Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-11-2010) 25-01-2011, n. 2384 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il GUP presso il Tribunale di Roma ha emesso, in data 13.4.2010, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., sentenza di NLP nei confronti di N. A. perchè il fatto a lei ascritto non costituisce reato e nei confronti di S.A., M.P., C. A., L.P., Lo.Ni., C.P. G., F.P., Bi.Lu., P.R., Ch.Gi.Ma., B.M. in ordine ai reati loro relativamente ascritti perchè il fatto non sussiste.

N.A., all’epoca parlamentare di Alleanza Nazionale, è imputata di diffamazione aggravata e continuata a mezzo stampa in danno di La.Al., procuratore della repubblica presso il Tribunale di Vibo Valentia, per aver rilasciato più dichiarazioni all’agenzia ANSA, dichiarazioni, in ipotesi di accusa, lesive della reputazione del predetto.

Sgherri, giornalista dell’ANSA, è imputato del medesimo reato, Ba. del delitto ex art. 57 c.p. in relazione alla condotta di S., Co., giornalista del quotidiano (OMISSIS), è imputato di diffamazione a mezzo stampa del La. e del reato ex art. 684 c.p. e art. 144 c.p.p. per aver pubblicato il contenuto di intercettazioni telefoniche disposte nel corso di attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, L. del delitto ex art. 57 c.p. in relazione alla condotta del Co., F., giornalista della (OMISSIS) è imputato di diffamazione a mezzo stampa in danno del La.; del medesimo reato (ma con riferimento ad altro articolo pubblicato sul medesimo giornale) è imputato Lo., nonchè del reato ex art. 684 c.p. e art. 114 c.p.p. (come Co.), C. del delitto ex art. 57 c.p. in relazione alla condotta di Fr.e.Loprejato,. B., giornalista del (OMISSIS), è imputato di diffamazione a mezzo stampa in danno del La., P. del delitto ex art. 57 c.p. in relazione alla condotta del Bi., Ch., giornalista del (OMISSIS), è imputato di diffamazione a mezzo stampa in danno del La. e B. del delitto ex art. 57 c.p. in relazione alla condotta del Ch..

I fatti sono contestati come commessi nel (OMISSIS).

Il GUP ha ritenuto: a) che per N. fosse operante la insindacabilità ex art. 68 Cost. e L. n. 140 del 2003, art. 3, sussistendo il ed nesso funzionale tra la sua attività di parlamentare e le dichiarazioni rilasciate all’ANSA (e "rilanciate" dagli altri giornali), b) che per i giornalisti fosse operante la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, essendosi, in sintesi, gli stessi limitati a pubblicare stralci delle dichiarazioni (e quindi sostanzialmente di un’intervista) della N., c) che conseguentemente il delitto di omesso controllo da parte dei direttori delle relative testate giornalistiche fosse insussistente, non essendosi verificato l’evento (il delitto di diffamazione) che, con la loro condotta omissiva, essi non avrebbero impedito.

Tale decisione è impugnata (con "appello" riqualificato correttamente, nell’ordine di trasmissione, ricorso) dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e con ricorso per Cassazione dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma. Il Primo lamenta che le avventate affermazioni della on. N. hanno certamente leso la reputazione e il decoro del Procuratore della Repubblica presso il, Tribunale di Vibo Valentia.

La predetta, in quanto componete della Commissione parlamentare antimafia, non poteva ignorare quali sono le sfere di competenza degli organi giudiziari in campo penale. Conseguentemente non si può non ritenere che le sue immotivate accuse al La. siano state formulate in esecuzione di una precisa volontà denigratoria.

Le affermazioni sono non rispondenti al vero.

La parlamentare aveva la possibilità e il dovere di documentarsi meglio. La esimente ex art. 68 Cost. non sussiste con riferimento ad affermazioni non rispondenti al vero. Inoltre, perchè possa parlarsi di insidacabilità delle dichiarazioni extra moenia e quindi di nesso funzionale, è necessario, non solo che tra la attività parlamentare e quella svolta fuori vi sia connessione, ma anche che le esternazioni siano vicine nel tempo, cosa che nel caso in esame non si verifica, atteso che le dichiarazioni all’ANSA sono precedute da iniziative della on. N. che risalgono al 2003, al 2005 o al febbraio 2006. Altre sono addirittura posteriori (maggio 2007).

Quanto ai giornalisti e ai direttori dei relativi quotidiani, non può farsi a meno di rilevare che essi hanno pubblicato notizie false, assorbendo acriticamente le dichiarazioni della N., non sottoponendole ad alcun controllo, assumendo, solo in apparenza, una posizione di neutralità ed equidistanza, ma, in realtà, fungendo da vera a propria cassa di risonanza dei messaggi denigratori che la parlamentare ha lanciato nei confronti del La.. Certo poi non si può parlare di diritto di critica in quanto la critica deve pur trovare riscontro in una corretta e veritiera riproduzione della realtà fattuale. Anche nel prosciogliere alcuni giornalisti dal reato ex art. 684 c.p. – art. 114 c.p.p. il GUP ha violato la legge, confondendo il momento in cui il contenuto delle intercettazioni, in quanto reso noto alla difesa, cessa di essere processualmente coperto, con il momento in cui esse possono essere pubblicate sulla stampa.

Il Procuratore generale deduce violazione di legge in quanto il &UP sostiene che le esternazioni della on. N. non sarebbero state dirette a screditare il La., per poi aggiungere che le stesse, a ogni buon conto, sono "coperte" da collegamento funzionale con l’attività parlamentare della predetta. In realtà, non possono farsi rientrare nella prerogativa della insindacabilità le dichiarazioni che possano vantare un collegamento meramente soggettivo, in quanto semplicemente poste in essere da un soggetto che è parlamentare. Le dichiarazioni della N. poi non rispondono alla obiettiva verità dei fatti e dunque non possono neppure ricondursi al legittimo esercizio del diritto di critica. Il GUP trascura di ricordare che le indagini gestite per competenza ex art. 11 c.p.p. dalla Procura Repubblica Salerno sono state originate da una lunga e complessa attività di accertamento iniziata proprio dalla Procura Repubblica Vibo Valentia e che dunque non si può accusare quel Procuratore di inerzia o peggio di collusione con chicchessia. Stesse considerazioni devono essere fatte sui giornalisti, i quali non possono invocare la scriminante del diritto di cronaca, atteso che il cronista non può limitarsi a riportare le affermazioni del parlamentare, senza operare i doverosi riscontri e accertamenti. Entrambi i ricorsi sono infondati e meritano rigetto.

L’art. 68 Cost. (e la L. n. 140 del 2003, art. 3) non introducono nell’ordinamento una causa di giustificazione, ma una mera causa di non punibilità (ASN 200815323-RV 239481; ASN 200743090-RV 238494, contro ASN 200638944-235332). Dunque la insindacabilità parlamentare trova applicazione sempre all’interno degli istituti parlamentari e, in presenza del c.d. nesso funzionale, anche all’esterno, anche se, in tema di diffamazione, non vengono rispettati i tre parametri che, per jus receptum, devono connotare l’esercizio del diritto di cronaca (e, con qualche precisazione, anche di quello di critica): il rispetto della verità, la rilevanza sociale e la continenza.

Non è dunque esatta l’affermazione contenuta nel ricorso del Procuratore della Repubblica, in base alla quale l’esimente ex art. 68 Cost. non si applica alle espressioni non rispondenti al vero.

E ciò non perchè il parlamentare abbia il diritto di mentire (nel nostro ordinamento tale "diritto" è riconosciuto, entro certi limiti, solo all’imputato), ma perchè ha diritto di non esser perseguito anche se ha mentito e se, mentendo, ha diffamato taluno;

sempre, si intende, che ciò abbia fatto nell’esercizio delle sue funzioni.

Per tale ragione, la causa di non punibilità predetta è stata accostata alla c.d. immunità giudiziale ex art. 598 c.p., immunità strettamente funzionale al libero esercizio del diritto di difesa (come l’altra è funzionale all’esercizio della attività parlamentare intra moenia e, in determinate condizioni, anche extra moenia).

Se dunque l’on. N. ha, nella sua denunzia, sovrapposto i ruoli di PM e di GIP, ciò è un fatto davvero singolare, provenendo le affermazioni da una componete della Commissione antimafia, da una persona la quale, dunque, dovrebbe avere ben presenti le distinzioni e le attribuzioni tra i vari uffici giudiziari, ma, che si tratti di errore o di callida e dolosa "confusione" che ha generato discredito per il Procuratore di Vibo Valentia, la cosa resta penalmente irrilevante, se "coperta" dal dispositivo dell’art. 68 Cost..

Al proposito, il GUP ha ritenuto la sussistenza del c.d. nesso funzionale tra la attività svolta dalla N. all’interno degli organismi parlamentari e quella veicolata verso l’esterno, anche attraverso interviste rilasciate a più di un giornalista.

E’ rimasto accertato in punto di fatto (non è negato neanche dai ricorrenti) che nel 2006 e negli anni precedenti (come in quelli successivi) la predetta parlamentare si era occupata diffusamente delle problematiche inerenti la gestione degli Uffici giudiziari in Calabria, anche in relazione all’arresto di un magistrato, presidente della sezione civile del Tribunale di Vibo Valentia, per sospette collusioni con ambienti mafiosi.

Al proposto il GUP rileva che la N. lancia accuse piuttosto generalizzate sugli uffici giudiziari di Vibo, addossando (con una qualche approssimazione "tecnica", evidentemente) alla Procura la responsabilità di alcune archiviazioni e della quasi completata restituzione a un boss di ndrangheta di un immobile sequestrato tempo prima.

Emerge dagli atti che la predetta parlamentare, in data 9.2.2006, aveva presentato interrogazione al Ministro della Giustizia per conoscere per qual motivo fossero stati restituiti, un mese dopo il sequestro, beni a un capomafia, in base a un "cavillo giuridico".

In altra occasione, la parlamentare espresse il suo sconcerto per il fatto che tale Ma.Pa., "personaggio" evidentemente di rilievo, era stato ricoverato, lasciando il carcere, in ospedale e autorizzato a recarsi a visita odontoiatrica.

La N. poi accusa la Procura di Vibo di avere ottenuto scarsi risultati pratici e di non contrastare con efficacia la ndrangheta, rilevando che la Procura di Catanzaro, "lavorando sugli stessi documenti" archiviati da quella di Vibo, aveva fatto emergere fatti penalmente rilevanti.

Sulla base di tali elementi, il giudicante ha ritenuto, si diceva, la sussistenza del nesso funzionale tra la attività intra e quella extra moenia della parlamentare predetta.

L’assunto, a ben vedere, non è efficacemente contrastato dagli impugnanti.

Il primo di essi, dopo la irrilevante notazione sulla non veridicità (rectius. non precisione) delle dichiarazioni della N., aggiunge che la attività parlamentare "connessa" a quella extra parlamentare sarebbe troppo risalente nel tempo (ma trattasi di valutazione manifestamente infondata, avendo, come si è premesso, la N. da lungo tempo e, almeno, fino a tutto il 2007 insistito in Parlamento su questi temi).

Il secondo rileva che proprio a seguito dell’input investigativo proveniente dalla Procura di Vibo, altro ufficio del PM (quello di Salerno) era stato in grado di sviluppare concludenti indagini.

Conseguentemente, conclude, accusare il Procuratore calabrese di inerzia o collusione costituisce attività diffamatoria.

Il che, osserva questo Collegio, ben può esser vero, ma, in tal caso, per il motivo sopra anticipato (operatività dell’art. 68 Cost.), senza alcuna conseguenza penale.

Quanto alla attività dei giornalisti, il giudicante ritiene correttamente che essa sia scriminata in base al diritto di cronaca.

Riportare e diffondere attraverso i media le dichiarazioni di un’autorevole parlamentare su fatti di indubbia rilevanza costituisce, in base all’arresto giurisprudenziale di cui SS.UU. sent. n. 37140 del 2001, ric. Galiero, RV 219651) esercizio, appunto, del diritto di cronaca.

Sostengono i ricorrenti che i giornalisti avrebbero svolto funzione di "cassa di risonanza" per le denigratorie affermazioni provenienti dalla N., non avendo assunto la doverosa posizione di neutralità che la giurisprudenza richiede.

Trattasi però di affermazione apodittica che i ricorrenti non ancorano ad alcun dato fattuale.

Dunque, se è pur vero che la causa di non punibilità ex art. 68 Cost. non si "comunica" dal parlamentare al concorrente (e certo non al giornalista che diffonda sic et simpliciter la notizia diffamatoria sui mezzi di informazione: cfr. ASN 200743090-RV 238494, oltre alla già ricordata ASN 2OO815323-RV 239481), non di meno il "diffusore mediatico" deve ritenersi operante in presenza di una causa di giustificazione (diritto di cronaca) se la pubblicazione della notizia avviene con le modalità dell’intervista, come individuate dalla ricordata pronunzia delle SS.UU. Quanto al reato ex art. 684 c.p. e art. 144 c.p.p., la relativa condotta deve ritenersi insussistente, se è vero, come è vero, che i giornalisti appresero le notizie, non direttamente dalle fonti processuali, ma indirettamente, attraverso la interrogazione parlamentare della N..

Poichè poi i delitti commessi col mezzo della stampa, rappresentano l’evento del delitto omissivo ex art. 57 c.p., consegue che in assenza dei primi, non può ritenersi realizzato il secondo (tra le altre: ASN 200319827-RV 224404).

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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