Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-02-2011, n. 3995 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Perugia, depositato il 17 marzo 2003, C.F., Za.Li., Z.M. e P.M., quest’ultimo nella sua qualità di legale rappresentante della Tecnosea soc. Coop. a r.l., proponevano opposizione avverso le ordinanze ingiunzione, emesse dal Direttore Generale della Provincia di Perugia, n. 1/16198 del 4.2.2003 (con la quale si ingiungeva al C., in solido con la soc. Coop., il pagamento di Euro 258,00 per violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, commi 1 e 2 per non avere annotato sul formulario n. 96 del 21.2.2002 il numero di targa del mezzo di trasporto, mancante la firma del conducente e quella del produttore-detentore, ed indicato un luogo di destinazione diverso da quello effettivo)), n. 1/16188 del 4.2.2003 (con la quale si ingiungeva alla Za., in solido con la soc. Coop., il pagamento di Euro 258,00 per violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, commi 1 e 2 per non avere annotato sul formulario n. 2001 del 9.11.2001 il numero di targa del mezzo di trasposto, errato l’orario di partenza e di arrivo a destinazione del mezzo, mancante la firma del destinatario), n. 1/16193 del 4.2.2003 (con la quale si ingiungeva alla Z., in solido con la soc. Coop., il pagamento di Euro 258,00 per violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, commi 1 e 2 per non avere annotato nel formulario n. 0601 del 16.10.2001 il numero di targa del mezzo di trasporto, errato l’orario di partenza e di arrivo a destinazione del mezzo, mancante la firma del destinatario), n. 1/16172 del 5.2.2003 (con la quale si ingiungeva alla Z., in solido con la soc. Coop., il pagamento di Euro 258,00 per violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, commi 1 e 2 per non avere annotato sul formulario n. 2401 del 10.11.2001 il numero di targa del mezzo di trasposto, mancante la firma del trasportatore, nonchè quella de produttore/detentore e la data del trasporto), n. 1/16181 del 5.2.2003 (con la quale si ingiungeva alla Z., in solido con la soc. Coop., il pagamento di Euro 258,00 per violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, commi 1 e 2 per non avere annotato su formulario n. 95 del 21.1.2002 il numero di targa del mezzo di trasposto). I ricorrenti riferivano che la Soc. Coop, Tecnosea era affidataria del servizio di gestione dell’impianto di deputazione sito in loc. (OMISSIS) sia per conto del Comune di Turo sul Trasimeno sia per il Comune di Passignano del Lago e, nel merito, contestavano l’applicabilità ai fatti in contestazione del D.Lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi); eccepivano, altresì, l’erroneità dell’individuazione dei soggetti trasgressori, nonchè la carenza dell’elemento soggettivo delle fattispecie contestate. La Provincia si costituiva e resisteva all’opposizione, che veniva respinta dal Tribunale adito. Osservava il giudice di prime cure che la normativa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 trovava comunque applicazione nel caso di specie in quanto il D.Lgs. n. 99 del 1992, invocato dalle parti ricorrenti, richiamava espressamente, con clausola di salvezza contenuta nel D.Lgs. n. 99 del 1992, artt. 8 e 16, la materia dei fanghi derivanti dai processi di depurazione, le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento, sia pure nella formula del previgente D.P.R. n. 915 del 1982. Quanto ai soggetti passivi delle infrazioni contestate, erano stati correttamente individuati negli autori delle violazioni – dipendenti della soc. coop. – solidalmente con il legale rappresentante della medesima persona giuridica, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3.

Aggiungeva, infine, che non poteva essere invocato l’errore scusabile esercitando la Tecnosea professionalmente l’attività specializzata di rimozione dei fanghi.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione C.F., Za.Li., Z.M. e P. M., quest’ultimo sempre nella sua qualità di legale rappresentante della Tecnosea soc. Coop. a r.l., affidato a sei motivi, cui ha resistito la Provincia di Perugia con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 99 del 1992, art. 2, lett. d), (art. 360 c.p.c., n. 3). La sentenza impugnata, afferma parte ricorrente, avrebbe errato nell’interpretare lo sbarramento nel formulario della voce smaltimento, senza alcuna integrazione con altre precisazioni scritte, come sintomatica del trasporto dei fanghi senza che questi avessero la destinazione allo spandimento ovvero altra destinazione in agricoltura, giacchè la reale destinazione era dimostrata dalle schede di accompagnamento allegate ai formulari, ritualmente prodotte nel corso del giudizio, in cui si legge che i fanghi sarebbero stati smaltiti in agricoltura presso la località "(OMISSIS)", previa apposita autorizzazione allo smaltimento (aut. N. 2239 del 14.4.2001 della Regione Umbria).

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono l’omessa motivazione su un punto rilevante della controversia, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8 (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice di prime cure dedotto dalla mera lettera dell’art. 8 del decreto citato, che fa richiamo al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 56, l’applicabilità al caso di specie di tutto l’impianto normativo recato dal Decreto Ronchi. Inoltre nel richiamare un orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha sottolineato che anche per le attività di recupero dei fanghi da utilizzare in agricoltura sono applicabili le sanzioni penali previste dal decreto Ronchi, non ne ha spiegato l’applicabilità anche alle sanzioni amministrative.

Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997 e del D.Lgs. n. 99 del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto il decreto Ronchi che disciplina i fanghi prodotti dalla depurazione delle acque reflue (ricompresi nell’elenco dei rifiuti speciali ed inseriti nel catalogo dei rifiuti), con l’introduzione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 48 (recante disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento, in recepimento di direttive CEE concernenti il trattamento delle acque reflue urbane e la protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole) sarebbe stato derogato dalla speciale normativa dettata per lo specifico caso in cui gli stessi fanghi vengano smaltiti in agricoltura.

Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione delle direttive 86/278 e 75/442, come modificate dalla direttiva 91/156, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice di prime cure operato la violazione e falsa applicazione di direttive comunitarie. Infatti la giurisprudenza comunitaria ha delineato l’autonomia della disciplina sui rifiuti rispetto a quella inerente l’utilizzo dei fanghi in agricoltura, prevedendo per quest’ultima una disciplina peculiare, tant’è che la direttiva CC 86/278 (concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei funghi di depurazione in agricoltura) espressamente prevede "che i fanghi di depurazione utilizzati nel quadro delle attività agricole non rientrano nel campo d’applicazione della direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti", cioè la direttiva che è stata recepita del decreto Ronchi.

I primi quattro motivi del ricorso, comportando un accertamento sulla disciplina legale da applicare alla fattispecie, vanno esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione. I ricorrenti contestano la qualificazione come rifiuto assoggettato al regime sanzionatorio di cui alla L. n. 22 del 1997 delle sostanze trasportate dal personale della TECNOSEA soc. coop. a rl., operata dal giudice del merito, anche sulla base della disciplina comunitaria e della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, atteso che i fanghi ritirati non subirebbero alcuna operazione di smaltimento e recupero, essendo destinati allo spandimento ovvero ad altra destinazione in agricoltura, così risultando esclusi dalla nozione di rifiuti, come espressamente statuito dal legislatore con la richiamata norma del 2002 di interpretazione autentica del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6. Le doglianze non possono essere accolte.

Ha affermato il Tribunale che in tutti i formulari relativi allo smaltimento, della cui errata compilazione si discute, lo spazio relativo all’indicazione della destinazione risulta inequivocabilmente barrato nella casella riferita allo smaltimento, senza altre precisazioni, e ciò non può fare ritenere provata la destinazione dei fanghi per la loro utilizzazione in agricoltura. E’ opinione del Collegio che così opinando il giudice del merito si sia correttamente adeguato alla giurisprudenza di legittimità "in subiecta materia", anche sulla scorta delle decisioni della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

Occorre premettere, infatti, che, nella giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte (condivisa anche in pronunzie di Sezioni civili: Cass., Sez. 2, 29 novembre 2005, n. 25933; Cass., Sez. 1, 18 aprile 2005, n. 7962), la problematica della qualificazione o meno come rifiuti di sostanze suscettibili di riutilizzazione ha formato più volte oggetto di esame. In particolare, si è chiarito che "per rifiuto, ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, restando irrilevante se ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il suo recupero e, inoltre, prescindendosi da ogni indagine sull’intenzione del detentore che abbia escluso ogni riutilizzazione economica della sostanza o dell’oggetto da parte di altre persone (Cass. pen., Sez. 3, 18 settembre 2002, n. 31011; analogamente, v. Cass. pen. Sez. 3, 9 aprile 2002, n. 14762). La definizione di rifiuto deve essere improntata, infatti, al criterio oggettivo della destinazione naturale all’abbandono non rilevando l’eventuale riutilizzazione nè a volontà di disfarsi della sostanza o dell’oggetto, sicchè quando il residuo abbia il suddetto carattere, ogni successiva fase di smaltimento rientra nella disciplina del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e, dopo la sua abrogazione, in quella del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Cass. pen., Sez. 3, 11 maggio 2001, n. 19215).

In senso ancor più rigoroso, si è poi affermato che, "in tema di gestione dei rifiuti deve intendersi per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, senza che assuma rilievo la circostanza che ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto o tramite il suo recupero. E ciò sia per l’interpretazione della nozione legislativa nazionale, di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, sia per le affermazioni della Corte di Giustizia della Comunità Europea, le cui decisioni sono immediatamente e direttamente applicabili in ambito nazionale, secondo cui la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel senso di escludere le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, atteso che la protezione della salute umana e dell’ambiente verrebbe ad essere compromessa qualora l’applicazione delle direttive comunitarie in materia fosse fatta dipendere dall’intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altri delle sostanze o degli oggetti di cui ci si disfa (o si sia deciso o si abbia l’obbligo di disfarsi) (Cass. pen., Sez. 3, 17 gennaio 2003, n. 2125). Tuttavia, solo allorquando non vi sia necessità di trattamento dei residui, ma possibilità di riutilizzo immediato nel ciclo produttivo, non può più parlarsi di rifiuto, atteso che la sostanza può essere trattata allo stesso modo di una materia prima (Cass. pen., Sez. 3, 24 febbraio 2003, n. 8755). In proposito, deve peraltro precisarsi che "a seguito della entrata in vigore del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito con L. 8 agosto 2002, n. 178", in particolare l’art. 6, comma 1, lett. a) (norma, tra l’altro, dichiarata in contrasto con la direttiva comunitaria 75/442 (e successive modificazioni ed integrazioni) dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza 11.11.2004 in causa C. 457/2002), non rientrano nella nozione di rifiuto i beni, anche se abbiano subito un trattamento preliminare, il cui riutilizzo sia non solo eventuale ma certo (Cass. pen., Sez. 3, 31 luglio 2003, n. 32235).

In ogni caso, "la prova della destinazione al riutilizzo dei rifiuti deve essere obiettiva, univoca e completa, non potendosi tenere conto solo delle affermazioni o delle intenzioni dell’interessato, posto che i rifiuti richiedono un corretto e tempestivo recupero, se possibile e dimostrato, oppure il loro smaltimento in modo compatibile con la salute e l’ambiente, interessi primari della società (Cass. pen., Sez. 3, 27 settembre 1999, n. 11007).

Nella specie, di converso, non risulta essere stata data dimostrazione alcuna da parte dei ricorrenti in tal senso, essendosi limitati ad una mera allegazione.

Alla luce di tale ricognizione appare evidente la infondatezza dei motivi.

Del resto appaiono ininfluenti al riguardo le eccezioni di parte resistente e le repliche dei ricorrenti circa la tardività della produzione delle schede di accompagnamento in quanto allegate alle note di replica finali (da presumersi ex art. 190 c.p.c.), trattandosi di documentazione che (anche se fosse stata esaminata dall’Amministrazione al momento di elevare la contestazione) comunque non avrebbe assolto l’onere di dimostrare la destinazione dei fanghi all’utilizzo in agricoltura quale materia prima, trattandosi di mere affermazioni provenienti dallo stesso interessato.

Con il quinto motivo i ricorrenti deducono la violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Provincia sanzionato i conducenti dei mezzi mentre per la stessa normativa richiamata il formulario di identificazione deve essere compilato, datato e firmato dal detentore dei fanghi, ossia il Comune di Tuoro sul Tradimento, e solo controfirmato dal trasportatore.

Con il sesto ed ultimo motivo i ricorrenti deducono l’insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, della decisione sulla circostanza invocata della buona fede ovvero dell’errore scusabile, concludendo per la non sussistenza trattandosi di soggetti che esercitano professionalmente una attività specializzata. In altri termini, sarebbe stata utilizzata una formula di stile, senza prendere in esame ed indagare concretamente sul comportamento tenuto dai ricorrenti.

Neppure tali motivi, che pure possono essere esaminati congiuntamente per stretta connessione, in quanto concernenti i criteri per l’individuazione dei soggetti responsabili delle violazioni, meritano accoglimento.

Il giudice di merito ha correttamente fatto applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, che in aderenza al principio societas delinquere non potest prevede che in caso di illeciti amministrativi riferibili ad attività di enti collettivi, dotati o non di personalità giuridica, gli stessi siano solo obbligati in solido al pagamento della sanzione con le persone fisiche autrici della violazione. Di quest’ultima rispondono, a titolo personale, non solo coloro che materialmente abbiano posto in essere l’attività vietata o omesso quella imposta dalla legge, ma anche quei soggetti organicamente rappresentanti l’ente, ai quali, in ragione del relativo ordinamento interno, fa capo lo specifico settore cui è riferibile l’attività, nel cui ambito si è verificata l’azione o omissione illecita (v. Cass., Sez. 2, 22 giugno 2006, n. 14441).

Nel caso di specie, dunque, nessuna contraddizione può rilevarsi nella motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto di individuare in ciascun trasportatore, sulla base degli stessi formulari compilati, ed il P., in quanto legale rappresentante della soc. coop., ed il richiamo all’art. 6 della legge citata è valso ad evidenziare il rapporto solidale tra il medesimo e le altre persone fisiche ritenute anche responsabili dell’illecito.

Del resto è incontestato che il servizio relativo alla gestione dell’impianto di depurazione sia stato appaltato dal Comune alla Tecnosea, come dedotto dalla stessa cooperativa fin dal primo atto difensivo, per cui essendo stata la manutenzione delle apparecchiature delegata a ditta esterna, non essendo siffatta responsabilità delegabile ad altri soggetti, integra gli estremi della colpa, con conseguente infondatezza anche del profilo di censura riferito alla L. n. 689 del 1981, art. 3.

D’altro canto è notorio che delle violazioni amministrative si risponde a titolo di colpa, che può essere esclusa solo dal concorso della forza maggiore e del caso fortuito.

In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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