Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-02-2011, n. 4469 Cause scindibili e inscindibili Cause e integrazione del contradditorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 2 marzo 1998 R.d.C. L.A., dopo aver premesso che il 7 settembre 1983, era stato sottoposto ad intervento chirurgico di varicocele sinistro dal prof. B.F. presso la casa di cura "Villa Stuart, esponeva che successivamente gli era stata diagnosticata l’atrofia totale del testicolo sinistro. Deducendo che la patologia era stata provocata da errori commessi dal sanitario (lo conveniva in giudizio per sentirlo dichiarare responsabile dei danni subiti e condannare al relativo risarcimento. Si costituiva il convenuto chiedendo il rigetto della domanda. Veniva chiamata in giudizio la RAS Riunione Adriatica Sicurtà S.p.a. assicuratrice del convenuto. In esito al giudizio, il Tribunale di Roma rigettava la domanda con sentenza, notificata ad istanza di B.O., B.R. ed B.A. L., eredi del prof. B.F., deceduto poco prima della pubblicazione della decisione. Avverso tale decisione, interponeva appello il R.d.C. e la Corte di appello di Roma dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione, compensando interamente tra le parti le spese.

Avverso quest’ultima sentenza il R.d.C. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. La Riunione Adriatica di Sicurtà resiste con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste altresì con controricorso B.R. mentre non hanno svolto attività difensiva le altre intimate B.O. e B.A.L..
Motivi della decisione

La prima doglianza, svolta dal ricorrente, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 330, 164 e 156 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (c.p.c. si fonda sulla considerazione che la Corte di merito, dichiarando l’inammissibilità dell’appello per essere stata l’impugnazione notificata impersonalmente e collettivamente agli eredi del defunto F.B. nel domicilio del suo difensore e non già nelle residenze dichiarate dagli stessi eredi nell’atto di notificazione della sentenza poi impugnata, avrebbe colpevolmente trascurato, in primo luogo, che la notifica era stata comunque effettuata agli eredi nominatim; in secondo luogo, che l’inosservanza del disposto dell’art. 330 c.p.c. comporta la mera nullità, sanabile ex art. 156 c.p.c. della notificazione e non già la sua inesistenza, senza determinare l’inammissibilità dell’impugnazione.

La censura merita attenzione. In primo luogo, torna utile premettere che, così come risulta dall’esame degli atti, la notifica è stata effettuata ai singoli eredi nominatim e singulatim per cui, fermo restando che il giudizio di impugnazione è stato correttamente instaurato nei confronti dei soggetti effettivamente legittimati (così, S.U. 15783/05 in motivazione), il vizio rilevato dalla Corte territoriale riguarda soltanto il luogo in cui è avvenuta la notifica (presso il domicilio del legale del dante causa piuttosto che presso le residenze rispettivamente dichiarate dai singoli eredi).

Ciò premesso, considerato il venir meno del rapporto di mandato tra la parte deceduta ed il legale non essendo ipotizzabile alcuna ultrattività di detto mandato – si rende necessario stabilire se siffatta notifica debba ritenersi affetta da nullità, sanabile quindi nei modi e nei termini previsti dal codice di rito, come ritiene parte ricorrente, oppure inesistente e come tale insuscettibile di sanatoria, giusta la diversa tesi della Corte di merito.

A riguardo, vale la pena di rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’inesistenza della notificazione è configurabile solo quando essa manchi totalmente oppure quando l’attività compiuta esca completamente dallo schema legale del procedimento notificatorio, essendo stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla normativa. Ne deriva che utile elemento di discrimine per distinguere l’inesistenza dalla nullità della notificazione è costituito dal rilievo che il vizio del procedimento notificatorio nella sostanza delle cose abbia comunque consentito la conoscenza dell’atto da parte del destinatario come naturale e non fortuito esito dell’attività dell’agente notificatore, malgrado irritualmente compiuta, giacchè in tale ipotesi deve ritenersi verificato lo svolgimento di un procedimento notificatorio, rimasto sia pure parzialmente nell’ambito del modello previsto dalla legge.

Con la conseguenza ulteriore che una notificazione va ritenuta soltanto nulla e deve ritenersi sanata in virtù del raggiungimento dello scopo quando la consegna sia comunque avvenuta mediante rilascio di copia dell’atto a persona ed in luogo aventi un qualche riferimento con il destinatario della notificazione ed uno dei notificandi, così come è avvenuto nella specie (così, B. R., uno dei tre eredi del defunto B.F.), mostra di aver avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto tant’è che si è costituito in giudizio ed ha potuto dedurre i vizi relativi alla notifica nonchè difendersi nel merito. Del resto, così come recentemente hanno rilevato le Sezioni Unite di questa Corte nella motivazione della sentenza n. 14699/2010, la giurisprudenza di legittimità, se esclude la possibilità della sanatoria quando il vizio dell’impugnazione si riferisce all’individuazione del soggetto passivo con conseguente violazione del principio del contraddittorio e difetto della vocatio in ius, è invece, essenzialmente e prevalentemente, nel senso della possibilità della sanatoria ex tunc quando il vizio riguarda il luogo di notificazione.

Nè in senso contrario può valere la circostanza che l’intimato si costituisca esclusivamente per dedurre i vizi relativi alla notifica giacchè l’effetto sanante della nullità, previsto dall’ultimo comma dell’art. 156 c.p.c. e derivante dal raggiungimento dello scopo cui l’atto è destinato, ha una valenza oggettiva che viene ad attuarsi indipendentemente dalla volontà del soggetto interessato e senza che quest’ultimo possa in alcun modo vanificarlo. Il dato normativo non consente dubbio a riguardo, senza considerare che una diversa interpretazione verrebbe a confliggere con il principio della ragionevole durata del processo che sollecita una riduzione all’essenziale delle ipotesi di nullità per vizi formali in funzione di una sollecita definizione della controversa.

Già sulla base delle considerazioni svolte deve quindi ritenersi fondata la censura in esame. Ma v’è di più. Ed invero, assorbente pare essere il rilievo che, essendo stato l’appello ritualmente notificato all’Assicuratore chiamato dal convenuto – il quale non aveva contestato la sussistenza del rapporto assicurativo – il contraddittorio dovesse essere comunque integrato nei confronti degli eredi ex art. 331 c.p.c., vertendosi in ipotesi di cause dipendenti.

Infatti, qualora il terzo evocato in giudizio con una domanda di garanzia impropria non si limiti a contrastare la domanda di manleva, ma confuti anche l’obbligazione principale, così contestando la fondatezza della domanda proposta nei confronti del proprio chiamante, si configura una ipotesi di inscindibilita di cause, con la conseguente applicabilità della disciplina prevista dall’art. 331 cod. proc. civ. (tra le tante Cass. 11055/09).

Ne consegue che in applicazione di questo principio la censura formulata merita di essere condivisa, ritenendosi in essa assorbito il secondo motivo di impugnazione, fondato sull’omessa motivazione della sentenza d’appello, su un punto decisivo della controversia, riguardante la ricusazione dei consulenti di ufficio. Il ricorso per cassazione, siccome fondato, deve essere accolto e la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata in relazione. Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame della controversia, la causa va rinviata ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, che provvedere anche in ordine al regolamento delle spese del presente giudizio.

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