Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 03-11-2010) 26-01-2011, n. 2566

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.F., P.E., B.M., R. A. e Ro.An., venivano condannati dal Tribunale di Treviso, all’esito di giudizio svoltosi con il rito abbreviato, alle pene ritenute di giustizia in relazione ai reati loro rispettivamente contestati. Nella sentenza del Tribunale la sequenza dei fatti addebitati agli imputati risultava descritta come segue: era stato predisposto un servizio di pedinamento ed osservazione, coordinato tra le Squadre Mobili delle Questure di Roma e di Treviso ed i Carabinieri del Comando Provinciale di Arezzo, mirato al contrasto del fenomeno criminale dei furti in gioiellerie commessi con la tecnica cd. "del buco" da un banda specializzata, alla quale si sospettava appartenessero proprio gli imputati; il R. era stato pedinato dal momento della sua partenza da (OMISSIS), all’alba del (OMISSIS), a bordo dell’auto Volvo tg. (OMISSIS), e poi per l’intero tragitto, fino all’arrivo a (OMISSIS) avvenuto verso le ore 11 dove, dopo aver parcheggiato l’auto, si era incontrato con il Ro. e con il B.; i tre si erano trattenuti quindi a lungo in (OMISSIS) – dove era in corso il mercato settimanale – percorrendo continuamente la zona e parlando frequentemente ai rispettivi telefoni cellulari, concentrando quindi la loro attenzione sulla vetrina della gioielleria "Antichità al Grano" ubicata al civico n. (OMISSIS) tenendola costantemente sotto osservazione; verso le ore 12,15 gli operanti avevano visto l’ A. ed il P., con due borsoni, introdursi con mossa fulminea, attraverso il portoncino di ingresso, all’interno dello stabile corrispondente al civico n. (OMISSIS) adibito a studio medico, a quell’ora aperto al pubblico; verso le 14, 30, allorchè la folla di visitatori del mercato si era diradata, gli operanti avevano visto, contestualmente all’arrivo in zona di una Volante della Polizia – in prossimità dell’incrocio tra via (OMISSIS) – il R., il Ro. ed il B., i quali erano all’esterno dello stabile, scambiarsi alcuni cenni di intesa e parlare concitatamente al telefono, dileguandosi poi in direzioni diverse;

alle 14,45 gli operanti erano riusciti a trarre in arresto in flagranza il Ro. ed il R., mentre gli altri tre erano riusciti a darsi alla fuga; il sopralluogo immediatamente eseguito all’interno dello studio medico sito al piano terra del civico 4 (dove gli Agenti operanti avevano visto entrare l’ A. ed il P.) aveva consentito di rilevare la presenza di un foro passante (di dimensioni tali da consentire il passaggio di una persona) realizzato nel muro divisorio da un attiguo locale – deposito corrispondente al numero civico 6 – intermedio tra lo studio medico e la gioielleria di cui al civico 8 – in prossimità del quale erano stati abbandonati i due borsoni in precedenza visti in possesso degli imputati, unitamente ad arnesi da scasso e guanti da lavoro; il portoncino del civico n. (OMISSIS) presentava la serratura forzata dall’interno, il che dimostrava, secondo gli investigatori, che il portoncino stesso era stato chiuso dall’esterno dal titolare dello studio medico all’orario di cessazione dell’attività svolta in detto studio, allorquando l’ A. ed il B. avevano già avuto modo di introdursi all’interno dello stabile; nel medesimo contesto era stata individuata, parcheggiata nei pressi della Volvo del R., anche l’auto Wolksvagen "Polo" tg. (OMISSIS) di proprietà del Ro., a bordo della quale si trovavano attrezzi da scasso; era stato altresì accertato che: a) la gioielleria aveva chiuso alle 12,30 per osservare la pausa pranzo fino alle 16, e durante tale arco temporale i gioielli, per un valore di circa Euro 100.000,00 erano stati lasciati esposti nella vetrina del negozio; b) il B. aveva trascorso la notte precedente presso l’albergo (OMISSIS) (sito in prossimità dell’autostrada a pochi chilometri da (OMISSIS), registrandosi con il proprio nome ed esibendo la propria carta di identità insieme all’ A. il quale aveva invece fornito le generalità " Al.Fa.": i due erano stati visti allontanarsi dall’albergo insieme verso le ore 11 del (OMISSIS). In relazione ai fatti così ricostruiti, il GIP riteneva dunque pienamente provata la colpevolezza di tutti gli imputati per il reato di tentato furto aggravato in danno della gioielleria, e del Ro. anche per il reato di cui all’art. 707 c.p..

A seguito di gravame proposto dagli imputati, la Corte d’Appello di Venezia, pur negando il riconoscimento delle attenuanti generiche – ritenendo ostativi a tele beneficio i plurimi, nonchè gravi e specifici, precedenti a carico degli appellanti – riduceva le pene inflitte agli stessi, correggendo, in particolare, l’errore del primo giudice il quale aveva applicato la diminuzione per la scelta del rito abbreviato in misura inferiore a quella inderogabile di un terzo, e confermava nel resto la sentenza nei confronti dei medesimi ritenendo del tutto sussistenti gli elementi costitutivi del reato di tentato furto aggravato quale contestato. La Corte territoriale evidenziava, in relazione a ciascuno degli appellanti, le ragioni poste a fondamento delle proprie statuizioni, ed in particolare dava conto del convincimento espresso, quanto alla ritenuta colpevolezza di tutti gli imputati per i reati loro rispettivamente ascritti, richiamando il compendio probatorio acquisito, ed in particolare: a) quanto direttamente percepito per attività di diretta osservazione svolta dal personale di Polizia Giudiziaria operante contestualmente allo svolgimento dell’azione criminosa; b) le circostanze oggettive acclarate dagli investigatori nell’immediatezza del fatto; c) le risultanze dei tabulati telefonici relativi alle utenze cellulari in uso ad alcuni degli imputati. La Corte stessa, quanto alla correlazione tra capo di imputazione e sentenza, ed alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la configurabilità della desistenza volontaria prospettata dalla difesa, precisava quanto segue: A) non era ravvisabile alcuna violazione del principio di correlazione, posto che dalla lettura del capo di imputazione era dato rilevare agevolmente che l’obiettivo dell’azione criminosa addebitata agli imputati era costituito dalla gioielleria, al cui raggiungimento era finalizzato, all’evidenza, il progettato secondo foro, da praticare nella parete divisoria tra il laboratorio e la gioielleria e poi non realizzato per l’interruzione della condotta delittuosa; B) il reato di violazione di domicilio nello studio medico, per il quale era stata presentata rituale querela, era stato compiutamente contestato in fatto agli imputati e non poteva ritenersi assorbito in quello di tentato furto aggravato, posto che i due complici si erano introdotti e trattenuti nello studio medico (contro la volontà del titolare manifestata mediante la chiusura del portoncino di ingresso, oggetto poi di successiva effrazione dall’interno) unicamente per praticare il foro nella parete divisoria per consentire il successivo passaggio nei locali contigui: donde l’autonomia del reato consumato di violazione di domicilio unificato dal GIP in continuazione con il più grave reato di tentato furto aggravato; C) non sussistevano i presupposti per la configurabilità della desistenza, atteso che l’azione delittuosa "in itinere" era stata interrotta non per scelta volontaria degli imputati bensì in conseguenza dell’arrivo di una Volante della Polizia in (OMISSIS), la cui presenza era stata prontamente comunicata, tramite cellulare, dai complici ( B., Ro. e R.) che erano all’esterno, ai due soggetti ( A. e P.) impegnati ad introdursi nella gioielleria con le modalità descritte nel capo di imputazione. Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione gli imputati predetti, deducendo doglianze come di seguito sintetizzate.

L’ A. censura l’affermazione di colpevolezza e deduce al riguardo vizio motivazionale, sostenendo che non sarebbe stata raggiunta la prova sufficiente quanto alla sua identificazione come uno dei due soggetti visti entrare, con due borsoni, nel portone dello stabile adibito a studio medico nel quale gli investigatori avevano poi riscontrato la presenza di un buco praticato nella parete di divisione dal laboratorio corrispondente al civico n. (OMISSIS) (a sua volta attiguo alla gioielleria di cui al civico n. (OMISSIS)); in particolare il ricorrente al riguardo eccepisce che uno solo, dei due operanti i quali avevano seguito le fasi dell’azione, aveva riferito di aver riconosciuto l’ A. mentre l’altro aveva escluso di aver visto il medesimo pur dichiarando di conoscerlo: la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni che l’hanno indotta ad attribuire credibilità, tra i due verbalizzanti, all’uno piuttosto che all’altro; l’ A. deduce poi vizio motivazionale in ordine alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la configurabilità della desistenza volontaria, nonchè relativamente al trattamento sanzionatorio, in particolare per l’entità della pena base per il reato tentato e per il diniego delle attenuati generiche asseritamente ingiustificato.

Il P., il RO., il B. ed il R., con separati atti di ricorso, denunciano: a) violazione del principio di correlazione – con conseguente nullità ex artt. 521 e 522 c.p.p., – sull’asserito rilievo che la formulazione del capo di imputazione non consentirebbe di ravvisare il delitto di furto tentato in danno della gioielleria bensì un fatto diverso rispetto alla contestazione mossa: sostiene il ricorrente al riguardo, che l’accusa di furto tentato ai danni della gioielleria, sarebbe stata ancorata dal P.M., per come formulato il capo di imputazione, ad una avvenuta realizzazione, e non ad una mera programmazione, del secondo foro, quello nella parete divisoria tra il laboratorio e la gioielleria; b) vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza degli atti idonei e diretti inequivocamente alla perpetrazione del delitto di furto ai danni della gioielleria, non offrendo le carte processuali elementi probatori per ritenere che la condotta "in itinere", quale contestata agli imputati, fosse effettivamente finalizzata allo scassinamento della gioielleria e non piuttosto ad aggredire il magazzino di abbigliamento; c) vizio motivazionale relativamente al diniego della configurabilità della desistenza, in quanto dalle risultanze processuali non emergerebbe alcuna prova circa il collegamento tra l’arrivo della Volante della Polizia in (OMISSIS) e l’interruzione dell’azione delittuosa, tenuto anche conto della successione cronologica dei fatti; il P. deduce inoltre vizio di motivazione e violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento al diniego delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, per le ragioni di seguito indicate. Per quel che riguarda il denunciato vizio di motivazione in ordine alle valutazioni probatorie relativamente alla ritenuta colpevolezza degli imputati, le critiche mosse dai ricorrenti all’impugnata sentenza sono ripetitive delle doglianze già dedotte in sede di appello – e puntualmente e specificamente disattese dalla Corte territoriale con ampio, coerente e logico apparato argomentativo – e propongono quindi, con un evidente taglio di merito, tematiche di puro fatto esaustivamente già trattate dalla Corte distrettuale la quale non ha mancato di confrontarsi con le deduzioni difensive, qui riproposte senza autentici spunti di novità, dando a ciascuna di esse esauriente risposta nel confutarle e disattenderle, con le argomentazioni sopra ricordate (nella parte relativa allo "svolgimento del processo") e da intendersi qui integralmente richiamate onde evitare superflue ripetizioni. In proposito va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte, anche a Sezioni Unite (cfr. Sez. Un., N. 6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944; Sez. Un., ric. Spina, 24/11/1999, RV. 214793), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, Nella giurisprudenza di legittimità è stato altresì affermato il seguente principio di diritto: "E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (in termini, Sez. 4^, N. 256/98 – ud.

18/9/1997 – RV. 210157; nello stesso senso Sez. 4^, N. 1561/93 – ud.

15/12/1992 – RV. 193046). Nella concreta fattispecie la Corte di merito, come si è avuto già modo di dire, ha dato adeguatamente conto del proprio convincimento, in ordine alla ritenuta colpevolezza degli imputati, con l’indicazione degli specifici elementi probatori, significativamente ed ulteriormente corroborati dalle deduzioni logiche che i giudici di merito hanno ritenuto di dover trarre dalla concatenazione temporale dei fatti e dalle circostanze oggettive acclarate. La Corte territoriale ha puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza dell’accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive finalizzate unicamente a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa da quella operata dalla Corte distrettuale, ed in quanto tale non proponibile in questa sede. Anche la doglianza dell’ A. concernente il mancato riconoscimento da parte di uno dei verbalizzanti non è stata dedotto in termini di decisività tale da scardinare il percorso motivazionale seguito dalla Corte d’Appello; tra l’altro, il ricorrente non ha tenuto conto di tutti gli altri elementi opportunamente evidenziati dai giudici di merito sul piano delle deduzioni logiche (pernottamento in albergo con il B., mancanza di qualsiasi alibi, etc.) che forniscono riscontro al riconoscimento effettuato dall’altro verbalizzante. Analoga valutazione deve essere riservata alle censure relative al trattamento sanzionatorio, oggetto dei ricorsi dell’ A. e del P.. La Corte territoriale, che ha peraltro ridotto le pene inflitte dal primo giudice agli imputati, ha – con motivazione priva di qualsiasi connotazione di illogicità ed in piena sintonia con i principi enunciati da questa Corte in materia – ancorato la determinazione della pena ed il diniego delle attenuanti generiche alla negativa personalità degli imputati in quanto gravati da plurimi e specifici precedenti: orbene, mette conto sottolineare che, per quel che riguarda in particolare le attenuanti generiche, nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato, e più volte ribadito, il principio secondo cui "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 – bis c.p., è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato" ("ex plurimis", in termini, Sez. 6^, n. 7707, ud del 04/12/2003, dep. 23/02/2004, Rv. 229768). Manifestamente infondate sono infine le ulteriori censure.

Quanto alla ritenuta sussistenza del tentativo di furto in danno della gioielleria, nonchè alla denunciata violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza – prospettata sull’asserito rilievo che il capo di imputazione sarebbe stato formulato in modo inadeguato, sia in ordine alla contestazione del delitto di furto tentato in danno della gioielleria, avendo il P.M. ancorato detta accusa ad una avvenuta realizzazione, e non ad una mera programmazione, del secondo foro, e cioè quello nella parete divisoria tra il laboratorio e la gioielleria, sia relativamente alla contestazione del reato di violazione di domicilio – è sufficiente evidenziare che: a) le circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio, e specificamente contestate agli imputati con il capo di imputazione, corroborate da considerazioni e deduzioni logiche riconducibili alle modalità del fatto ed alla accurata fase organizzativa della delittuosa azione, rendono del tutto evidente che l’obiettivo dei malviventi era la gioielleria; b) si è trattato di circostanze in ordine alle quali, come detto, gli imputati (per come si rileva dalla sentenza impugnata) hanno avuto ampia possibilità di difesa, per cui deve escludersi la configurabilità della eccepita nullità: nella giurisprudenza di legittimità è stato invero affermato che "il precetto dell’art. 521 c.p.p., comma 1, che enuncia il principio della correlazione tra accusa e sentenza va inteso non in senso "meccanicistico formale", ma in funzione della finalità cui è ispirato, quella cioè della tutela del diritto di difesa; ne consegue che la verifica dell’osservanza di detto principio non può esaurirsi in un mero confronto letterale tra imputazione e sentenza, occorrendo che ogni indagine in proposito venga condotta attraverso l’accertamento della possibilità per l’imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto" (in termini, "ex plurimis", Sez. 6^, n. 618/96 – ud 8/11/95 – RV. 20337).

Per quel che riguarda il diniego della configurabilità della desistenza, i giudici di merito hanno opportunamente posto in risalto la contemporaneità tra l’arrivo sul posto di una pattuglia di Polizia e l’interruzione dell’azione criminosa che era in corso, così dimostrando che gli imputati avevano abbandonato il proposito criminoso soltanto per il sopraggiungere della Polizia e non per una spontanea e deliberata scelta. A ciò aggiungasi che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo affermatosi in materia nella giurisprudenza di questa Corte, "la prova della riconducibilità della desistenza volontaria alla volizione dell’agente, nonchè della non dipendenza dell’avverarsi dell’evento da fattori esterni grava su chi la deduce" (in termini, "ex plurimis", Sez. 1^, n. 21955 del 02/02/2010 Ud. – dep. 09/06/2010 – Rv. 247402).

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, dei ricorrenti stessi: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7 – 13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille) ciascuno.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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