Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-01-2011, n. 462 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appellante P. I. riferisce di essere stato assunto presso il Ministero per i beni e le attività culturali nel dicembre del 1965 e di essere stato destinato a prestare servizio presso il Parco Archeologico di Cuma, con la qualifica di assistente tecnico / custode. Riferisce, altresì, che con ordine di servizio 9 luglio 1994, il Soprintendente per le province di Napoli e Caserta dispose il suo trasferimento dalla sede di Cuma a quella di Santa Maria Capua Vetere, "considerate le gravi esigenze di personale con qualifica di assistente in servizio presso gli scavi di S. Maria Capua Vetere e proporzionalmente il numero rilevante di personale con la medesima qualifica negli scavi di Cuma, valutate, altresì, le esigenze di servizio (…)".

Il provvedimento venne impugnato dal signor I. innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, il quale, con sentenza 6 novembre 1997, n. 2877, annullò l’ordine di servizio ritenendo che fosse viziato sotto il duplice profilo dell’omessa comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento di trasferimento e della carenza di motivazione.

Nelle more del giudizio in questione era avvenuto:

– che l’odierno appellante aveva maturato una serie ininterrotta di assenze per malattia, con la conseguenza che lo stesso non aveva ripreso servizio sino alla data del pensionamento;

– che nel febbraio del 1997 aveva chiesto di essere ammesso al pensionamento (l’effettivo collocamento a riposo operò dal 1° agosto 1997).

Con il ricorso introduttivo del primo giudizio, il sig. I. adì il Tribunale amministrativo regionale per la Campania chiedendo che l’Amministrazione fosse condannata al ristoro in suo favore delle diverse tipologie di danno patite a seguito del richiamato atto di trasferimento

In particolare, le pretese dell’odierno appellante facevano riferimento:

– agli incrementi dello stipendio di anzianità che egli avrebbe conseguito se fosse rimasto in servizio fino al luglio 2006 (data del raggiungimento del periodo minimo pensionabile);

– alla mancata corresponsione dell’indennità amministrativa e alle altre voci retributive che egli non aveva potuto percepire per l’anticipato pensionamento (attribuibile al fatto ingiusto dell’Amministrazione);

– ai danni non patrimoniali patiti in conseguenza dei richiamati eventi (in particolare: al danno biologico subito per avere sviluppato uno "stato ansioso" e una "rettocolite ulcerosa a prevalente carattere psicosomatico’);

– al danno morale, al danno esistenziale da mobbing e al danno da vita di relazione subiti in conseguenza del medesimo atto (il tutto, per un totale di circa 92.000 euro).

Con la sentenza oggetto del presente appello, il Tribunale amministrativo adito respingeva il ricorso in questione osservando:

– che la sentenza con cui era stato disposto l’annullamento dell’atto di trasferimento risultava fondata su "vizi di natura procedimentale, pacificamente emendabili, e non (su) circostanze legittimanti, nel merito, la pretesa sostanziale del ricorrente a non essere trasferito dall’Ufficio Archeologico di Cuma";

– che "l’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro del ricorrente per dimissioni presentate volontariamente induce ad escludere che la mancata percezione degli incrementi di stipendio per anzianità sia dipesa da fatto imputabile all’illegittimità dell’ordine di servizio emanato dall’Amministrazione";

– che, oltretutto, l’affermazione relativa al carattere di definitivo pregiudizio della salute dell’odierno appellante risultava smentita per tabulas dal certificato medico del dott. Luigi Farro (prodotto dallo stesso I. e recante la data del 25 gennaio 1996), dal quale emergeva che lo stesso fosse "clinicamente sano ed in condizioni di svolgere attività lavorativa";

– che lo stesso I. non aveva allegato nel corso del primo giudizio circostanze relative al proprio stato di salute effettivamente ostative all’operatività di un trasferimento (oltretutto relativo ad una sede distante solo alcune decine di chilometri da quella di provenienza). Conseguentemente, doveva escludersi l’esistenza di un nesso di causalità fra la patologia riportata e documentata in atti ed il trasferimento conseguito all’ordine di servizio annullato dal Tribunale amministrativo.

La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dal signor I., il quale ne chiedeva l’integrale riforma articolando i seguenti motivi di appello:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1173 e 2043 cod. civ. e dell’art. 35 del d.lgs. 80/98, così come novellato dall’art. 7 della legge 205/2000 – Erroneità assoluta dei presupposti – Illogicità ed insufficienza della motivazione;

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1173 e 2043 cod. civ. e dell’art. 35 del d.lgs. 80/98, così come novellato dall’art. 7 della legge 205/2000 – Ulteriori profili di erroneità assoluta dei presupposti – Travisamento.

Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato, la quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2010, presenti gli avvocati come da verbale d’udienza, il ricorso veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal sig. I.P., ex dipendente del Ministero per i beni e le attività culturali, avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania con cui è stato respinto il suo ricorso volto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che sarebbero stati causati da un provvedimento di trasferimento del 1994 (annullato dal medesimo giudice con sentenza del 1997).

2. Con il primo motivo di appello, l’I. lamenta l’erroneità del capo della sentenza relativo al carattere soltanto procedimentale (quindi pacificamente emendabile) dei vizi che avevano condotto all’annullamento dell’atto di trasferimento del luglio 1994 (sentenza n. 2877/97), così come delle conseguenze che il primo giudice ne ha tratto.

Al riguardo, l’appellante osserva che l’atto amministrativo annullato avrebbe comunque determinato effetti dannosi nella sua sfera giuridica, a nulla rilevando il carattere procedimentale ovvero sostanziale dei vizî sottesi alla sentenza di annullamento.

Oltretutto – osserva l’appellante – anche a voler ammettere il carattere emendabile dei richiamati vizî, il giudice ha omesso di considerare che la Soprintendenza ha in concreto omesso di procedere alla loro emenda per circa tre anni (ossia, fino al momento in cui egli era stato collocato a riposo – 1° agosto 1997 -).

Con il secondo motivo di appello, l’I. lamenta che la sentenza è erronea per aver affermato che la sentenza n. 2877/1997 aveva annullato il provvedimento di trasferimento "per vizi di natura procedimentale (pacificamente emendabili), e non per circostanze legittimanti, nel merito, la pretesa sostanziale del ricorrente a non essere trasferito dall’Ufficio Archeologico di Cuma", in tal modo escludendo il carattere di ingiustizia del danno dedotto per effetto del provvedimento oggetto di annullamento.

Secondo l’appellante, il primo giudice ha omesso di considerare che la sentenza di annullamento del 1997 era fondata (fra l’altro) sull’accoglimento di un motivo di doglianza di carattere sostanziale (rubricato "eccesso di potere – travisamento dei fatti – contraddittorietà").

Quindi, a suo dire il Tribunale amministrativo avrebbe ora omesso di rilevare che nel caso di specie sussistevano i presupposti soggettivi ed oggettivi per configurare una fattispecie di illecito foriera di danno risarcibile (illegittimità del provvedimento di trasferimento, sussistenza di un danno patrimoniale e non patrimoniale, sussistenza del nesso di causalità fra provvedimento e danno, sussistenza della colpa dell’Amministrazione).

Ancora, la sentenza in questione è a suo dire erronea per aver escluso un danno risarcibile fondandosi unicamente sul certificato medico rilasciato dal dott. Luigi Farro il 25 gennaio 1996 (certificato secondo cui il sig. I. era "clinicamente sano ed in condizione di svolgere attività lavorativa") ed omettendo di tenere in considerazione la gran quantità di certificati medici (per lo più, di fonte pubblica) che attestavano – al contrario – la compromissione del suo stato di salute dal principio del 1996 al momento del pensionamento (1997).

Quindi, la sentenza in epigrafe è per lui erronea per avere il giudice omesso di valutare "tutta la probante copiosa documentazione medica di strutture pubbliche dalle quali si può evincere il progressivo incalzare delle cattive condizioni psicofisiche del tutto assenti, comunque, prima delle contrarietà del ricorrente quotidianamente subite per effetto delle azioni vessatorie (mobbing) praticate dal Capo dell’Ufficio, tant’è che lo indussero alle dimissioni".

2.1. I due motivi dinanzi richiamati, che possono essere esaminati in modo congiunto, non sono fondati.

In particolare, si osserva che la sentenza è meritevole di conferma per la parte in cui ha affermato che non è ravvisabile il carattere di ingiustizia del danno asseritamente patito in conseguenza del provvedimento di annullamento del luglio 1994.

Del tutto correttamente il Tribunale amministrativo ha rilevato che la sentenza n. 2877/1997 aveva disposto l’annullamento del provvedimento di trasferimento per meri vizi di carattere procedimentale (in quanto tali, emendabili), e comunque per ragioni che non impingevano la spettanza in se della pretesa sostanziale a non essere trasferito dall’Ufficio Archeologico di Cuma.

Sotto tale aspetto, non può essere condivisa la tesi dell’appellante secondo cui la richiamata sentenza avrebbe disposto l’annullamento dell’atto di trasferimento per ragioni di carattere sostanziale (tali, cioè, da escludere in ogni modo la possibilità di trasferire il sig. I. quand’anche fossero state rispettate tutte le regole formali e procedimentali del caso).

Dall’esame della pronuncia in questione emerge – in contrario – in modo pacifico che l’annullamento era stato disposto per omessa comunicazione di avvio del procedimento, nonché per difetto di motivazione circa le ragioni poste a base dell’individuazione del ricorrente quale dipendente da trasferire (anche alla luce dei criteri comparativi di cui l’Amministrazione si era in precedenza dotata).

Ne consegue che (ferma restando l’illegittimità del provvedimento per i richiamati vizi formali e procedimentali) l’effetto ripristinatorio della complessiva sfera di interessi dell’appellante è stato compitamente realizzato attraverso l’annullamento, mentre – in assenza di una prova piena circa la spettanza sostanziale dell’interesse al mancato trasferimento – non può ritenersi che il danno asseritamente patito in conseguenza dell’atto di trasferimento presentasse il carattere dell’ingiustizia.

Sotto tale aspetto deve essere puntualmente confermato l’orientamento secondo cui, nel caso di annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo per vizi di ordine formale, che non escludono e anzi consentono il riesercizio del potere, la domanda risarcitoria del danno non può essere valutata se non all’esito del nuovo esercizio del potere. Se l’atto negativo dovesse essere reiterato, il nuovo sopravvenuto atto negativo escluderebbe allo stato la sussistenza del danno risarcibile, derivante dal primo provvedimento, se non eventualmente, ove ritenuto ammissibile, come danno da ritardo di provvedimento comunque negativo (Cons. Stato, IV, 2 febbraio 2010, n. 467).

2.2. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena osservato, il Collegio osserva altresì che nel caso di specie difetta la prova della sussistenza di un nesso di causalità (sotto l’aspetto eziopatogenico) fra il provvedimento di trasferimento del luglio 1994 e la patologia lamentata dall’I. (retto colite ulcerosa e stato ansiosodepressivo).

Sotto tale aspetto, si osserva che la "consulenza tecnica medicolegale per la valutazione del danno" in persona dell’appellante a firma del dott. F.M. (in atti) si limita ad affermare che il paziente è affetto da "retto colite ulcerosa e stato ansiosodepressivo cronico insorti a seguito di trasferimento illegittimo", con deduzione che sembra piuttosto riferibile alla sequenza cronologica degli eventi che non all’eziopatogenesi in quanto tale.

La relazione in questione (che, pure, dà atto del fatto che intense turbe emozionali possono dare avvio alla colite ulcerosa cronica o provocarne la ricaduta) non fornisce elementi dirimenti in ordine al fatto che le circostanze potessero far individuare l’atto di trasferimento come concausa in senso medicolegale della patologia contratta dal sig. I..

Si osserva al riguardo:

– che, alla data del 25 gennaio 1996 (ossia, a circa diciotto mesi dall’adozione del provvedimento di trasferimento) il dott. Luigi Farro aveva attestato che l’appellante era "clinicamente sano ed in condizioni di svolgere attività lavorativa".

Sotto tale aspetto, al fine di individuare in modo inequivoco l’esistenza di un nesso causale fra l’atto di trasferimento e la patologia contratta dal dipendente, la relazione medicolegale avrebbe dovuto quanto meno farsi carico di esporre in modo plausibile le ragioni per cui ad un anno e mezzo circa dal disposto trasferimento il paziente fosse ancora clinicamente sano;

– che la prova in ordine all’esistenza di un nesso causale fra il disposto trasferimento e l’insorgere della patologia avrebbe dovuto essere fornita in modo particolarmente rigoroso, atteso che (secondo le risultanze in atti) il trasferimento non si era mai perfezionato, "non essendo (il sig. I.) in grado di recarsi presso la nuova sede di lavoro" e che una ininterrotta serie di certificati medici (gennaio 1996 – maggio 1997) aveva impedito anche nel prosieguo di rendere effettivo il trasferimento

3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il sig. I. alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.500 (duemilacinquecento), oltre I.V.A. C.P.A. e spese generali, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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