Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-11-2010) 24-01-2011, n. 2266 Falsità

Svolgimento del processo e motivi della decisione

B.G. e M.E. hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma in data 30 aprile 2009 con la quale è stata confermata la sentenza emessa in data 19 febbraio 2009 dal Tribunale di Roma con la quale sono stati condannati ciascuno alla pena di mesi sette di reclusione ed Euro 400,00 di multa per i reati di falso e truffa.

A sostegno dell’impugnazione il primo ricorrente B.G. ha dedotto:

a) Violazione degli artt. 197 e 191 c.p.p., art. 63 c.p.p., comma 2, relativamente alle dichiarazioni rese da A.S. e C. A..

Il ricorrente censura che A.S. e C.A. siano stati senti in qualità di testimoni, nonostante fosse emerso in maniera evidente la loro corresponsabilità nei reati contestati. In questo senso dovevano essere dichiarate inutilizzabili anche le dichiarazioni rese a carico di altri soggetti;

b) Assoluzione per non aver commesso il fatto.

Il ricorrente contesta quindi la sussistenza degli elementi in base ai quali sarebbe stato possibile affermare la sua responsabilità in ordine ai reati contestati. c) Eccessività della pena.

Il ricorrente censura la mancata applicazione dell’attenuante art. 62 c.p., n. 4.

M.E. a sostegno dell’impugnazione ha dedotto:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c e d e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione a seguito dell’omesso esperimento di una perizia calligrafica.

Il ricorrente censura il mancato esperimento di una perizia calligrafica per accertare la responsabilità dell’alterazione dei buoni di benzina in base ai quali è stata consumata la truffa. b) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e) in relazione all’art. 485 c.p. nonchè alla contraddittoria e mancante motivazione in ordine alla valutazione della condotta dell’imputato.

Il ricorrente censura che la sola circostanza della presenza del timbro del M. sui buoni contraffatti possa essere sufficiente per far ricondurre l’azione truffaldina alla sua persona, in assenza di una perizia calligrafica;

c) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e) in relazione in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2.

Il ricorrente denuncia il metodo di valutazione delle prove, meramente congetturale e non ancorato a dati di fatto incontrovertibili, che potevano venire solo dall’esperimento di una perizia calligrafica. d) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e) in relazione all’art. 640 c.p..

Il ricorrente deduce che in base agli elementi acquisiti non poteva ricondursi la realizzazione del reato di truffa alla sua persona.

I ricorsi sono manifestamente infondati Rileva il Collegio che la penale responsabilità dei ricorrente è stata affermata in base ad elementi che devono ritenersi sufficienti a prescindere dalle dichiarazioni dei testi A.S. e C. A.. Dalla motivazione della sentenza emerge infatti che sui buoni di benzina contraffatti, con i quali è stata perpetrata la truffa in danno della soc. Rige attraverso i buoni falsificati della Securpol, attestanti un prelievo fittizio di carburante per gli automezzi di quest’ultima, vi era apposto sia il numero di matricola del timbro del B. che quello del C.. Tali numeri erano in possesso esclusivamente dei due imputati con la conseguenza che correttamente, in assenza di prove contrarie, neppure prospettate, appare logica al valutazione relativa alla riconducibilità della comunicazione ai due imputati. Sui timbri relativi ai nominativi degli imputati sono state rinvenute le loro impronte. I riscontri contabili delle due società evidenziano poi l’acquisto di benzina solo rispetto al dato formale dei buoni ma non in rapporto alle effettive necessità, anche perchè relativi a rifornimenti ripetuti più volte nella stessa giornata dallo stesso automezzo.

I comportamenti addebitati ai ricorrenti hanno trovato conferma anche nella sentenza del giudice del lavoro nelle more passata in giudicato.

Sulla base di queste premesse anche se appare corretta la censura relativa all’utilizzazione delle deposizioni dei testi C. A. e A.S., che in realtà avrebbero dovuto essere sentiti ai sensi dell’art. 210 c.p.p., essendo già molto chiaro la loro corresponsabilità nei reati in questione al momento della deposizione, (le loro dichiarazioni anche etero accusatorie, acquisite nel corso della indagine interna sono state addirittura riportate nella querela) (v. SS.UU, 25 febbraio 2010, n. 15028, C.E.D.cass., 246584). La descrizione dei fatti è documentata dai buoni falsificati, in cui l’assenza di una perizia appare assolutamente ininfluente, proprio perchè i titolari dei medesimi non hanno mai denunciato il loro smarrimento o comunque l’utilizzazione da parte di terzi. I giudici di merito hanno poi correttamente utilizzato i fatti descritti nella denuncia querela delle persone offese, confermati in dibattimento.

Da parte dei ricorrenti, dunque, in apparenza si deducono vizi della motivazione ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole agli stessi, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità; si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità. (Cass. sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n 12/2000, Jakani, rv 216260).

Le stesse considerazioni valgono anche circa la valutazione della non tenue entità del danno e del congruo trattamento sanzionatorio.

Alla luce di tali considerazioni deve essere dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi, cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè di ciascuno al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, inoltre, ciascuno al versamento della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

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