Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-02-2011, n. 4735 Divorzio Separazione in genere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 5-3-1998 B.S., quale comproprietario in regime di comunione ordinaria per la quota indivisa di 1/4 di un appartamento e garage siti in (OMISSIS), conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bolzano la propria moglie N.R. quale comproprietaria per la quota indivisa dell’altra metà degli stessi immobili chiedendo dichiararsi lo scioglimento della comunione e la divisione dei beni tra i due comproprietari, eventualmente anche previa vendita all’incanto e liquidazione delle quote in denaro.

Costituendosi in giudizio la convenuta esponeva che l’immobile "de quo" era l’appartamento coniugale, assegnato in sede di separazione personale dei coniugi con ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c., all’esponente (su istanza dello stesso attore); sosteneva quindi che l’azione esperita dal marito era sostanzialmente tesa ad elidere l’efficacia precettiva del provvedimento presidenziale, e ne eccepiva l’inammissibilità o l’improcedibilità.

Il Tribunale adito con sentenza del 21-7-2003, ritenuta la non comoda divisibilità degli immobili, preso atto della mancata richiesta di assegnazione dei beni da parte di alcuno dei condividenti, nonchè rilevata l’inopponibilità nei confronti del futuro acquirente dell’assegnazione della casa coniugale alla convenuta in quanto disposta con provvedimento del 14-4-1998 successivo all’annotazione tavolare della domanda di divisione, ordinava la vendita all’incanto dei predetti immobili.

Proposto gravame da parte della N. cui resisteva il B. la Corte di Appello di Trento sezione distaccata di Bolzano con sentenza del 1-9-2004 ha respinto l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza la N. ha proposto un ricorso affidato a due motivi cui il B. ha resistito con controricorso introducendo altresì un ricorso incidentale basato su di un unico motivo.
Motivi della decisione

Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Per ragioni di priorità logica – giuridica occorre anzitutto esaminare il ricorso incidentale; in proposito si osserva che con l’unico motivo articolato il B., deducendo violazione dell’art. 345 c.p.c., assume che l’oggetto del primo grado di giudizio aveva riguardato esclusivamente l’ammissibilità o meno della richiesta divisione della casa familiare in regime di comunione ordinaria assegnata in precedenza ad un coniuge in sede di separazione personale; dovevano pertanto considerarsi nuove domande, come eccepito dall’esponente, sia l’invocata opponibilità novennale da parte della N. del provvedimento di assegnazione a proprio favore della casa familiare agli eventuali terzi acquirenti, sia la richiesta introdotta nel giudizio di appello di vendita dell’immobile per cui è causa gravato dal diritto personale di abitazione vita natural durante; erroneamente quindi il giudice di appello ha ritenuto tali domande concretare semplicemente una mera istanza attinente alle modalità ed ai criteri di valutazione da adottare in sede di divisione.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha ritenuto che la richiesta subordinata dell’appellante di tener conto in sede di divisione del diritto di abitazione ad essa spettante sulla casa familiare in forza del provvedimento presidenziale emesso ai sensi del combinato disposto dell’art. 708 c.p.c. e art. 155 c.c., comma 4, non costituiva domanda nuova, ma una mera istanza attinente alle modalità da adottare in sede di divisione; tale convincimento è condivisibile, in quanto la suddetta richiesta della N. riguardava pur sempre le modalità di attuazione della divisione, e pertanto, essendo diretta al già richiesto scioglimento della comunione, non costituiva domanda nuova, potendo quindi essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si osserva che con il primo motivo la N., denunciando violazione dell’art. 155 c.c., comma 4 e art. 156 c.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto decisivo il rilievo secondo cui, con riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale 27-7-1989 n. 454 – che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 155 c.c., comma 4, nella parte in cui non prevedeva la trascrizione del provvedimento giudiziale dell’assegnazione dell’abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini dell’opponibilità ai terzi – tale opponibilità tuttavia restava pur sempre ancorata all’indefettibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa coniugale fosse anche affidatario di figli minori o che con esso convivessero figli maggiorenni economicamente non autosufficienti, essendo l’interesse di questi ultimi alla continuità dell’"abitat" domestico lo scopo di tutela perseguito dal legislatore.

La ricorrente principale rileva che nella specie l’assegnazione della casa coniugale all’esponente trovava la sua ragione d’essere non nel presupposto dell’affidamento dei figli alla N., bensì nella concorde richiesta di entrambe le parti in sede di giudizio di separazione personale dei coniugi, dove tale provvedimento di assegnazione era passato in giudicato; invero costituisce orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritenere possibile la previsione di una contribuzione ex art. 156 c.c., in favore di un coniuge anche con mezzi diversi da quelli monetari, e quindi con l’assegnazione ad esso della casa coniugale intesa quale mezzo di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, a prescindere dall’ipotesi contemplata dall’art. 155 c.c., comma 4.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha rilevato, con riferimento alla sentenza della Corte territoriale 27-7-1989 n. 454 – che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 155 c.c., comma 4, nella parte in cui non prevedeva la trascrizione dell’assegnazione dell’abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole ai fini dell’opponibilità a terzi – che tale opponibilità era pur sempre ancorata all’imprescindibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa fosse anche affidatario di figli minori o che con esso convivessero figli maggiorenni economicamente non ancora autosufficienti; pertanto, atteso che nella fattispecie era dato pacifico che la N. non era affidataria di figli minorenni, e che nella casa familiare non convivevano figli maggiorenni non autosufficienti, non trovava applicazione lo strumento di tutela di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, esteso dalla richiamata sentenza della Corte Costituzionale all’ipotesi contemplata dall’art. 155 c.c., comma 4.

Orbene tale convincimento non risulta scalfito dalla censura in esame, posto che l’affermazione secondo cui nella specie l’assegnazione della casa familiare alla N. era stata disposta su concorde richiesta di entrambi i coniugi ed era ispirata dalla finalità di tutelare il coniuge economicamente più debole, conferma che tale provvedimento si collocava fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 155 c.c., comma 2, finalizzato all’esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a rimanere nell’ambito domestico in cui è cresciuta; pertanto l’opponibilità a terzi di tale assegnazione nei termini prima enunciati non può evidentemente estendersi all’assegnazione della casa familiare ad uno dei due coniugi a prescindere da tale specifica ed imprescindibile finalità, considerato che in tale ultima ipotesi il relativo provvedimento, se fosse opponibile a terzi come preteso dalla N., non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziate espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno dell’altro comproprietario.

Con il secondo motivo la N., deducendo violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c., R.D. 28 marzo 1929, n. 499, artt. 19 e 20 e successive modifiche, sostiene che il giudice di appello ha omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con cui l’esponente aveva censurato la ritenuta inapplicabilità alla fattispecie da parte del Tribunale di Bolzano del principio affermato dalla sentenza 26-7-2002 n. 11096 delle S.U. di questa Corte secondo cui il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorchè non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione; la ricorrente principale rileva che ai fini dell’opponibilità al B. (che aveva chiesto il provvedimento di assegnazione della casa familiare alla moglie) dell’ordinanza di assegnazione all’esponente della casa coniugale non era necessaria l’annotazione del titolo, in quanto il diritto d’uso in esso sancito non rientra tra quelli che – per poter essere ritenuti esistenti in un sistema tavolare – necessitano di essere intavolati; infatti tale diritto non ha natura reale in quanto trattasi di un diritto personale di godimento atipico.

La ricorrente principale conclude quindi che, anche a voler ritenere invalida o tardiva, rispetto all’annotazione dell’atto di citazione per lo scioglimento della comunione, l’annotazione del provvedimento presidenziale, avvenuta comunque prima dell’aggiudicazione dell’appartamento da parte del terzo acquirente, la sostanziale equiparabilità di effetti tra la figura della trascrizione e quella dell’annotazione vigente nei sistemi governati dal libro fondiario consentono di ritenere opponibile all’acquirente dell’immobile il diritto d’uso nei limiti del novennio dalla data dell’assegnazione.

La censura è infondata.

Il giudice di appello, una volta esclusa per le ragioni suddette l’opponibilità a terzi dell’assegnazione della casa familiare alla N., ha logicamente ritenuto superfluo l’esame di ogni altra questione relativa alla compatibilità o meno della disciplina prevista dall’art. 155 c.c., comma 4, con il sistema tavolare; del pari è evidente che la problematica affrontata dalla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite 6-7-2002 n. 11096 richiamata dalla ricorrente principale presuppone pur sempre un provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario di prole minorenne, ed è quindi estranea alla fattispecie.

Anche il ricorso principale deve pertanto essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi, data la reciproca soccombenza, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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