Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-12-2010) 27-01-2011, n. 3066

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 20.1.10 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto a V.G., in relazione al reato di cui all’art. 495 c.p., le circostanze attenuanti genetiche ed ha rideterminato in diminuzione il trattamento sanzionatorio. Ricorre il difensore dell’imputato e deduce assenza di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità e, in subordine, alla sostituzione della pena detentiva ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 53, assumendo che con l’atto di appello era stato sostenuto che l’annotazione delle false generalità era frutto di un errore percettivo da parte del pubblico ufficiale, anche perchè era ben possibile, data l’assonanza tra le date del 1962 e del 1972, che tale errore si fosse verificato, ma la Corte di appello si era limitata a ricordare che la motivazione per relationem era consentita, senza però fornire risposta alcuna alle censure e alle richieste formulate dall’imputato.

Osserva la Corte che il ricorso appare manifestamente infondato.

Con motivazione del tutto congrua ed immune da vizi rilevabili in questa sede, la Corte partenopea ha evidenziato come l’imputato, interrogato dai carabinieri sulla propria identità, abbia fornito mendaci dichiarazioni destinate ad essere riportate nel verbale di contestazione, atto pubblico, affermando di essere nato a (OMISSIS), indicando quindi – come sottolineato dal primo giudice nella sua sentenza, richiamata per relationem dai giudici di secondo grado – luogo ed anno di nascita errati, come lo stesso V. ha sostanzialmente ammesso in sede di spontanee dichiarazioni rese in dibattimento, pur sostenendo di non aver dichiarato di essere nato nel (OMISSIS) e che comunque i carabinieri conoscevano la sua identità, circostanze peraltro rimaste sfornite di prova e che in ogni caso non esimono l’imputato da responsabilità penale nei termini correttamente ritenuti di cui all’art. 495 c.p..

Quanto alla mancata conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, va osservato che benchè la relativa richiesta abbia formato oggetto di appello, tuttavia la stessa si presenta del tutto immotivata, non avendo la difesa dell’imputato evidenziato alcun elemento tale da far ritenere il V. meritevole dell’applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 53, per cui si tratta di un motivo del tutto generico e come,a,e inammissibile e di consegua la denuncia di difetto di motivarne della sentenza di appello non ha alcun fondamento, a nulla rilevando che il giudice di merito non abbia in concreto rilevato l’inammissibilità della doglianza, in quanto, l’obbligo del giudice di fornire risposta alle questioni proposte trova limite nella impossibilità di configurare alla stregua di motivo, ai sensi dell’art. 58 c.p.p., ciò che in realtà costituisce mera sollecitazione, assolutamente generica.

Alla inammissibilità del riccio segue la condona del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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