessato, tentativo che, però, si riferiva ad un’udienza ancora precedente e non a quella in questione per la quale il tentativo non era mai avvenuto.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile essendo la censura mossa manifestamente infondata.

Giova premettere che la L. n. 46 del 2006 ha esplicitato la regola di autosufficienza del ricorso, in coerenza con l’analogo principio elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte di legittimità sulla base della formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Questa giurisprudenza civile ha affermato che "il ricorso per Cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte" (cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. 2, 2.12.2005 n. 26234, CED – 585217).

Orbene, stante l’analogia esistente tra la formulazione dell’art. 360 c.p.c. e quella dell’art. 606 c.p.p., la teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile si ritiene debba essere recepita e applicata anche in sede penale ogni qual volta il ricorrente deduca un vizio derivante da atti del processo indicati nei motivi di gravame. Ciò in quanto è principio consolidato che per i fatti processuali, a differenza di quanto avviene per i fatti penali, costituisce onere delle parti la specifica indicazione degli atti – viziati o vizianti – oggetto di deduzione, tanto più se rimessa alla loro iniziativa, e la loro "allegazione" quando non siano presenti nel fascicolo a disposizione del giudice (Cass. SS.UU. 17.11.2004 n. 45189; Cass. sez. 1, 20.4.2006 n. 20370; Cass. sez. 5, 25.5.2006 n. 36764). Alla stregua di tale principio sarebbe stato onere della parte, che nel caso di specie ha lamentato la nullità della notificazione del decreto che dispone il giudizio eseguita ex art. 161 c.p.p., presso il difensore (di fiducia, peraltro), una volta rilevato che tale notificazione avrebbe dovuto essere effettuata al domicilio dichiarato o eletto all’atto di scarcerazione ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 3, allegare l’atto da cui risulti siffatta dichiarazione o elezione di domicilio, onde consentire al Collegio la valutazione della correttezza della deduzione svolta nel suddetto motivo di ricorso.

Al di là di questo rilievo di carattere formale, si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema – con la sentenza 7 gennaio 2005, n. 119 – hanno affermato il principio secondo il quale in tema di notificazione della citazione all’imputato, la nullità assoluta ed insanabile prevista dall’art. 179 c.p.p., ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato. La medesima nullità non ricorre, invece, nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione (Sez. 3, n. 20349 del 16.3.2010, Rv.

247109).

E’ stato anche asserito che, in tema di notificazione del decreto che dispone il giudizio, qualora l’atto da notificare all’imputato venga per errore notificato al suo difensore, non si verte in una ipotesi di omessa vocatio in jus, come tale assoluta ed insanabile, ma di nullità a regime intermedio per inosservanza delle norme sulla notificazione; e pertanto siffatta nullità deve ritenersi sanata allorchè risulti la prova che la stessa non abbia impedito all’imputato di conoscere l’esistenza del detto decreto e di apprestare le proprie difese, e cioè non abbia precluso l’instaurazione del contraddittorio.

E siffatta situazione si è verificata nel caso di specie dal momento che (a prescindere, ai fini della tempestività ex artt. 181 e 182 c.p.p. e connessa sanatoria ex art. 184 c.p.p., comma 1, dal fatto che nulla risulta, come rappresentato in ricorso, in ordine alla deduzione dell’eccezione in questione e alla susseguente reiezione del Presidente a verbale dell’udienza 12.5.2009 alla quale non era presente il difensore di fiducia, sostituito dall’avv. Fabio M. Cozi), il ricorrente si è avvalso di ogni facoltà difensiva in appello, onde deve ritenersi che abbia comunque accettato gli effetti dell’atto con conseguente sanatoria ex art. 183 c.p.p., lett. b) (cfr. Cass. pen. Sez. 2, n. 32855 del 4.7.2007, Rv. 237698; Sez. 2, n. 35345, del 12.5.2010, Rv. 248401).

Consegue l’inammissibilità del ricorso e, con essa ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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