Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-02-2011, n. 4001

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con rogito 30.10.1989 R.A.R. donò ai figli C. C. ed A., già proprietari del terzo residuo per successione materna, i due terzi, in comunione pro indiviso ed in parti uguali, del fabbricato in (OMISSIS), comprensivo di piano terra, garage, cinque vani e retrostante ortale e primo piano, cinque vani ed accessori.

C.C., che occupava il primo piano, convenne con atto 30.3.1996, i fratello A., che occupava il piano terra, davanti al Tribunale di Brindisi per lo scioglimento della comunione con attribuzione a ciascuno dell’appartamento rispettivamente posseduto ed, in ipotesi di disuguaglianza, con assegnazione di pari porzione in natura ovvero in caso di indivisibilità, con conguaglio in denaro in favore della "quota minorotaria".

Il fratello A. contrastò la pretesa rilevando che col rogito a lui era stato donato il piano terra ed all’attore il primo piano e la eventuale lamentata disuguaglianza di quota era stata voluta dal padre che volevo remunerarlo dell’assistenza alla madre e, comunque, doveva tenersi conto della proprietà esclusiva del lastrico solare in capo a C.C..

Eccepì l’annullabilità della donazione per errore essenziale del donatario e, riconvenzionalmente, domandò l’annullamento per errore essenziale del donante, fermo restando il rigetto della domanda per inesistenza della comunione.

Intervenne volontariamente R.A.R. che dedusse l’invalidità del contratto per errore essenziale in quanto la sua volontà era stata travisata intendendo donare ai figli l’appartamento effettivamente occupato.

Con sentenza 19 luglio 2001 il Tribunale dichiarò il difetto di legittimazione passiva di R.A. in ordine all’eccezione di annullamento; ritenuta l’ammissibilità dell’intervento, in parziale accoglimento della domanda, dichiarò lo scioglimento della comunione ed attribuì a C.C. il primo piano e ad A. il piano terra con esclusione del conguaglio in quanto il maggior valore della quota del convenuto era compensata dalla proprietà esclusiva del lastrico solare all’attore, compensò le spese.

Proposero appello principale C.C. ed incidentale A. R. ed A. e la Corte di appello di Lecce, con sentenza 415/2004, in accoglimento dell’appello principale, dichiarò lo scioglimento della comunione relativa al cortile antistante l’edificio, escluse dall’attribuzione a C.C. il lastrico, comune alle parti, condannò A. al conguaglio in favore di C.C. della somma di Euro 6197,48 oltre interessi ed A. ed A.R. alle spese, rigettò gli appelli incidentali.

La Corte ritenne non provato l’errore di fronte alla chiara ed indiscutibile inequivocità dell’attribuzione.

Ricorre R.A. con due motivi, resiste C.C., non svolge difese A.R..

Motivi della decisione

Col primo motivo si lamenta violazione degli artt. 1427, 1429 e 1441 c.c., errore del consenso e annullabilità del contratto.

Il ricorrente aveva eccepito l’errore ed anche il padre aveva aderito a tale tesi. Bisognava tenere conto del comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla stipula. La censura è infondata.

Rispetto alla motivazione circa la chiara ed inequivocabile attribuzione dei due terzi indivisi, senza proporre alcuna censura circa l’attività di ermeneutica contrattuale posta in essere dalla Corte territoriale, il ricorrente ribadisce assiomaticamente la tesi dell’errore, che sarebbe supportata dall’intervento adesivo del donante, senza impugnare la ratio decidendi della mancata prova di esso ed invocando un comportamento anche successivo, solo dedotto, comunque irrilevante ed unilaterale.

Il convincimento espresso dal giudice a quo risulta, in effetti, raggiunto mediante lo svolgimento d’attività interpretativa del rogito circa la chiara ed inequivocabile attribuzione dei due terzi indivisi.

Ne consegue che il ricorrente avrebbe dovuto prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, in relazione all’attività ermeneutica posta in essere dal giudice a quo, con puntuale riferimento ai singoli criteri legali d’ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso al riguardo il detto giudice, avrebbero potuto procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori questioni d’erronea od inesatta applicazione d’altre norme ed istituti, dacchè la disamina di tali questioni presuppone l’intervenuto accertamento dell’errore sull’interpretazione della volontà negoziale delle parti alle quali è fatto riferimento in ricorso, e non può, pertanto, aver luogo ove manchi siffatto previo accertamento d’un vizio che inficerebbe, sul punto, ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo tale interpretazione il presupposto logico-giuridico delle conclusioni alle quali il giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa (Cass. 21.7.03 n. 11343, 30.5.03 n. 8809, 28.8.02 n. 12596).

E’ ben vero che il ricorrente ha inteso in qualche modo censurare la valutazione degli atti de quibus effettuata dal giudice a quo ed ha, all’uopo, svolto argomenti in senso contrario, tuttavia, quand’anche vi si volesse ravvisare una, se pure irrituale, denunzia d’errore interpretativo, questa sarebbe, comunque, inidoneamente formulata ed insuscettibile d’accoglimento.

L’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 seg. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Nè può utilmente invocarsi la mancata considerazione del comportamento delle parti.

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nell’art. 1362 c.c., comma 1 – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 c.c. per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti – ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del secondo comma dell’art. 1362 c.c., che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389); non senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare, come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam. non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto medesimo (Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474). Col secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 952, 1117 e 1127 c.c., proprietà dell’ultimo piano e/o del lastrico solare, diritto di superficie e di sopraelevazione. La censura fa riferimento alla ctu, alla sentenza di primo grado ed a quella di appello che, con approssimazione quasi scandalosa, avrebbe aderito alle tesi dell’attore – appellante, senza tenere conto che trattasi di due appartamenti e che il proprietario dell’ultimo piano o quello del lastrico solare possono elevare nuovi piani, salvo che risulti altrimenti dal titolo.

Va, tuttavia, affermato che non si riporta il titolo in violazione del principio di autosufficienza del ricorso e, stando alla sentenza, si è trattato dello scioglimento di una comunione pro indiviso, con attribuzione di quote e conguagli, con la conseguenza che ogni odierna deduzione sollecita un riesame del merito non consentito in questa sede.

Donde il rigetto del ricorso.

La singolarità della vicenda consiglia la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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