Cass. civ. Sez. V, Sent., 18-02-2011, n. 3961 Passività

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito del decesso di C.G., avvenuto in data (OMISSIS), D.R., in proprio ed in rappresentanza delle figlie G. e C.F., presentava il 10-11-1998 denuncia di successione all’Ufficio del Registro di Caserta.

In data 15-12-2000 era presentata denuncia integrativa.

L’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Caserta, notificava in data 13-3- 2001 avviso di liquidazione della imposta di successione, successivamente integrata in relazione alla denuncia aggiuntiva.

L’avviso era impugnato innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta dagli eredi, i quali sostenevano che L’Ufficio non aveva tenuto conto delle passività esposte nella denuncia del 1998.

Si costituiva la agenzia, assumendo che le passività non erano state correttamente denunciate e documentate.

La Commissione accoglieva il ricorso, affermando la deducibilità delle poste passive.

Proponeva appello la Agenzia, adducendo la violazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 23, sia per gli oneri di documentazione che per il decorso del termine triennale di cui all’ultimo comma di tale disposto di legge.

La Commissione Tributaria Regionale della Campania con sentenza n. 158/33/05 in data 21-6-2005, depositata in data 22-9-2005, respingeva il gravame, confermando la sentenza impugnata.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con un motivo.

Resistono gli eredi con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo la Agenzia deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Espone che l’Ufficio aveva dedotto in appello che gli eredi erano incorsi nella decadenza dalla possibilità di prova della esistenza di debiti deducibili ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 23, comma 4, per inutile decorso del termine triennale stabilito a tal fine, decorrente dalla apertura della successione, in quanto questa si era aperta nel 1994, alla data della morte del de cuius, laddove la denuncia di successione, primo atto in cui erano esposti i debiti di cui si chiedeva la deduzione, era stata effettuata nel 1998.

La Commissione di appello aveva del tutto ignorato tale doglianza, essenziale al fine di accertare la fondatezza della pretesa dei contribuenti. Il termine era infatti stabilito a pena di decadenza ed il Giudice avrebbe dovuto rilevarlo di ufficio, a prescindere dalla sussistenza o meno di un motivo di impugnazione.

I contribuenti nel controricorso sostengono che il motivo di impugnazione è nuovo e quindi inammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57; che la eccezione non è rilevabile di ufficio;

che in ogni caso il disposto di cui all’art. 23, comma 4 cit. non è applicabile, essendo previsto per documentare posizioni debitorie non esposte nella dichiarazione, che nella specie era stata tempestiva anche se fatta oltre il triennio dalla apertura della successione,in quanto conseguente alla formalità previste per la accettazione con beneficio di inventario.

Il motivo è fondato.

Va premesso che in tema di imposta sulle successioni, il termine di tre anni, concesso dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 23, per dedurre e dimostrare l’esistenza di passività "ancorchè non indicate" nella dichiarazione, ha carattere perentorio, in quanto costituisce un limite inderogabile al potere di deduzione e dimostrazione delle passività, al di fuori della regola generale per cui dette passività debbono essere dedotte e dimostrate fino alla presentazione della denuncia di successione (Cass. 8016/2001). La formulazione della norma è di tenore inequivoco con il far riferimento – ai fini della dimostrazione di deducibilità – ai debiti "ancorchè non indicati" nella dichiarazione; tale espressione perciò comprende anche i debiti già indicati ed il termine di legge opera in relazione alla prova di ogni passività enunciata o meno nella dichiarazione. (v. Cass. n. 11147 del 2006, n. 11216 del 2007, n. 6957 del 2008).

La tesi del ricorrente secondo cui l’art. 23 cit. riguarderebbe soltanto i debiti mai enunciati in dichiarazione, mentre non si applicherebbe per quelli in questa già indicati, non è sostenuta nè dal testo nè dalla ratio della norma citata, che subordina l’esistenza di debiti deducibili – siano stati o meno indicati in dichiarazione – a prove predeterminate da produrre nel termine di cui sopra.

Pertanto è irrilevante il tempo di presentazione della dichiarazione di successione e la sua tempestività o meno rispetto alla cadenza temporale imposta per tale adempimento, in quanto il termine di cui in oggetto è svincolato dalla denuncia e prescinde da questa.

Da tale enunciato discende, in primo luogo, che il termine è stabilito a pena di decadenza.

A tale proposito, occorre rammentare che in materia tributaria, la decadenza del contribuente dall’esercizio di un potere nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in quanto stabilita in favore di quest’ultima ed attinente a situazioni da questa non disponibili – perchè disciplinata da un regime legale non derogabile, rinunciabile o modificabile dalle parti -, è rilevabile anche d’ufficio. Ne consegue che, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, e dell’art. 345 c.p.c., comma 2, è deducibile per la prima volta in appello (Cass. Sez. Un. n. 19854 del 2004; Cass, n. 1605 del 2008; Cass. n. 9511 del 2009).

Sussiste pertanto il denunciato vizio di omessa pronuncia, e di conseguenza la sentenza deve essere cassata, con rinvio a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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