Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-01-2011, n. 467 Mansioni e funzioni Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Gli appellanti signori T.L., D.R., M.R. e F.M.A. rappresentano di essere dipendenti dell’Università degli Studi di Pisa e di essere inquadrati nell’ottava qualifica funzionale con il profilo professionale di "segretario amministrativo di dipartimento" (VIIIa q.f., attualmente categoria D2).

Riferiscono, altresì, di aver proposto nel 1997 ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana per l’accertamento del diritto al trattamento retributivo conseguente allo svolgimento di mansioni superiori a quelle proprie della qualifica e del profilo professionale di appartenenza, con condanna dell’Amministrazione alla liquidazione delle differenze retributive.

A tal fine, esponevano che i compiti e le mansioni propri della qualifica di segretario amministrativo di dipartimento (come inizialmente delineati dall’art. 11 d.P.R. 28 settembre 1987, n. 567) erano stati nel corso degli anni notevolmente arricchiti e – in qualche misura – "aggravati" per effetto dell’entrata in vigore del nuovo Statuto dell’Università (approvato il 4 luglio 1994) e del Regolamento di Ateneo per l’amministrazione, la finanza e la contabilità (emanato con decreto rettorale del 29 aprile 1996).

Con la sentenza oggetto del presente appello, il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso considerando:

– che la giurisprudenza più recente ha riconosciuto il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle di inquadramento, con carattere di generalità, solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, mentre per il periodo anteriore la loro retribuibilità è stata generalmente negata;

– che l’orientamento in questione si fonda: i) sull’inapplicabilità, nel rapporto di pubblico impiego, dell’art. 13 l. 20 maggio 1970, n. 300, Statuto dei lavoratori; ii) sulla non configurabilità, come fonte diretta di integrazione del rapporto di lavoro pubblico, dell’art. 36 Cost.; iii) sul necessario riferimento alla qualifica – e non alle mansioni – al fine dell’individuazione della retribuzione da corrispondere;

– che le disposizioni dello Statuto e dei regolamenti di Ateneo non possono essere individuate quali fonti normative idonee a legittimare l’attribuzione di mansioni superiori o a consentirne la retribuibilità.

La sentenza è stata gravata dagli appellanti, i quali ne chiedono la riforma assumendone l’erroneità ed illogicità per:

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 d.P.R. 28 settembre 1987, n. 567;

– Violazione e falsa applicazione dell’art 36 Costituzione e dell’art. 2126 del Codice civile;

– Eccesso di potere per falso presupposto in fatto e diritto nonché per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione.

Si sono costituiti n giudizio il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonché l’Università degli studi di Pisa, domandando la reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da T.L., D.R., M.R. e F.M.A., dipendenti amministrativi dell’Università degli Studi di Pisa inquadrati come "segretari amministrativi di Dipartimento" (VIII q.f. – cat. D2) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana con cui è stato respinto il loro ricorso finalizzato ad ottenere le differenze stipendiali per lo svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle proprie del livello di inquadramento.

2. Con l’unico motivo di ricorso, gli appellanti lamentano che la sentenza ha omesso di tenere in adeguata considerazione il fatto che, per effetto delle disposizioni contenute nel nuovo Statuto dell’Università (approvato il 4 luglio 1994) e del Regolamento di Ateneo per l’amministrazione, la finanza e la contabilità (emanato con decreto rettorale del 29 aprile 1996) il profilo professionale di "segretario amministrativo di dipartimento" ha acquisito nuove e delicate funzioni, di livello certamente superiore rispetto a quelle originariamente previste dall’art. 11 d.P.R. 28 settembre 1987, n. 567.

L’attribuzione a tale profilo professionale di nuovi e delicati compiti gestionali è, a loro dire, avvenuto di pari passo con l’ampliamento delle funzioni attribuite ai Dipartimenti universitari per effetto dell’assetto organizzativo impresso dal nuovo Statuto (assetto nell’ambito del quale le funzioni di direzione dei dipartimenti sono attribuite a professori di ruolo di prima fascia, mentre il complesso delle attività di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa sono demandate, appunto, ai segretari amministrativi di dipartimento).

Sotto tale aspetto, gli appellanti si dicono consapevoli del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel sistema normativo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 15 d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, il riconoscimento ai fini economici dello svolgimento di mansioni superiori era possibile solo laddove previsto da espresse disposizioni normative. Essi ritengono, tuttavia, che ai fini del decidere si debba necessariamente riconoscere valenza normativa (e, per così dire, "tipizzante’) alle richiamate previsioni di Statuto e di Regolamento, le quali avevano ascritto al profilo rivestito l’esercizio di compiti e funzioni certamente più impegnativi e rilevanti rispetto a quelli della qualifica di inquadramento (l’ottava del previgente sistema).

2.1. Il ricorso è infondato.

2.2. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (richiamato dagli stessi appellanti), nell’assetto normativo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 15 d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 lo svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica di inquadramento da parte dei dipendenti pubblici, pur se protratte nel tempo ed assegnate con atto formale, non dà luogo al diritto alle differenze retributive ed è giuridicamente irrilevante, salvo che tali effetti derivino da un’espressa previsione normativa e salvo il diritto alle differenze retributive per il periodo successivo all’entrata in vigore della richiamata disposizione, la quale ha modificato l’art. 56 d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 – poi art. 52 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – (es.: Cons. Stato, IV, 30 giugno 2010, n. 4165; IV, 26 marzo 2010, n. 1775; VI, 5 febbraio 2010, n. 532).

Tale essendo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il ricorso in questione non può trovare accoglimento, se solo si consideri:

– che né allo Statuto di Ateneo, né al Regolamento di contabilità può essere attribuita la valenza di disposizioni normative idonee a conferire rilievo – ai fini economici – allo svolgimento di mansioni superiori, atteso che gli atti in questione (pur rilevanti al fine di conferire attuazione al principio di autonomia universitaria sancito dall’art. 33, quinto comma,Cost.) presentano pur sempre una valenza subprimaria, laddove il diritto per le istituzioni universitarie sussiste unicamente "nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato";

Secondo la consolidata valutazione giurisprudenziale, infatti, gli interessi sottostanti al rapporto tra amministrazione e dipendente pubblico, anche se di natura economica, sono indisponibili e derivano da disposizioni di rango primario, per loro natura non derogabili dalla mera volontà delle parti, e dunque caratterizzate da una stringente corrispondenza tra qualifica del dipendente, assetto organizzativo in cui le mansioni vanno svolte e retribuzione (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 18 novembre 1999, n. 22, che ha ribadito l’irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego, salvo che per espressa previsione normativa; e che il principio di corrispondenza di retribuzione a qualità e quantità del lavoro prestato, di cui all’art. 36 Cost., concorre con altri principi di pari rilevanza, come quello dell’art. 98 Cost., che esclude nel pubblico impiego la riduzione alla logica di scambio, e soprattutto quello dell’art. 97 Cost., vale a dire con i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione e – in combinato con l’art. 28 Cost. – di rigida determinazione di competenze, attribuzioni e responsabilità dei funzionari; nonché di esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica).

Un tale canone vale per l’intero rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, anche autonome, e non solo per lo Stato. Ne consegue che un’eventuale deroga al principio di corrispondenza fra qualifica rivestita e retribuibilità delle mansioni in concreto svolte può essere ravvisata solo a fronte di espresse disposizioni di carattere primario, e non anche come conseguenza indiretta di disposizioni organizzative poste da norme a carattere subprimario, espressive della capacità di autoorganizzazione, quand’anche speciale, di enti pubblici autonomi (come gli Statuti delle università di cui all’art. 6 l. 9 maggio 1989, n. 168). La materia invero, attinendo a principi fondamentali del lavoro con pubbliche amministrazioni, è da considerare di competenza della sola fonte primaria proprio per via della riserva di legge stabilita dall’art. 97, primo comma, Cost., secondo cui i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge. Non vale dunque invocare, come fanno gli appellanti, un diritto al trattamento delle mansioni superiori, poggiante su disposizioni non legislative espressive di autonomia.

– a ben vedere, poi, nel caso in esame non viene neppure in rilievo la pretesa, strettamente monetaria, al riconoscimento economico dello svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di inquadramento (è infatti pacifico che gli appellanti hanno comunque svolto le mansioni proprie dei segretari amministrativi di dipartimento), bensì la pretesa, estesa allo status lavorativo, ad un diverso riconoscimento professionale della qualifica in parola. Il che, per il diritto vigente e i principi testé richiamati, non può a fortiori trovare accoglimento.

3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Il Collegio ritiene nondimeno che sussistano giusti motivi di ordine equitativo per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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