Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-12-2010) 25-01-2011, n. 2409

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

H.G. ricorre avverso l’ordinanza 28.9.10 del Tribunale del riesame di Trieste che ha confermato quella, in data 15.9.10, del G.i.p. di Pordenone applicativa nei suoi confronti della misura cautelare della custodia in carcere per i reati di tentato furto aggravato e resistenza a p.u. Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnato provvedimento, violazione degli artt. 56 e 337 c.p. e carenza dell’apparato motivazionale, assumendo che dalla lettura dell’ordinanza emerge con evidenza che la condotta dell’ H. non aveva superato la soglia dei meri atti preparatori, tanto che lo stesso tribunale cautelare aveva riconosciuto che l’indagato non aveva neppure toccato la vettura che, secondo i verbalizzanti, era oggetto dell’attenzione dei due H., nè gli altri elementi considerati sintomatici della condotta di tentativo avevano in realtà tale caratteristica, mentre gli oggetti rinvenuti all’interno dello zainetto che i due avevano con sè erano stati considerati dalla p.g. armi improprie e non attrezzi da scasso. A tutto voler concedere si era trattato di una condotta "esplorativa", non riconducibile allo schema di cui all’art. 56 c.p..

Neppure era configurabile la condotta di resistenza, dal momento che i due indagati avevano solo tentato di ruggire, andando ad impattare con il loro motomezzo contro la vettura dei carabinieri e, a meno di non ipotizzare intenti suicidi o autolesionistici, non poteva riconoscersi intenzionalità in un simile comportamento.

Deduce infine il ricorrente violazione degli artt. 274, 275 e 284 c.p.p., atteso che i giudici del riesame avevano ritenuto di non concedere anche ad H.G. (come invece avevano fatto con il coindagato H.C.), gli arresti domiciliari, violando il principio in base al quale la restrizione in carcere deve costituire la exstrema ratio e non tenendo conto del fatto che i precedenti di H.G. per i reati contro il patrimonio erano risalenti.

Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Il tribunale triestino ha dato atto come sia emerso dagli atti che, mentre uno dei due H. era rimasto sul motomezzo occupando la posizione di guida, l’altro si era avvicinato ad una vettura in sosta ed aveva iniziato ad "armeggiare, chino in prossimità della serratura della portiera lato guida".

Il Collegio cautelare ha, tra l’altro, messo in evidenza che in uno zainetto nella disponibilità della coppia erano stati ritrovati "arnesi atti allo scasso" e che i due avevano alterato la targa del loro motoveicolo ed inoltre, alla vista dei carabinieri, avevano tentato la fuga.

Sulla base di tali elementi, il tribunale del riesame, certo non illogicamente, ha ritenuto che gli atti posti in essere dal ricorrente presentassero tanto il requisito della idoneità (predisposizione di mezzi, divisione di compiti, scelta dell’obiettivo, alterazione della targa della moto), quanto quello della inequivocità (l’armeggiare con la serratura avendo a disposizione attrezzi da scasso) e che dunque ricorresse il contestato tentativo.

Quanto alla resistenza, il Collegio cautelare ha posto in evidenza che i due, pur potendo aggirare l’autovettura della p.g., avevano deciso di andare a collidere con la stessa.

Dalla scelta tra due opzioni, il tribunale ha dedotto la volontarietà della scelta e dunque il probabile proposito di creare scompiglio tra i verbalizzanti per poi fuggire, tanto che il tentativo di fuga era poi stato posto in essere.

Per quel che attiene alle esigenze cautelari, è stato evidenziato il curriculum criminale di tutto rispettò del ricorrente ed il fatto che l’ H. avesse deciso di "fare dei reati contro il patrimonio un vero e proprio mestiere", considerazioni sostanzialmente non contraddette nel ricorso e che appaiono giustificative per fondare la decisione di mantenere il ricorrente in stato di custodia cautelare in carcere.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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