Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-01-2011) 27-01-2011, n. 3018 Concorrenza sleale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Napoli, confermava la dichiarazione di responsabilità di S.M. per i reati di lesione, violenza privata e ricettazione e, ritenuti i fatti contestati nel capo A assorbiti in quelli di cui al capo E (illecita concorrenza con minaccia e violenza) con l’aggravante dell’agevolazione di associazione camorristica, rideterminava la pena a suo carico in sei anni di reclusione. La vicenda in esame riguardava la società di autotrasporto ammalati denominata Associazione Croce Cangiani di cui il S. era presidente, gruppo che, con violenza, minaccia, intimazioni, danneggiamenti e furti intendeva sbarazzarsi di imprese concorrenti quali Croce Azzurra, Croce Ambrosiana, Fili Bourelly s.n.c. per il servizio di trasporto negli ospedali collinari.

2. Contro questa sentenza ricorre il S., il quale con un primo motivo deduce la violazione dell’art. 513 bis c.p. perchè nella specie non si era realizzato alcun fatto di storno di dipendenti e di boicottaggio. Gli episodi accertati riguardavano invece aggressioni reciproche, in un clima di reciproco e patologico antagonismo, senza però escludere una logica concorrenziale di mercato.

D’altra parte, per ciò che concerne i danneggiamenti, non era emerso alcun elemento idoneo a identificare nel ricorrente l’autore o il mandante dei fatti illeciti per i quali sono stati assolti i coimputati D.V. e C., mentre viceversa e contraddittoriamente il S. non è stato assolto.

3. Tale contraddizione si manifesta ancora più grave per quanto riguarda l’aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7, mantenuta ferma, ma senza alcuna motivazione, per il solo S. in relazione a una condotta contestata in concorso con il D.V. e il C..

4. D’altronde la responsabilità del ricorrente, in funzione di mandante, si appoggerebbe su congetture derivanti dal suo ruolo di Presidente, cioè a dire in base a una massima di esperienza ormai rifiutata dalla giurisprudenza unanime.

Al riguardo la sentenza impugnata non avrebbe risposto a specifiche deduzioni sulla mancata identificazione degli anonimi che avevano detto di agire quali emissari di S.M. e sul fatto che i propalanti avevano richiamato proprie sensazioni, come tali inutilizzabili, propalanti che per di più erano in aperto conflitto di interessi con il ricorrente e perciò non "estranei" all’esito del processo.

5. Quanto all’aggravante mafiosa – secondo motivo – la stessa sentenza riconosce che il S. non appartiene ad alcun clan della camorra e non è emerso che al ricorrente potessero ricondursi episodi di incendi o di danneggiamento delle ambulanze.

Non v’era insomma nella specie nè l’intento di agevolare la camorra nè il ricorso al metodo mafioso, se non nelle supposizioni e nelle opinioni personali delle vittime. E d’altronde la sentenza svelerebbe la sua illogicità laddove, come già è stato ricordato, in relazione alla medesima condotta contestata a titolo di concorso pieno a tre imputati (capo b), l’aggravante mafiosa è stata epurata per due di questi ma non per il ricorrente.

L’aggravante insomma è stata riconosciuta in base ad illazioni e contraddittoriamente anche considerando l’esclusione della circostanza nei confronti del coimputato D..

6. Con un terzo ed ultimo subordinato motivo il ricorrente lamenta poi il mancato riconoscimento delle attenuanti del risarcimento del danno e di quelle generiche.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non ha fondamento.

In ordine alla configurabilità del delitto di cui all’art. 513 bis c.p. va ribadito che disposizione riguarda qualunque attività svolta in forma imprenditoriale e che è diretta a punire le condotte di concorrenza attuate con atti di coartazione. Tanto posto, appare chiaro che nella specie la norma trova applicazione, trattandosi di continue minacce e violenze esercitate sulle imprese rivali, anche con storno del personale, allo scopo palesemente espresso di eliminarle dal mercato.

Inconducente è poi il rilievo che si trattava di aggressione reciproche, con patologico e reciproco antagonismo, perchè, ferma restando l’apoditticità dell’assunto, esso semmai varrebbe a riconoscere la violazione dell’art. 513 bis c.p. anche da parte delle altre imprese, ma non potrebbe certo escludere la rilevanza dei comportamenti addebitati al S. in relazione alla norma in esame.

2. Al limite dell’ammissibilità sono poi gli argomenti con i quali si contesta l’accertamento della responsabilità del ricorrente, posto che, quando le testimonianze non narrano di un suo diretto intervento, non è la qualità di presidente che è servita ad attribuirgli il ruolo di mandante delle aggressioni. Tale ruolo invece è stato ricavato da quanto gli stessi aggressori espressamente affermavano durante le aggressioni, in perfetta coerenza con la politica di accaparramento del mercato per la Croce Cangiani perseguita dal S.. Su questo punto le numerose testimonianze raccolte si sostanziano nella narrazione di episodi precisi e non, come si vuole, in impressioni. Esse hanno riscontrato quanto affermato in ordine alle intimidazione dai rappresentanti delle ditte rivali, così essendo stato esperito quel controllo di attendibilità su costoro, che a torto si afferma non essere stato reso.

5. Circa l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, non può ipotizzarsi un assorbimento tra le violenze previste dall’art. 513 bis c.p. e la circostanza in parola perchè essa, nella specie, si sostanzia in un preciso riferimento all’azione di individuati clan camorristici.

Quanto poi all’esclusione dell’aggravante nei confronti di altri imputati correttamente la sentenza spiega che fu il solo S. ad evocare nelle vittime il marchio mafioso delle numerose violenze da lui perpetrate, mentre i due "esenti" sono stati ritenuti colpevoli di un unico episodio delittuoso.

6. Circa infine le attenuanti, il risarcimento operato è stato ritenuto insufficiente con giudizio oggi non specificamente contestato. A loro volta le attenuanti generiche sono state negate in base a congrua valutazione di pericolosità del ricorrente.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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