Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-10-2010) 26-01-2011, n. 2558

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 25/6/2007 il Tribunale di Patti, sez. dist. di S. Agata di Militello, condannava C.M.A. alla pena di mesi 2 di reclusione ed Euro 120 di multa per il delitto di cui all’art. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 7, per il furto di 4 assi di legno della lunghezza di mt. 4 e di larghezza di cm. 16 depositate presso uno stabilimento balneare da cui erano state smontate (acc. in (OMISSIS)).

Con sentenza del 5/10/2009 la Corte di Appello di Messina confermava la condanna.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando:

2.1. il difetto di motivazione per non avere valutato la corte di merito che la polizia per un certo arco temporale aveva perso il contatto visivo con la persona che avevano visto aggirarsi nello stabilimento e che pertanto poteva non essere l’imputato;

2.2. il difetto di motivazione per non aver valutato che gli oggetti asportati erano "res derelictae", in quanto lo stabilimento era chiuso da oltre un anno; sotto tale profilo, pertanto non poteva ritenersi sussistente neanche l’aggravante contestata, considerato che non può essere esposto alla pubblica fede ciò che è abbandonato;

2.3. il difetto di motivazione in relazione alla quantificazione della pena non nel minimo.

3. Il ricorso è inammissibile, in parte perchè proposto per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità, per altro verso perchè i motivi sono manifestamente infondati.

3.1. Ha osservato la Corte di merito quanto alla ricostruzione del fatto, che:

– l’azione delittuosa, commessa in ora notturna (ore 00,30) era caduta sotto la percezione visiva di agenti della Polizia di Stato che avevano poi seguito e fermato l’auto su cui erano state caricate le assi;

– non si trattava di res derelictae, in quanto custodite presso lo stabilimento dopo lo smontaggio;

– sussistente era inoltre l’aggravante della esposizione alla pubblica fede, tenuto conto che è prassi per gli stabilimenti conservare le strutture smontate senza particolari cautele di vigilanza.

Orbene, in relazione alla affermata penale responsabilità, le censure mosse dalla difesa alla sentenza, esprimono solo un dissenso generico rispetto ad una ricostruzione del fatto operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo. Quanto alla sussistenza della contestata aggravante, va ricordato che questa Corte ha statuito che "La consuetudine che legittima l’esposizione delle cose alla pubblica fede, va intesa non già nel senso tecnico di fonte sussidiaria del diritto, ma nel significato di pratica di fatto che rientra negli usi e nelle abitudini sociali" (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 8386 del 03/04/1979 Ud. (dep. 13/10/1979)Rv. 143065, ric. Bana). Ebbene non vi è dubbio che, come sostenuto nelle sentenze di merito, è consuetudine sociale custodire il materiale utilizzato in stabilimenti balneari, dopo lo smontaggio, nel perimetro aziendale e senza particolari cautele di custodia, così affidandosi alla correttezza e solidarietà dei consociati. La censura è, pertanto, manifestamente infondata.

3.2. Quanto al trattamento sanzionatorie, va ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta, come nel caso di specie, contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (cfr. explurimis Cass. IV, 20 settembre 2004, Nuciforo, RV 230278). Per quanto detto, i motivi di censura sono manifestamente infondati.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000= in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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