Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-11-2010) 25-01-2011, n. 2361 Aggravamento delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il TdR di Campobasso, con provvedimento del 28.7.2010, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di C.A., sottoposto a custodia carceraria in quanto indagato con riferimento ai reati ex artt. 416, 600, e 601 c.p. e altro.

Ricorre per cassazione il difensore, che, dopo aver integralmente trascritto (per 12 pagine) la istanza di revoca di misura cautelare a suo tempo sottoposta al GIP, deduce violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale in quanto il TdR non ha tenuto conto che questo indagato svolgeva semplici mansioni di barista all’interno del locale nel quale, asseritamente, le ragazze straniere si prostituivano.

Egli percepiva uno stipendio mensile e, per altro, il suo rapporto di lavoro cessa traumaticamente, essendo stato licenziato.

Il Collegio cautelare non tiene conto affatto di tali deduzioni nè di quanto sostenuto e dimostrato in tema di esigenze cautelari.

Viceversa esso ha considerato le modalità del fatto e le sue circostanze sotto due aspetti: prima sul piano della gravità, poi su quello della valutazione della personalità del soggetto, il che non è consentito.

La documentazione prodotta dalla difesa consente di escludere con certezza che il C., una volta tornato in libertà, possa reinserirsi nella associazione di cui al capo A).

Invero per sostenere la sussistenza della esigenza art. 274 c.p.p., ex lett. C) il giudicante deve motivare in ordine alla personalità dell’indagato, desumendola da comportamenti concreti, diversi però dalle modalità e circostanze del presunto reato.

Ebbene la condotta, precedente e successiva ai fatti di causa, tenuta dal C. è stata irreprensibile.

Lo stesso poi è incensurato.

Il TdR inoltre ha prodotto motivazione carente anche perchè non ha minimamente preso in considerazione la documentazione prodotta dalla difesa del ricorrente e perchè ha fatto prevalere sulla prova documentale il contenuto (di incerta interpretazione) di alcune conversazioni intercettate.

In ogni caso manca qualsiasi motivazione in ordine al concreto pericolo di reiterazione dei reati.

Il ricorso è inammissibile.

Invero, in tema di sussistenza di gravi indizi, esso è generico in quanto non tiene conto delle considerazioni espresse al proposito nell’ordinanza.

I giudici cautelari non hanno affatto ignorato le produzioni documentali difensive, ma le hanno ritenute irrilevanti a fronte di altri elementi adeguatamente valorizzati.

E’ stato infatti messo in rilievo che il ricorrente dava "ordini" alle ragazze, giungendo a dire loro persino come dovevano vestirsi, che le controllava – attraverso la sua compagna E. – anche nelle ore in cui non si dedicavano al "lavoro", che minacciò tale I. per la sua condotta indisciplinata, che usò violenza fisica a tale M. perchè rifiutava di darsi a un "cliente", che sollecitava gli uomini che erano affluiti nel night per avere contatto con le ragazze a pagare per le prestazioni sessuali che richiedevano, che, colloquiando telefonicamente col fratello, esprimeva la considerazione che era opportuno che i pagamenti avvenissero in contanti e mai col bancomat, mentre, in altra occasione, mostrò preoccupazione per gli eventuali controlli della Polizia.

A fronte di tali emergenze, il TdR ha del tutto svalutato (certo non irragionevolmente) il dato formale consistente nel fatto che C. A. risultava lavoratore dipendente nell’impresa del fratello Ca.An., che egli percepiva una busta paga e che, a un certo punto, risulta essere stato licenziato.

Il TdR invero trae motivatamete la conclusione che il ricorrente fosse un partecipe della attività imprenditoriale del ritrovo (OMISSIS) e che curasse in particolar modo il coordinamento, l’incasso e la "disciplina" della attività di prostituzione che in detto locale si svolgeva o si programmava.

Quanto alle esigenze cautelari, il ricorso è manifestamente infondato.

E’ infatti ormai jus receptum il principio in base al quale, ai fini del giudizio sulla pericolosità dell’indagato, è legittima e doverosa la valutazione del giudice di merito delle specifiche modalità e circostanze del fatto, le quali possono rivestire una duplice valenza e, pertanto, assumere rilievo, oltre che sul piano della gravità del fatto, anche su quello dell’apprezzamento della capacità a delinquere, considerato che la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico, assai significativo per valutare la personalità dell’agente. (ASN 200508429-RV231170; ASN 200222121-RV 222242; ASN 200145542-RV 220331).

Insomma è del tutto evidente che la pericolosità sociale dell’indagato ben può essere desunta sia dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, sia dalla personalità dell’indagato, evidenziata congiuntamente dalle modalità del comportamento nell’esecuzione del reato e da precedenti condanne subite.

Dunque le stesse modalità di commissione dei gravissimi reati per i quali il ricorrente è sottoposto a indagine (reati che si sostanziano nell’esercizio di intensissima violenza fisica e/o psicologica nei confronti di persone in stato di evidente "minorata difesa" per le condizioni ambientali nelle quali sono costrette a vivere) vengono assunte dal TdR come sintomatiche del pericolo di reiterazione dei reati.

La esistenza di una stabile struttura criminosa, le – conseguenti – modalità "professionali" di gestione della attività illecita, la presumibile attrattiva derivante dalla natura evidentemente lucrosa della attività esercitata, la mancanza di intenti collaborativi o di momenti di resipiscenza sono elementi che il Collegio cautelare ha adeguatamente valutato per giungere alle sue conclusioni.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue condanna del ricorrente alle spese del grado e al versamento di somma a favore della Cassa Ammende.

Si stima equo determinare detta somma in Euro 500,00.

Deve farsi luogo alle comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di cinquecento Euro a favore della Cassa delle Ammende.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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