Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-02-2011, n. 4216 Prelazione e riscatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il D.C., vantando il diritto di prelazione rispetto ad un immobile ad uso commerciale da lui condotto in locazione, citò in giudizio per il riscatto gli acquirenti P. ed O..

Questi ultimi chiamarono in giudizio il Pa. e la C., già locatori dell’immobile e venditori dello stesso. Disposto il mutamento del rito, il Tribunale di Salerno respinse la domanda, con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello della stessa città. In particolare, il giudice d’appello ha ritenuto che: alcune questioni (quella relativa al contenuto della lettera raccomandata e quella relativa ai soggetti che avrebbero dovuto sottoscrivere la denuntiatio) erano inammissibili per tardività; che, in ogni caso, la denuntiatio doveva essere sottoscritta dal solo locatore; che il termine decadenziale per l’esercizio del riscatto era rimasto inosservato; che il conduttore aveva omesso di provare "l’esistenza del contatto diretto col pubblico degli utenti e dei consumatori".

Propone ricorso per cassazione il D.C. a mezzo di tre motivi. Rispondono con controricorso il P. e la O..

Motivi della decisione

Il primo motivo è inammissibile.

In appello il D.C. ha introdotto la questione attinente al fatto che la raccomandata che si assumeva contenere la denuntiatio era pervenuta sotto forma di busta priva di contenuto, laddove sarebbe spettato ai mittenti-venditori provarne il contenuto effettivo. Il giudice d’appello (confermando sul punto la prima sentenza) ha ritenuto la questione inammissibile, siccome tardiva (il disposto mutamento di rito non autorizzava il conduttore a proporla).

Il ricorrente trascrive due righe dell’atto introduttivo della controversia (le nn. 21 e 22 della prima pagina) e sostiene che attraverso l’interpretazione di queste il giudice avrebbe dovuto desumere la tempestività della questione stessa.

In primo luogo deve rilevarsi che il motivo non è autosufficiente, in quanto quel brevissimo brano trascritto, avulso dal contesto complessivo dell’atto introdutti-vo, non è idoneo a dimostrare le conseguenze alle quali il ricorrente intende pervenire. In secondo luogo, egli stesso ne fa una questione interpretativa, il che comporta che avrebbe dovuto (come invece non ha fatto) enunciare i canoni ermeneutici legali che ritiene essere stati violati.

Il secondo motivo è infondato.

Il ricorrente, premesso che l’immobile in questione era di proprietà del Pa. e di sua moglie C.N., sostiene che la denuntiatio avrebbe dovuto essere sottoscritta non solo dal primo (come è avvenuto), ma anche dalla seconda; che, comunque, il primo avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di una valida procura della moglie; che, dunque, il termine d’esercizio del diritto di prelazione (che, nella specie, il giudice accerta essere rimasto inosservato) si sarebbe dovuto far decorrere da una eventuale ratifica.

Correttamente la sentenza impugnata rileva in proposito che il contratto di locazione è intervenuto tra il solo Pa. ed il D.C., sicchè la denuntiatio è stata validamente sottoscritta dal solo contraente-locatore, posto che il diritto di prelazione (benchè tutelato con l’efficacia reale dell’eventuale, successivo riscatto) è pur sempre collegato al rapporto contrattuale obbligatorio di locazione-conduzione, al quale, nella specie, la comproprietaria C. è rimasta estranea.

Il terzo motivo concerne il punto della sentenza in cui s’afferma che il D.C. ha omesso di provare l’effettivo utilizzo del bene per un’attività che abbia comportato il diretto contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori. Sostiene il ricorrente che in tal modo il giudice d’appello avrebbe invertito l’onere della prova, la quale, invece, incombeva sulla controparte.

Il motivo è inammissibile per mancanza d’interesse. Infatti, la principale ragione del decidere della sentenza impugnata consiste nell’accertamento del mancato, tempestivo esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore. L’ulteriore questione attinente alla prova dell’esistenza del contatto con il pubblico è corroborante ed ausiliaria rispetto alla prima. Sicchè, respinti i motivi attinenti a quest’ultima, il ricorrente non ha più interesse alla delibazione dell’altra.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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