T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 93 Vincoli storici, archeologici, artistici e ambientali; Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 13.11.2009 e depositato in data 30.11.2009, la ricorrente premetteva di essere proprietaria di un terreno di un terreno della superficie di mq 1900 circa ubicato in contrada San Giorgio del Comune di Briatico ed identificato nel nuovo catasto terreni al foglio 5 part. 457.

Esponeva che la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, con nota prot. n. 6477 del 9.4.2009, comunicava l’avvio del procedimento finalizzato all’apposizione di un vincolo archeologico su dette particelle e che, in data 19 settembre 2009, notificava l’epigrafato decreto di vincolo, motivato "per relationem" all’allegata relazione scientifica ed istruttoria, che rinviava ad "indagini geoarcheologiche preliminari", eseguite nel 2007 dalla "G.M. s.n.c.", su precisa indicazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, dalle quali sarebbe emersa l’esistenza di una villa romana.

A sostegno del proprio ricorso, deduceva:

1) Illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 del D.Lgs. 42/2004 nonché difetto di motivazione in ordine a quanto richiesto da detta norma.

Non vi sarebbe certezza in ordine all’esistenza di una villa romana proprio sui terreni di proprietà dei ricorrenti e neanche in ordine all’importanza del ritrovamento, per cui difetterebbero i presupposti per l’apposizione del vincolo, ai sensi dell’art. 10 del D. Lgs. 42/2004, quali la certa esistenza del bene archeologico e la motivazione circa l’importanza del rinvenimento archeologico.

2) illegittimità del provvedimento impugnato sotto i profili dell’eccesso di potere per illogicità del provvedimento, difetto assoluto del presupposto e travisamento dei fatti nonché difetto di istruttoria e manifesta ingiustizia.

Il provvedimento sottoporrebbe indistintamente a vincolo, per la presunta esistenza di una villa romana, un’area vastissima, nonostante, nella zona, non sarebbe mai stato eseguito uno scavo archeologico né vi sarebbero strutture murarie visibili fuori terra. Inoltre, solo dalla carota S10 (su undici eseguite sui terreni dei ricorrenti) sarebbero emerse strutture murarie, mentre nessuna struttura né alcun dato interessante sarebbero emersi dalla part. 446.

3) illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dagli artt. 14 del D.Lgs. 42/2004 e 8 della legge 241/90 nonché dell’art. 8 della legge 241/90 per difetto di motivazione:

La nota prot. 6477 del 9.04.2009 della Soprintendenza per i Beni Archeologici, di comunicazione dell’avvio del procedimento, non conterrebbe i prescritti elementi di identificazione e "di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini" e mancherebbe anche della indicazione del responsabile del procedimento.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.

Con atto depositato in data 1.12.2009, si costituiva la difesa erariale per resistere al presente ricorso e depositava la documentazione inerente la fattispecie.

Con memoria depositata in data 9.11.2010, la difesa erariale insisteva per la legittimità del proprio operato.

Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2010, il ricorso passava in decisione.
Motivi della decisione

1. Viene impugnato il Decreto n. 322 del 14 agosto 2009, a mezzo del quale alcuni beni immobili di proprietà dei ricorrenti, precisamente i terreni identificati nel N.C.T. del Comune di Briatico al foglio 5 partt. 443 e 459 e parte della part. 446, sono stati dichiarati di interesse archeologico particolarmente importante, ai sensi dell’art. 10 comma 3 lettera a) del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42, notificato il 19 settembre 2009.

2. Con il primo motivo, la ricorrente deduce che non vi sarebbe alcuna certezza in ordine all’esistenza di una villa romana proprio nei terreni di proprietà dei ricorrenti e neanche in ordine all’importanza del ritrovamento, per cui difetterebbero i presupposti per l’apposizione del vincolo, ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 42/2004, quali la certa esistenza del bene archeologico e la motivazione circa l’importanza del rinvenimento archeologico.

Evidenziava, in particolare, che nella raccolta di superficie cosiddetta "area C" sarebbero stati rinvenuti soltanto due frammenti databili (pag. 4 della relazione della G.M. S.n.c.), mentre nessun frammento sarebbe stato rinvenuto nella raccolta "area D". Inoltre, le indagini georadar non sarebbero risultate affidabili, poiché, su undici carotaggi eseguiti, soltanto in un caso (carotaggio S10) sarebbe emersa una struttura in muratura ed in nessuno dei carotaggi eseguiti sulla part. 446 sarebbe emersa alcuna struttura muraria.

Com’è noto, l’imposizione del vincolo archeologico, ai sensi del D. Lgvo 22.1.2004 n. 42 (già della legge 1.6.1939 n. 1089) è un’attività che attiene all’esercizio della discrezionalità tecnica dell’amministrazione, come tale insindacabile in sede di legittimità, ove sorretta da adeguata motivazione, che postula l’esatta individuazione dell’area da vincolare con la specificazione del tipo di vincolo, diretto o indiretto, da imporre su ciascuna particella catastale interessata, con indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni in diritto che ne giustificano l’imposizione e consentono di cogliere la correlazione tra estensione del bene archeologico tutelato ed estensione dell’immobile di proprietà privata, sottoposto a vincolo.

Invero, il provvedimento deve indicare con precisione il bene oggetto del vincolo e, se indiretto, le cose in funzione delle quali il vincolo è imposto, il rapporto di complementarietà fra le misure limitative ed il fine pubblico perseguito nonché le ragioni di adozione della misura limitativa (conf.: Cons. Stato, Sez. VI, 19.1.2007, n. 111; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 8.2.2007 n. 370), al fine di evitare che la compressione del diritto di proprietà che ne deriva si possa tradurre in un’inutile limitazione dello stesso (conf.: T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 24.3.2003, n. 374).

L’interesse a tutelare i reperti archeologici non inerisce solo alla loro conservazione, una volta portati alla luce, ma anche alla loro protezione, quando risultano ancora interrati, sempreché vi siano adeguati elementi che ne facciano seriamente presumere l’esistenza.

In quest’ottica, è stato ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di vincolo di importante interesse archeologico imposto su un terreno, con l’enunciazione delle finalità della legge 1.6.1939 n. 1089 e l’esplicito riferimento al rinvenimento, in una zona già ricca di reperti archeologici, di altri giacimenti, con l’ulteriore enunciazione dell’esigenza di tutelare le aree limitrofe al rinvenimento effettuato (conf.: Cons. Stato Sez. VI 19.9.1992 n. 674), mentre è stato ritenuto illegittimo il decreto di vincolo di notevole interesse archeologico imposto su una vasta estensione di terreno, comprendente numerose particelle catastali, per la carenza di indicazione puntuale e rigorosa dei singoli reperti nonché della correlativa ubicazione nelle varie particelle prese in considerazione.

Nella specie, la relazione scientifica allegata al decreto di apposizione del vincolo evidenzia che "nelle particelle nn. 443, 446 (parte), 457 e 459 di cui si propone il vincolo sono stati individuati stratigrafie, murature e pavimenti relativi ad una villa romana ubicata nelle immediate vicinanze del mare, oltrechè alla foce dell’attuale torrente Spadaro, come dimostra lo studio geomorfologico effettuato attraverso i carotaggi" (pag.1, ultimo capoverso), che "per quanto riguarda la zona corrispondente alla particella 446…che nella relazione tecnica prodotta dalla ditta G.M., viene definita per una parte a basso rischio archeologico, e per la restante parte a rischio archeologico molto basso, tuttavia si ritiene di doverla inserire in parte nella presente proposta di vincolo, con l’esclusione dell’area corrispondente alla carota S17, per i motivi che seguono. Nei carotaggi S16, S20, S4 ed S5 tutti effettuati nell’area in questione, sono stati rinvenuti consistenti strati archeologici di vario spessore compreso tra i 70 cm nei carotaggi S4 ed S5, i m. 1,30 nel carotaggio S 16 Ee i m 1,60 nel carotaggio S 20; detti strati denominati Ap (Apl, Ap2), B, Bss, Bwb, inglobano, per la maggior parte, frammenti laterizi (Ap (Ap1 e Ap2), B, Bss) e quello denominato Bwb anche frammenti ceramici; detti strati sia per caratteristiche geologiche che archeologiche sono in tutto simili agli strati che coprono o sono coperti dalle strutture di età romana rinvenute nei carotaggi eseguiti nella restante area…..il fatto che questi strati non sembrano inglobare evidenti strutture murarie, non esclude né inficia il loro valore archeologico che è pari, considerata appunto la connessione e la contiguità, agli altri strati rinvenuti…" (pag. 23).

Ad avviso del Collegio, la struttura motivazionale della suddetta relazione scientifica, richiamata "per relationem" nel provvedimento impugnato, contiene sufficienti elementi esplicativi ed una sua coerenza logica, per cui resiste ai profili di illegittimità denunciati.

3. Con il secondo mezzo, la ricorrente deduce che l’impugnato provvedimento sottoporrebbe indistintamente a vincolo, per la presunta esistenza di una villa romana, un’area vastissima, nonostante, nella zona, non sarebbe mai stato eseguito uno scavo archeologico né vi sarebbero strutture murarie visibili fuori terra. Inoltre, solo dalla carota S10 (su undici eseguite sui terreni dei ricorrenti) sarebbero emerse strutture murarie, mentre nessuna struttura né alcun dato interessante sarebbero emersi dalla part. 446.

La censura non appare condivisibile alla luce delle argomentazioni svolte in sede di disamina della prima censura, che possono essere richiamati.

Invero, secondo "ius receptum", il vincolo archeologico può essere limitato ai fondi immediatamente circostanti ai resti archeologici o estendersi sino a creare una zona di rispetto, tale da garantire, oltre la conservazione dei resti, ogni possibilità di fruizione degli stessi e può, in linea generale, comprendere anche immobili non direttamente interessati dai reperti archeologici, ma limitrofi ai fondi nei quali tali reperti sono stati individuati, sempre, ovviamente, a condizione che vi sia una specifica motivazione sull’esigenza di imposizione del vincolo (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 8 settembre 2005, n. 4599).

Inoltre, gli elementi a supporto dell’esistenza della villa romana, contenuti nell’atto gravato, trovano specificazione nell’allegata relazione, che individua l’esatto perimetro catastale su cui insiste e le singole particelle interessate, dando contezza del sicuro coinvolgimento della proprietà dei ricorrenti e precisando anche in ordine alla natura di detto coinvolgimento.

In definitiva, si possono ritenere sufficienti gli elementi indicati nel provvedimento, integrato dal rinvio "per relationem" alla allegata relazione.

Pertanto, la censura non merita adesione.

4. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce che sarebbe stato violato l’art. 14 del Codice dei Beni Culturali, poiché la nota prot. 6477 del 9.04.2009 della Soprintendenza per i Beni Archeologici, di comunicazione dell’avvio del procedimento, non conterrebbe i prescritti elementi di identificazione e "di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini" e mancherebbe anche della indicazione del responsabile del procedimento.

L’art. 14, comma 2°, del D. Lgvo 22.1.2004 n. 42 precisa: "La comunicazione contiene gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini, l’indicazione degli effetti previsti dal comma 4, nonché l’indicazione del termine, comunque non inferiore a trenta giorni, per la presentazione di eventuali osservazioni".

Nella specie, la nota prot. 6477 del 9.04.2009 precisa espressamente che è stato "avviato il procedimento per l’emanazione di un decreto di vincolo archeologico" ed indica espressamente le particelle di terreno interessato, assegnando il termine di trenta giorni per la presentazione delle osservazioni, con ciò assolvendo certamente alle finalità previste dalla legge e consentendo, quindi, ai destinatari di avere contezza del tipo di procedimento in itinere.

Invero, l’omessa indicazione del responsabile del procedimento e dell’unità organizzativa competente non invalida la comunicazione di avvio del procedimento, poiché, in base alla norma suppletiva di cui all’art.5 della legge 7.8.1990 n. 241, "in caso di mancata designazione del responsabile del procedimento è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa competente", con la conseguenza che non esplica alcun effetto viziante il provvedimento finale.

Pertanto, la censura non merita adesione.

In definitiva, il ricorso si appalesa infondato e va rigettato.

La complessità delle questioni affrontate consiglia di disporre l’integrale compensazione delle spese e degli onorari del presente giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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