Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-02-2011, n. 4741 Titoli di credito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 9 ottobre 1995 nella cancelleria della sezione distaccata di Manduria della Pretura circondariale di Taranto, i sigg. L.N., L.C., Lo.Co., L.V. e L.A., quali eredi di L.G., chiedevano il sequestro, nei limiti della quota di loro pertinenza, delle somme portate dal certificato di deposito nominativo accesso presso la Banca popolare ionica, agenzia di (OMISSIS), a firme disgiunte, ed intestato al suddetto "de cuius", alla sig.ra Lo.Na. ed al sig. L.B., dell’importo complessivo di L. 20.000.000. Accolto il ricorso cautelare nella fase sommaria e confermatolo a seguito dell’instaurazione del contraddittorio, veniva introdotto, successivamente, con atto di citazione notificato il 6 febbraio 1996, il giudizio di merito che si concludeva con la sentenza n. 89 del 1997 (depositata il 17 giugno 1997), mediante la quale il Pretore adito accoglieva la proposta domanda e, per l’effetto, dichiarava il diritto dei suddetti eredi di L.G. alla restituzione, in loro favore, della somma di L. 7.000.000, pari al terzo della somma portata dal menzionato certificato di deposito, già oggetto di sequestro, con condanna dei convenuti al pagamento delle spese processuali.

In virtù di appello proposto dalla sig.ra Lo.Na. (in proprio e quale unica erede di L.A., deceduta il (OMISSIS)) con atto di citazione notificato il 15 settembre 1998 in quattro copie presso il procuratore costituito in primo grado per gli attori, in relazione a quale si costituivano gli appellati L.N. (in proprio e quale procuratore generale degli altri eredi di L.C.), Lo.Co., L. V., L.A. e L.B., il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 1094 del 2004 (depositata il 21 maggio 2004), accoglieva l’appello principale, riconoscendo il diritto, in favore di Lo.Na. (quale erede di L.A.), alla restituzione della somma di L. 7.000.000 facente parte dell’indicato certificato di deposito, già oggetto di sequestro da parte del Pretore di Taranto – sez. dist. di Manduria, rigettava l’appello incidentale proposto da L.N. (in proprio e quale procuratore generale degli altri eredi di L.C.), Lo.Co., L.V. e L.A., condannando gli appellati, in solido fra loro, al pagamento delle spese del doppio grado, oltre che della fase cautelare "ante causarti". A sostegno dell’adottata sentenza il giudice di appello ravvisava, innanzitutto, l’infondatezza delle due eccezioni processuali aventi carattere pregiudiziale sollevate dagli appellati, di cui la prima relativa alla dedotta inammissibilità o improcedibilità dell’appello per assunta nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione, sul presupposto che fosse stata erroneamente effettuata la notifica dell’atto di appello presso il procuratore domiciliatario nel giudizio di primo grado, pur essendo l’impugnazione stata proposta successivamente al termine annuale previsto dall’art. 330 c.p.c., u.c., e la seconda riguardante l’inammissibilità dello stesso atto di appello per la ritenuta nullità della notificazione della citazione rimessa in un numero di copie inferiore a quello degli appellati, come tale determinante assoluta incertezza circa i destinatari dell’atto. Con riferimento al merito della controversia, il Tribunale di Taranto rilevava la fondatezza della formulata impugnazione, poichè dal materiale istruttorio acquisito era emersa, in modo evidente, la prova che la messa a disposizione della somma di L. 20.000.000, effettuata da L.A. in favore dei nipoti e da questi ultimi utilizzata per la creazione del certificato di deposito cointestato, non era avvenuta per spirito di liberalità, integrante una ipotesi di donazione indiretta, come tale sottratta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 782 e 809 c.c., alla disciplina delle donazioni quanto alla forma, bensì in esecuzione di un patto fiduciario intervenuto tra i tre intestatari (i germani L.G., Na. e B.) e la disponente.

Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione (notificato il 4 luglio 2005 e depositato il successivo 21 luglio 2005) L.N., in proprio e quale procuratore speciale di L.C., Lo.Co., L.V. e L. A., basato su cinque motivi, al quale ha resistito con controricorso (notificato il 28 settembre 2005 e depositato il successivo 17 ottobre 2005) Lo.Na., in proprio e quale erede universale di L.A., mentre l’altro intimato L.B. non si è costituito in questa fase.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione nonchè la nullità del giudizio di appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 327 c.p.c. e art. 330 c.p.c., comma 3, sul presupposto della ritenuta invalidità ed inefficacia della notificazione dell’atto di appello a mani del procuratore domiciliatario nel giudizio di primo grado, siccome intervenuta successivamente al termine annuale sancito dal citato art. 330. 1.1. Il motivo è destituito di fondamento e deve, perciò, essere rigettato, costituendo principio ormai pacifico (v., ad es., Cass., S.U. 29 dicembre 1993, n. 12593; Cass., sez. 2^, 28 ottobre 1994, n. 8895; Cass., S.U., 3 febbraio 1996, n. 919; Cass., sez. 2^, 12 luglio 2000, n. 9234, e Cass., sez. 1^, 15 settembre 2004, n. 18572) nella giurisprudenza di questa Corte (recepita anche dal Tribunale di Taranto nella sentenza oggetto di ricorso) che l’impugnazione non preceduta dalla notifica della sentenza impugnata e successiva all’anno dalla pubblicazione di questa, ma ancora ammessa per effetto della sospensione feriale (come verificatosi nel caso di specie), va notificata in uno dei luoghi indicati dall’art. 330 c.p.c., comma 1 e, quindi, anche alla parte presso il procuratore costituito e non a detta parte personalmente (con la conseguente validità della notificazione effettuata nelle mani dell’indicato procuratore, per come realizzatasi anche nella fattispecie esaminata).

2. Con i secondo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per assunta violazione e falsa applicazione di legge, nonchè per nullità del procedimento, in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione agli artt. 102 e 331 c.p.c., assumendo l’inesistenza dell’atto di appello in quanto notificato in quattro copie, anzichè nel numero di cinque corrispondente a quello degli appellati, con conseguente incertezza assoluta in ordine all’individuazione dei destinatari dello stesso atto di impugnazione.

2.1. Anche questo motivo di carattere processuale è privo di pregio e va, perciò, respinto.

Infatti, al di là della circostanza che gli appellati coincidenti con gli attuali ricorrenti (rappresentati dallo stesso procuratore) – tra i quali L.N., che aveva agito in proprio e quale procuratore generale di L.C. – erano risultati destinatari di un numero di copie (quattro) dell’atto di appello corrispondente a quello delle parti effettive rilevanti sul piano processuale (in virtù dell’immedesimazione di due di esse nella persona del L.N.), la questione prospettata dai medesimi ricorrenti deve ritenersi ormai superata per effetto della più recente giurisprudenza di questa Corte. Infatti, con la sentenza a S.U. n. 29290 del 15 dicembre 2008 (v., successivamente, in senso conforme, Cass., sez. 3^, 12 marzo 2010, n. 6051), è stato statuito che la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace nel processo ordinario (oltre che in quello tributario), in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art. 170 c.p.c., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 c.p.c., comma 1,il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto di impugnazione ma ne è il destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione ai sensi dell’art. 285 c.p.c., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa applicazione, avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2021 c.c., deducendo che, in virtù della riconduzione del certificato di deposito nominativo oggetto di sequestro alla categoria dei titoli di credito, non risultando dal titolo alcun diritto della sig.ra L.A., e per essa di Lo.Na., sua erede universale, la stessa non avrebbe potuto opporre ai soggetti titolari del diritto trascritto su documento alcuna eccezione di esclusività del diritto, ostandovi la disciplina positiva.

3.1. Il motivo è infondato e va respinto.

Dalla congrua e logica motivazione del Tribunale pugliese (v., in particolare, pagg. 12-15) si evince come fosse risultato incontestato tra le parti oltre che documentalmente provato (con riferimento, soprattutto, ad apposita comunicazione della banca emittente) che il certificato di deposito dedotto in controversia derivava dalla rinnovazione di precedente certificato di deposito del medesimo importo, intestato ai germani L.G., Na. e B., scaduto il 13 marzo 1995, il quale, a sua volta, era provenuto dall’estinzione, per incarico di L.A., di altro certificato di deposito dell’importo di L. 20.000.000, emesso dalla Banca popolare di Novara-agenzia di (OMISSIS). Sul piano giuridico il giudice di appello ha, poi, correttamente rilevato che al certificato di deposito non può attribuirsi alcuno specifico contenuto negoziale, costituendo esso solo il titolo idoneo a fondare la pretesa di restituzione della somma dal medesimo portata nei confronti dell’istituto emittente, senza, peraltro, potersi desumere un’espressione, sia pure implicita di volontà negoziale, dalla concordata previsione di consentire a ciascun cointestatario di operare disgiunta mente. Peraltro, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, lo stesso Tribunale di Taranto ha appurato che la somma portata dal certificato di deposito controverso proveniva da persona diversa dagli intestatari (ovvero dalla L.A.) e, pur ritenendo tale elemento di notevole portata probatoria, ha rilevato che tale circostanza non poteva considerarsi, di per sè, sufficiente a superare la presunzione di appartenenza ai tre indicati cointestatari, dal momento che l’atto dispositivo avrebbe potuto costituire espressione di una pluralità di intenti negoziali da parte dell’autrice. A tal proposito, dunque, il giudice di appello – proprio in ragione della richiamata natura giuridica riconducibile al certificato di deposito ((non qualificabile quale documento avente contenuto convenzionale) – ha legittimamente ritenuto che l’indagine in ordine all’effettiva volontà di L.A. (e, quindi, in merito all’esistenza di una valida ragione giustificativa della propria pretesa restitutoria), impregiudicate la qualificazione giuridica e la validità dei negozi che la stessa aveva inteso realizzare, non trovava alcun ostacolo, ai fini del relativo accertamento, nei limiti legali stabiliti per la prova testimoniale. Pertanto, l’accertamento della proprietà della somma di L. 7.000.000 portata dal certificato di deposito in questione rimaneva, indipendentemente dall’individuazione del criterio distributivo del relativo onere probatorio, una questione da risolversi in fatto alla stregua delle dichiarazioni delle parti e delle complessive risultanze istruttorie acquisite, ivi comprese quelle derivanti dalle assunte prove testimoniali, come tali da ritenersi legittimamente ammesse e, quindi, valutabili ai fini della risoluzione della controversia.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione di norme, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 1994 c.c., avuto riguardo all’omessa valutazione della mancata prova circa l’acquisto in mala fede da parte del L.G., prima, e da parte dei suoi eredi, poi, delle quote delle somme portate dal certificato di deposito, che avrebbe dovuto rappresentare il presupposto logico- giuridico, anche formale, per poter esperire nei confronti degli attuali ricorrenti la rivendicazione delle somme stesse ai sensi del richiamato art. 1994 c.c..

5. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno dedotto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine all’art. 360, comma 1, n. 5, in relazione ad un punto essenziale della controversia sotto vari profili, nonchè l’erronea e viziata applicazione di legge (richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) con riferimento all’art. 2735 c.c.. In particolare, con tale motivo, oltre alla contestazione in ordine alla scelta dei testi attendibili e delle altre risultanze probatorie acquisite ritenute maggiormente convincenti, risulta dedotta la mancata considerazione, da parte del giudice del gravame, della raccomandata del 16 settembre 1995 inviata ad essi ricorrenti, allegata agli atti del fascicolo di parte di primo grado, con la quale la L.A., a mezzo del suo difensore, aveva assunto di essere l’unica proprietaria delle somme portate dal certificato di deposito essendo stata la contestazione ai nipoti G., B. e Na. frutto di errore, di un accordo cautelare ovvero conseguenza di programma o proposito speculativo.

5.1. Questi due ultimi motivi, siccome tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono inammissibili, perchè, per un verso, introducono questioni nuove non espressamente dedotte nel giudizio di merito (per quanto evincibile dalla sentenza di appello, nella quale il "thema decidendum" atteneva, considerata anche la qualificazione giuridica del certificato di deposito, all’accertamento della proprietà delle somme dallo stesso portate) e tendono a sollecitare una rielaborazione delle valutazioni di merito (in ordine alla ricostruzione della ragione giustificatrice che aveva determinato l’intestazione congiunta del certificato di deposito a L. G., Lo.Na. e L.B.) non consentita nella presente sede di legittimità e, per altro verso, sono protesi a provocare una rivisitazione delle risultanze probatorie, anch’essa non ammessa in questa fase. Si ricorda, in proposito,che, secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, con la conseguenza che tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti. A questo riguardo il Tribunale di Taranto, con motivazione assolutamente adeguata e logica siccome fondata su plurimi riscontri probatori (v., in particolare, pag. 18 della sentenza impugnata), ha dato sufficientemente conto del convincimento espresso circa il raggiungimento della prova che la messa a disposizione della somma di L. 20.000.000, effettuata dalla L.A. in favore dei nipoti e da questi ultimi utilizzata per l’accensione del certificato di deposito cointestato, non era avvenuta per spirito di liberalità integrante un’ipotesi di donazione indiretta, bensì in esecuzione di un patto fiduciario intervenuto tra i tre intestatari e la disponente, con la conseguenza finale del riconoscimento della fondatezza della domanda dell’appellante Lo.Na., quale esclusiva avente causa di L.A., in ordine alla pretesa della titolarità della controversia somma di L. 7.000.000, facente parte del certificato di deposito nominativo n. (OMISSIS), emesso dalla Banca Popolare Jonica – agenzia di (OMISSIS).

6. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore della controricorrente Lo.Na..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

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