Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-12-2010) 25-01-2011, n. 2343 Reato continuato e concorso formale; Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Pisa, con sentenza dell’1/10/08, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava A.V. responsabile dei reati di cui agli artt. 81, 609 bis, 572, 582, 585 e 612 c.p., commessi in danno della figlia A.F., dal (OMISSIS), e lo condannava alla pena di anni 6 di reclusione, con applicazione di pene accessorie.

La Corte di Appello di Firenze, chiamata a pronunciarsi sugli appelli avanzati dal prevenuto e dalla parte civile, ha parzialmente riformato il decisum di prime cure, e, in accoglimento delle doglianze mosse dalla p.c. ha liquidato in favore di essa, a titolo di provvisionale, la somma di Euro 40.000,00, con conferma nel resto.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

– ha errato il giudice di merito a ritenere attendibile e credibile A.F., non considerando che detto soggetto è da considerarsi non credibile, sia per le dicotomie rinvenibili tra le varie versioni dei fatti rendicontate dalla stessa, sia perchè ulteriori contrasti sono ravvisabili raffrontando il dichiarato di essa con le ulteriori emergenze istruttorie;

– non sussiste prova che possa ritenere concretizzati i reati di cui al capo B) della imputazione;

– nè il Tribunale, nè la Corte hanno motivato in ordine alla applicazione dell’aumento di pena a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione intrinseca ed estrinseca;

– i giudici di merito hanno omesso di fornire adeguata giustificazione al diniego della applicazione delle attenuanti generiche nella massima misura.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale, adottata dal giudice di merito, si palesa del tutto logica e corretta.

I primi due motivi di impugnazione si rivelano in fatto, visto che con essi la difesa del prevenuto tende ad una rilettura delle emergenze istruttorie, in particolare delle dichiarazioni della parte offesa, il cui riesame estimativo è inibito in sede di legittimità.

Peraltro il discorso giustificativo, sviluppato dal decidente, permette di costatare che la valutazione della piattaforma probatoria è stata eseguita con metodo assolutamente corretto ed esaustivo, rilevato che il giudice ha preso in considerazione ogni singolo fatto ed il loro insieme, non in maniera parcellizzata ed avulsa dall’intero compendio probatorio, rilevando che essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, potevano essere ordinati in una costruzione, logica, armonica e consonate, tale da consentire ad esso di pervenire ad attingere la verità processuale e ad affermare la responsabilità del prevenuto in ordine ai reati ad esso ascritti, evidenziando, in maniera mirata e puntuale tutti gli elementi a supporto della attribuita attendibilità e credibilità del narrato della vittima, nonchè gli ulteriori riscontri estrinseci.

Sul punto, inoltre, si ribadisce il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale questa Corte è giudice della motivazione e della corretta applicazione della legge, e non giudice della prova.

Del pari manifestamente infondate sono le doglianze di cui al terzo e quarto motivo di ricorso: la Corte distrettuale evidenzia come le emergenze processuali abbiano permesso di costruire una immagine della figura paterna dell’imputato deprecabile, per le continue violenze poste in essere in danno della figlia, per i maltrattamenti e le lesioni arrecate alla stessa in un arco temporale che va dal (OMISSIS).

Non si ravvisa alcun vizio di motivazione nella argomentazione svolta in sentenza, anzi si ha la netta percezione della perfetta rappresentazione dei fatti, con puntuali richiami al quadro probatorio, fornita dal decidente.

In particolare, merita attenzione la doglianza attinente alla omessa concessione, nella massima estensione, delle attenuanti generiche, perchè dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la impugnata decisione emerge evidente non solo la consapevolezza del decidente di avere correttamente operato nella valutazione del materiale offertogli al fine di affermare la colpevolezza del prevenuto, ma anche il giudizio di riprovevolezza nei confronti dell’ A.. che lo stesso giudice non è riuscito a contenere nel motivare la pronuncia, così che, la ritenuta gravità dei fatti, implicitamente, ha giustificato la omessa concessione del beneficio, ex art. 62 bis. c.p. nella misura invocata: "la sfortuna di A. F. è stata quella di dovere vivere la sua adolescenza e la sua giovinezza nell’ambito di un nucleo familiare moralmente disgregato, con due genitori del tutto incapaci di educare i figli e di provvedere loro, ed anzi con il padre e con la madre indegni di convivere con i loro figli" (pag. 34 sentenza impugnata).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che l’ A. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, deve, altresì, a norma dell’art. 616 c.p.p. essere condannato al versamento di una soma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei moti dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000.00 in favore della Cassa delle Ammende; nonchè alla rifusione delle spese del grado, in favore della parte civile, liquidate in Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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