Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-11-2010) 24-01-2011, n. 2269

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

L.G. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza, in data 17 febbraio 2010 della Corte d’appello di Cagliari, con la quale, a conferma della sentenza di primo grado, è stato condannato per il reato di estorsione e, chiedendone l’annullamento, lamenta la violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3 nella valutazione delle dichiarazioni della parte offesa P. ed in particolare con riferimento all’assenza di qualsiasi coercizione della sua volontà e comunque dell’ingiusto profitto e del danno patrimoniale, che avrebbero imposto la configurazione del tentativo.

Osserva la Corte che il ricorso è manifestamente infondato: nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni dedotte nel ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello.

Peraltro, ritiene il collegio che nel ricorso per Cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità "ex officio" in ogni stato e grado del procedimento – una questione che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per Cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte".

(Cass. pen., sez 6, 25.1.94, Paolicelli, 197748). Nel caso in esame viene nuovamente riproposta la questione relativa alla sussistenza della coercizione, ed in ordine alla quale i giudici del merito hanno fornito una valutazione ed una analisi corretta, che non merita censure logico giuridiche (si veda il riferimento alla configurazione della c.d. minaccia implicita e del conseguente compenso collegato alla restituzione del motorino unitamente al comportamento dello stesso imputato e alla formulazione della richiesta di denaro).

Alla luce delle suesposte considerazioni, va dichiarata inammissibile l’impugnazione.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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