Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-11-2010) 25-01-2011, n. 2386 Armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Propone ricorso per Cassazione B.M. avverso la ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro in data 27 maggio 2010 con la quale – in sede di rinvio dopo annullamento della Cassazione limitato alle contestazioni di duplice omicidio aggravato in danno F.G. e C.V. e reato connesso concernente le armi (capi 6 e 6 bis)- è stata nuovamente confermata la ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere. La 1^ sez. di questa Corte di Cassazione era stata investita del ricorso contro l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro che aveva confermato il provvedimento coercitivo con riferimento anche ad una serie ulteriore di reati e precisamente quello di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, di omicidio aggravato in concorso commesso ai danni di Ci.Sa. e reati connessi concernenti la disciplina sulle armi, nonchè infine, quelli in esame, di omicidio ai danni di F. e C. e reati satelliti concernenti il porto delle armi utilizzate nell’agguato mortale.

Peraltro i giudici di legittimità avevano evidenziato che l’intero costrutto accusatorio, costituito essenzialmente dalle convergenti dichiarazioni di due collaboratori di giustizia ( P. e Cu., entrambi appartenenti a consorterie di ‘ndrangheta calabrese alleate fra loro ma in lotta armata, per la supremazia sul territorio, contro gruppi tra i quali quelli di riferimento per il F.) era da ritenersi bene motivato dai giudici del riesame quanto all’omicidio di Ci.; invece la convergenza delle dichiarazioni dei detti collaboratori (entrambi anche accusatisi di partecipazione a diverse fasi preparatorie e/o attuative dei fatti delittuosi) appariva incrinata, nella sua ulteriore valenza dimostrativa, dal fatto che la difesa aveva prodotto un certificato della casa circondariale di Catanzaro attestante che il Cu., alla data di commissione e di affermata partecipazione al delitto di F. ((OMISSIS)) si trovava ristretto in carcere.

La Cassazione annullava pertanto sul punto il provvedimento impugnato, chiedendo la valutazione del documento e la sua compatibilità con le dichiarazioni accusatorie in precedenza valorizzate. li Tribunale del riesame, in sede di rinvio, riceveva dal PM una annotazione del DAP attestante che il Cu. alla data di interesse, era libero e il Tribunale del riesame chiedeva, nuovamente al DAP, una certificazione dettagliata sulle date e le causali dei periodi di restrizione subiti dal Cu., ricevendo un documento dal quale ancora una volta si desumeva che il Cu., alla data di consumazione del duplice omicidio, era libero.

Il Tribunale del riesame, pertanto, riproduceva, convalidandola, la motivazione esibita nel provvedimento annullato, ritenendola emendata del tutto dal dubbio sulla credibilità del Cu. che derivava, come sottolineato dalla Cassazione, dalla esistenza del certificato sulla sua detenzione in carcere alla data in cui, viceversa, egli aveva affermato di avere partecipato al duplice delitto.

Deduce il difensore:

1) la violazione degli artt. 627 e 623 c.p.p..

Il giudice del rinvio, una volta conseguita la certificazione inerente al tema che aveva suscitato il verdetto della Cassazione, avrebbe dovuto considerare che il DAP ben poteva non essere stato informato di periodi di detenzione invece registrati presso la casa circondariale, con la conseguenza che gli stessi giudici avrebbero dovuto disporre un supplemento di indagine sul punto e verificare la effettiva esaustività e completezza della informazione proveniente dal Dipartimento.

In secondo luogo, non potendo sciogliere il dubbio, avrebbero dovuto applicare il principio dell’"in dubio pro reo" e non quello esattamente opposto, esibito nella ordinanza impugnata.

2) la violazione degli artt. 273 e 192 c.p.p..

I giudici del rinvio, anche superata la questione devoluta espressamente dalla Cassazione, avrebbero dovuto comunque vagliare tutti gli aspetti critici che la difesa aveva portato all’esame del giudice della legittimità e che questi non aveva preso in considerazione, ritenendo assorbente la questione della attendibilità di Cu..

In particolare era stata contestata la attendibilità estrinseca del racconto del P. sul ruolo svolto dal B. nell’agguato: infatti questi avrebbe dovuto comunicare a chi aveva promosso l’agguato, P.E., informazioni sulla autovettura sulla quale viaggiava la vittima, ma non era stata acquisita prova di tale comunicazione; nemmeno era stato dimostrato che il B., come riferito dal P., si fosse occupato dell’occultamento dell’auto impiegata per compiere l’azione di fuoco.

Era stato ignorato che la chiamata di correo del P. era "de relato", per avere egli riferito alle autorità fatti appresi da P.E., deceduto nelle more. Era quindi doveroso un maggior onere dimostrativo riguardo agli elementi di riscontro.

Non era poi stato trattato dal Tribunale del riesame, ancora sotto il profilo della attendibilità dei collaboratori, il fatto che costoro avessero indicato, quale orario dell’agguato, quello del primo pomeriggio (ore 16 circa) mentre gli atti di PG avevano evidenziato che era avvenuto alle ore 18.

Ulteriore profilo di inattendibilità, tra gli altri, questa volta concernente personalmente il Cu., derivava dall’avere questi affermato di avere preso parte a riunioni preparatorie dell’agguato – consumato il (OMISSIS) – assieme a G.M., il quale però, nel periodo di interesse e precisamente tra il (OMISSIS), era stato ristretto in carcere. Talune affermazioni del Cu. erano anche illogiche poichè facevano riferimento a colloqui con un congiunto del C. al bar, la sera del delitto, quando notoriamente i (OMISSIS), i lutti per le scomparse dei congiunti sono vissuti in famiglia e non al bar.

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

In primo luogo è da escludere qualsiasi vizio di motivazione riguardo al punto specifico demandato dalla Cassazione al vaglio del giudice del rinvio e cioè l’accertamento sulla effettività o meno dello stato di detenzione del Cu. nel periodo in cui costui ha dichiarato di avere preso parte al duplice omicidio del quale, poi, ha accusato anche il ricorrente.

Il Tribunale si è affidato ad una attestazione che fondatamente ha dichiarato del tutto dettagliata del DAP al riguardo, della quale non si riesce ad immaginare la incompletezza con riguardo a fatti risalenti a parecchi anni prima e pertanto da ritenere acquisiti alle memorie informatiche della amministrazione centrale. D’altra parte, la contraria attestazione della Casa circondariale, che risulta essere stata sottoposta ad indagine con riferimento al reato di falsità ideologica, appare ancora una volta richiamata dalla difesa senza la indicazione di elementi di fatto che valgano a contrastare efficacemente la plausibile conclusione raggiunta dal Tribunale del riesame, elementi che ben avrebbero potuto essere indotti con riferimento alla causale di tale preteso stato di restrizione.

Non si è fatta pertanto applicazione di una presunzione di colpevolezza contra reum posto che il giudice del merito ha motivato sul raggiunto convincimento riguardo alla infondatezza dell’elemento addotto dalla difesa e solo con una motivazione tuzioristica e inutile nella economia del provvedimento, ha alluso alle possibili conseguenze di un ipotetico dubbio sul punto.

Il secondo motivo di ricorso è pure manifestamente infondato. La difesa lamenta mancate motivazioni su elementi di fatto che inficerebbero la credibilità dei racconti di ciascuno dei due chiamanti in correità. La stessa difesa non tiene conto però che proprio la acquisizione di due convergenti dichiarazioni di altrettanti chiamanti in correità sul nucleo essenziale della vicenda, costituito dal duplice fatto omicidiario e dalla sua riferibilità anche al ricorrente, e ostituisce l’asse p orlante della motivazione esibita dal giudice del merito, in conformità con regole di giudizio riguardanti tal genere di dichiarazioni ed in assenza di elementi indizianti che inficino seriamente la affermata credibilità dei due.

Invero ha affermato la giurisprudenza di questa Corte che le dichiarazioni accusatorie rese da due collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (Rv. 230592; Rv. 190656). In primo luogo risulta infatti adeguatamente motivato (alla luce del tenore del la conversazione avvenuta in carcere tra P.D., detenuto per omicidio, e suo fratello E.) il movente del delitto, da ricondursi alla contrapposizione tra le contrapposte organizzazioni di ‘ndrangheta facenti capo, da un lato, alla famiglia dei P. alleatasi con gli ascendenti A. e, dall’altra quella di riferimento per F., appartenente al gruppo storico di (OMISSIS).

In secondo luogo gli elementi indiziari a carico del B. sono stati rintracciati nella chiamata in correità operata da P. e nelle dichiarazioni spontanee di Cu., oltre che nella detta conversazione al carcere.

Risulta peraltro inammissibilmente versata in fatto e non apprezzabile in questa sede perchè non circostanziata, la tesi della difesa, difesa secondo cui il P. avrebbe riferito agli inquirenti eventi appresi de relato ossia da P.E..

Risulta al contrario attestato nella ordinanza impugnata che P. ha riferito sia condotte tenute in prima persona che eventi, sulle modalità di partecipazione anche degli altri complici, che egli conosceva per avere preso parte a riunioni preparatorie(pag.

5).

Ebbene, la duplice chiamata in correità verte, tra l’altro, proprio sul ruolo avuto dal B. nella preparazione ed esecuzione del duplice delitto con armi, avendo, ciascuno dei collaboratori affermato che il B. aveva avuto il compito, dapprima di seguire il F. convincendolo ad accettare un falso appuntamento con la scusa di concordare nuovi equilibri delle cosche del territorio, e, poi, una volta fissato l’incontro, di comunicare a P.E. – tramite un apparecchio cellulare appositamente fornitogli- il tipo di auto su cui viaggiava la futura vittima , auto che poi avrebbe dovuto far sparire.

Sovrapponibili sono state considerate dal giudice del merito le omologhe dichiarazioni di Cu. il quale, chiamando in causa anche sè stesso, ha riferito in ordine al coinvolgimento del B., incaricato di seguire la potenziale vittima e poi della comunicazione, ricevuta dallo stesso B. (il quale proprio ad esso Cu. aveva delegato la funzione di controllo del F.) che era stato deliberato dai Pe. il passaggio alla fase esecutiva. Il compito del B. anche in tale fase era quella dell’avvistamento dell’auto della vittima, avvistamento che, come al solito, quello aveva delegato al Cu. che di tanto si era occupato.

Si è dunque in presenza di una duplice e convergente chiamata di correo che, alla stregua dell’art. 192 c.p.p. è sufficiente a sostanziare, dal punto di vista indiziario, la applicazione della misura cautelare, essendo integrato il requisito della esistenza di riscontro obiettivo individualizzante atto a legare il chiamato all’evento delittuoso oggetto della chiamata. Il tutto, ovviamente, secondo lo standard indiziario richiesto dalla natura del provvedimento adottato.

Sugli elementi addotti dalla difesa e riportati nel ricorso la mancanza di motivazione non appare meritevole di censura posto che, come detto, si tratta di controdeduzioni non capaci di incidere seriamente sulla ritenuta attendibilità dei chiamanti in correità.

Il fatto che non vi sia prova della comunicazione, da parte del B., circa l’auto su cui viaggiava la vittima o dell’occultamento dell’auto usata per l’agguato, infatti, non inficia la credibilità del racconto dei due collaboratori posto che ben può imputarsi ad una lacuna delle indagini: evenienza diversa sarebbe stata quella della dimostrata falsità delle dette affermazioni dei collaboranti, derivante da una prova o da un indizio positivi di segno opposto atteso che la coerenza intrinseca ed estrinseca di un racconto va valutata alla stregua di elementi obiettivi e non di suggestioni.

Anche la circostanza dedotta con riferimento allo stato di restrizione del G., che così non avrebbe potuto prendere parte alle riunioni preparatorie dell’omicidio, non coglie nel segno posto che si tratta di una obiezione che reca in sè l’elemento di contraddizione e non appare dunque decisiva. Infatti, posto che l’omicidio è avvenuto il (OMISSIS), non appare chiaro in quali termini la restrizione del G. dal 5 al 18 marzo (peraltro solo enunciata) avrebbe dovuto essere impeditiva della partecipazione dell’uomo a talune dai preparatorie di cui non è rigorosa la collocazione nel tempo.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 1000.

Manda la Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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